Arenaria
di Paolo Teobaldi
Edizioni e/o, 2019
pp. 160
€ 16,00
E’ nòn
Te cafè? da fè chè? a stagh mèi ma chèsa,
a zugh sa cal burdèli,
i zugh ch'ò imparè mai! E u m pis da pèrd.
Il nonno
Al caffè? da far che? sto meglio a casa,
gioco con quelle bambine,
i giochi che ho imparato mai! E mi piace perdere.
(Raffaello Baldini)
Arenaria di Paolo Teobaldi è una storia che frana e sgrotta sui versanti di un monticello d'arenaria, neanche un monte, 200 metri sul livello del mare, la prima altura che si incontra scendendo dalla pianura padana, 60 km prima del monte Conero, lungo la costa adriatica.
Un racconto lungo, il narrare di un nonno alla nipotina Julie, una passeggiata in bicicletta sui sentieri della memoria, labili e sdrucciolevoli, da puntellare tramandando le voci di chi quel luogo l'ha popolato, l'ha vissuto, l'ha difeso contendendolo palmo a palmo col mare e le correnti.
Una memoria che si sostanzia attraverso parole scelte e impastate fra il dialetto (Teobaldi è pesarese, e pesarese il suo orizzonte), il desueto, l'altissimo, il bassissimo, le voci dei padroni e dei mezzadri, dei signori e dei pescatori. La descrizione di un piccolo mondo antico fatto di gioie e dolori che presto nessuno ricorderà più.
Ammettiamo anche che per un'espressione come belpunto, una semplice spiegazione sarebbe riduttiva e poco divertente. Molto meglio restituire lo spirito di quella serata in cui «Coso, porétto, che adesso è morto, uno dei tanti Cosi di quegli anni, che voleva invitare una straniera a ballare con lui al Notturno Dancing Capriccio» cercò di tradurre in inglese, beautiful point, ché lei doveva andarci proprio a ballare con lui prima di andarsene.
Una sorta di lessico più che famigliare che richiede attenzione, una lettura non distratta, abilità da esploratori subacquei.
E che può essere compreso appieno solo accettando di sedersi sulla canna della bicicletta del nonno, come la piccola Julie, e di farsi guidare fra scogli e stoppie, alla scoperta, metro dopo metro, del versante a caldese fino a quello a vernìo.
Anche le parole, come il monte d'arenaria, sono a rischio frane. Tanto è più importante dunque salvarle, recuperarle, tramandarle.
Soprattutto quelle difficili da spiegare, quelle che, in fondo, non hanno traduzione ma solo tradizione.
Giulia Marziali
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