Fratello cervo
di Juan Pablo Roncone
traduzione di Giacomo Falconi
Edicola ediciones, 2019
pp. 121
€ 13
«Guardo in direzione del ristorante. La donna con la faccia da rana e il cameriere non ci sono più. Il cane smette di abbaiare. Saliamo in macchina.» (p. 85)
Immaginate questa situazione: è notte, state guidando da ore per raggiungere un minuscolo paesino sul lago, quando a un tratto la stanchezza vi coglie e decidete di fermarvi un poco a riposare. Accostate a un autogrill, entrate nel bar, date un’occhiata agli scaffali pieni di cose che siete consapevoli non comprerete mai, però sono lì in esposizione e vi gusta l’idea di perdere del tempo appresso alle confezioni. Prendete un caffè, ascoltate la conversazione fra una ragazza e il barista. Andate in bagno e poi, quando avete deciso di esservi ripresi, uscite. Fuori, prima di rientrare, lanciate uno sguardo al cielo. Le stelle sono fioche in alto, occultate dalle luci della stazione di servizio. Due persone discutono accanto a una macchina, un vecchio si fuma una sigaretta. Restate così qualche minuti a osservare questa scena senza entrare minimamente in contatto con nessuno dei personaggi presenti, infine vi rimettete al volante e ripartite verso la vostra destinazione.
Quello che in seguito vi resta di questo fugace momento, un momento di intersezione fra un prima e un poi, una digressione che nulla di rilevante ha aggiunto alla vostra vita perché nulla di rilevante è accaduto, è tuttavia un’impressione forte e sanguigna, un pensiero che ritorna dal nulla a impattare durante la giornata, magari mentre siete al lavoro o giocate con i vostri figli. È un ricordo vivido, fatto di dettagli precisi: i capelli spettinati del barista, la confezione di Tuc con sopra il prezzo, il leggero olezzo di disinfettante nel bagno. Tutti elementi che sul momento la vostra mente cosciente non ha colto, eppure ben immagazzinati sotto forma di sensazioni corporee in qualche recesso del cervello. È un quadro in quattro dimensioni, colorato, lucido, carico di suoni al contempo attutiti e altisonanti.
Nel suo unico libro pubblicato a oggi, in questa sua unica prova di penna, ritroviamo una scrittura densa, al contempo concreta e astratta. La concretezza si realizza nella capacità di tratteggiare luoghi e personaggi realistici con pochi, essenziali dettagli, senza perdersi nella foga della descrizione. L’astrattezza, invece, risiede nel delicatissimo velo onirico steso su tutta la narrazione: il tempo e lo spazio, in questa dimensione del ricordo, sono sospesi come le luci di un paesino in lontananza nella notte estiva. Gli eventi più insulsi risultano palpabili e pregni di significati, ma solo in quanto ricordati, e solo alla luce di ciò che è accaduto prima e ciò che è venuto in seguito. Una mano non stretta lascia un senso di incompiuto e forse il dispiacere di un mancato sentimento, così come dedicarsi ad altre faccende mentre il proprio padre sta morendo e la donna che diciamo di amare sta portando in grembo un figlio può avere un altissimo valore catartico; ma tutte queste cose le possiamo capire solo a posteriori, presi come siamo a seguire gli eventi che ci capitano davanti in una sorta di letargo della coscienza, tipico di determinati momenti della vita.
Leggendo Roncone non si può non pensare a Raymond Carver, alla sua capacità di cogliere tratti inessenziali e transitori e portarli in scena: ma non al centro del palco, bensì ai margini, là dove l’occhio non percepisce bene cosa stia accadendo e la mente razionale non coglie il significato immediato di tutto. Ecco, ciò che resta di quegli avvenimenti al limite del reale è proprio questo: un rumore di fondo, troppo bianco per essere rilevante e troppo nero per passare inosservato, che torna a tormentare tempo dopo, quando tutto è già finito.
I racconti di Fratello cervo sono da leggere dentro casa, di notte, accanto a una piccola lampada mentre tutti gli altri abitanti della casa e del condominio già dormono.
David Valentini