Ungà. Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo
a cura di Angela Madesani
Nomos Edizioni, 2014
pp. 135
€ 14,90
Che cosa serve per dare vita a una mostra come “Ungà. Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo” e all’omonimo catalogo pubblicato dalla casa editrice Nomos? Innanzitutto l’ammirazione per uno tra i più famosi poeti del Novecento italiano, cultore di pittura e scultura nonché amico di alcuni tra i più importanti artisti del suo tempo. Occorre, poi, una galleria – in questo caso la prestigiosa Galleria Biffi Arte di Piacenza – nella quale esporre proprio una selezione di opere di quegli autori che furono cari all’illustre uomo di lettere. E ci vuole, non ultima, la cura appassionata di una studiosa come Angela Madesani, che insieme a Giulia Torra è andata alla ricerca di tutti gli scritti del poeta dedicati alle arti visive, in particolare di quelli che non furono pubblicati nel 1974 da Mondadori nel volume Ungaretti. Vita di un uomo, saggi e interventi, facente parte della collana “I Meridiani”. Il risultato è duplice: non solo un evento espositivo che, tra il dicembre 2014 e il febbraio 2015, avrebbe fatto la gioia degli occhi (e del cuore) dell’amico “Ungà” (così lo chiamava il pittore Jean Fautrier), ma un’occasione per farne conoscere in modo ancora più completo le opinioni sull’estetica novecentesca, ovvero quelle che affidò a giornali e riviste dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso.
«Quando un poeta mette la forza della propria scrittura al servizio della critica d’arte, si compie uno di quei sodalizi che sono molto cari alla nostra Galleria: l’incontro fra la parola e l’immagine, fra le arti nella pluralità dei loro linguaggi, alla ricerca di percorsi trasversali inattesi»: bastano queste parole del presidente Pietro Casella, poste in apertura di volume, per intuire che le quarantuno prose che si andranno a leggere sono tutt’altro che recensioni meramente pubblicitarie. Quelle di Ungaretti, difatti, sono le parole sempre schierate e sempre militanti di un uomo calato nel proprio tempo, dunque nell’atmosfera mutevole di un secolo che come nessun altro è stato agitato, e non di rado sconvolto, da rivoluzioni estetiche che ancora oggi non hanno esaurito la loro carica sovversiva. Lo dimostrano subito, per esempio, i testi del periodo fascista, ideologia alla quale il poeta, come è noto, aderì, firmando il Manifesto degli intellettuali nel 1925. Ecco dunque i richiami diretti al Duce: che possono essere specifici, legati alle contingenze del momento, come nella richiesta di spronare Ardengo Soffici a farsi moderatore di «una rivista organica, tutta tesa verso la creazione» (p. 19), e immaginata come organo privilegiato per una comunicazione tra artisti ancora percepita come carente (agosto 1926); oppure può trattarsi di appelli più generici, di ampio respiro, come nell’esortazione affinché Mussolini tenga sempre la prima fila nella battaglia a favore dell’educazione estetica collettiva (agosto 1927). Due temi, quello della rivista come spazio di confronto e di discussione e quello dell’educazione fin dalla giovane età ai valori della bellezza, sui quali il poeta tornerà più e più volte, e che nel settembre 1952, alla Conferenza Internazionale degli Artisti organizzata dall’UNESCO a Venezia, metterà al centro della sua orazione, dal titolo L’artista nella società moderna.
Ma c’è molto, molto altro. Pur nutrendo una grande passione per maestri come Caravaggio e Rembrandt, e più in generale per tutto il Barocco, intervento dopo intervento Ungaretti si rivela un fruitore aggiornato, contento della conoscenza diretta, e dunque della frequentazione e non di rado dell’amicizia, dei pittori e degli scultori italiani (ma non solo) più rappresentativi della sua epoca; e sarà così in particolare nel corso degli anni Trenta con quelli della scuola romana di Via Cavour, interpreti di un’estetica con la quale il poeta avrà una significativa e duratura sintonia. Ancora, oltre a testi più discorsivi o, per così dire, teorici (come l’introduzione al catalogo Forma e verità del 1966), sono soprattutto gli scritti “monografici”, dedicati cioè a singoli artisti, a dominare in gran numero su giornali, riviste, pubblicazioni periodiche o d’occasione: tra i nomi, ecco quelli di Maria Signorelli, Ottone Rosai, Arturo Martini, Fabrizio Clerici, Carlo Quaglia, Guido Gonzato, Bona De Pisis, Roberto Fasola, Anna Salvatore, Raffaele Castello, Giuseppe Capogrossi, Lorenzo Viani, Giacomo Balla, Carlo Carrà. Sempre piuttosto rari, invece, i riferimenti agli stranieri, tra cui spicca questa lapidaria Risposta all’inchiesta: Che ne pensate di Salvador Dalì, uscita su “La Fiera letteraria” il 30 maggio 1954:
a cura di Angela Madesani
Nomos Edizioni, 2014
pp. 135
€ 14,90
Che cosa serve per dare vita a una mostra come “Ungà. Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo” e all’omonimo catalogo pubblicato dalla casa editrice Nomos? Innanzitutto l’ammirazione per uno tra i più famosi poeti del Novecento italiano, cultore di pittura e scultura nonché amico di alcuni tra i più importanti artisti del suo tempo. Occorre, poi, una galleria – in questo caso la prestigiosa Galleria Biffi Arte di Piacenza – nella quale esporre proprio una selezione di opere di quegli autori che furono cari all’illustre uomo di lettere. E ci vuole, non ultima, la cura appassionata di una studiosa come Angela Madesani, che insieme a Giulia Torra è andata alla ricerca di tutti gli scritti del poeta dedicati alle arti visive, in particolare di quelli che non furono pubblicati nel 1974 da Mondadori nel volume Ungaretti. Vita di un uomo, saggi e interventi, facente parte della collana “I Meridiani”. Il risultato è duplice: non solo un evento espositivo che, tra il dicembre 2014 e il febbraio 2015, avrebbe fatto la gioia degli occhi (e del cuore) dell’amico “Ungà” (così lo chiamava il pittore Jean Fautrier), ma un’occasione per farne conoscere in modo ancora più completo le opinioni sull’estetica novecentesca, ovvero quelle che affidò a giornali e riviste dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso.
«Quando un poeta mette la forza della propria scrittura al servizio della critica d’arte, si compie uno di quei sodalizi che sono molto cari alla nostra Galleria: l’incontro fra la parola e l’immagine, fra le arti nella pluralità dei loro linguaggi, alla ricerca di percorsi trasversali inattesi»: bastano queste parole del presidente Pietro Casella, poste in apertura di volume, per intuire che le quarantuno prose che si andranno a leggere sono tutt’altro che recensioni meramente pubblicitarie. Quelle di Ungaretti, difatti, sono le parole sempre schierate e sempre militanti di un uomo calato nel proprio tempo, dunque nell’atmosfera mutevole di un secolo che come nessun altro è stato agitato, e non di rado sconvolto, da rivoluzioni estetiche che ancora oggi non hanno esaurito la loro carica sovversiva. Lo dimostrano subito, per esempio, i testi del periodo fascista, ideologia alla quale il poeta, come è noto, aderì, firmando il Manifesto degli intellettuali nel 1925. Ecco dunque i richiami diretti al Duce: che possono essere specifici, legati alle contingenze del momento, come nella richiesta di spronare Ardengo Soffici a farsi moderatore di «una rivista organica, tutta tesa verso la creazione» (p. 19), e immaginata come organo privilegiato per una comunicazione tra artisti ancora percepita come carente (agosto 1926); oppure può trattarsi di appelli più generici, di ampio respiro, come nell’esortazione affinché Mussolini tenga sempre la prima fila nella battaglia a favore dell’educazione estetica collettiva (agosto 1927). Due temi, quello della rivista come spazio di confronto e di discussione e quello dell’educazione fin dalla giovane età ai valori della bellezza, sui quali il poeta tornerà più e più volte, e che nel settembre 1952, alla Conferenza Internazionale degli Artisti organizzata dall’UNESCO a Venezia, metterà al centro della sua orazione, dal titolo L’artista nella società moderna.
Ma c’è molto, molto altro. Pur nutrendo una grande passione per maestri come Caravaggio e Rembrandt, e più in generale per tutto il Barocco, intervento dopo intervento Ungaretti si rivela un fruitore aggiornato, contento della conoscenza diretta, e dunque della frequentazione e non di rado dell’amicizia, dei pittori e degli scultori italiani (ma non solo) più rappresentativi della sua epoca; e sarà così in particolare nel corso degli anni Trenta con quelli della scuola romana di Via Cavour, interpreti di un’estetica con la quale il poeta avrà una significativa e duratura sintonia. Ancora, oltre a testi più discorsivi o, per così dire, teorici (come l’introduzione al catalogo Forma e verità del 1966), sono soprattutto gli scritti “monografici”, dedicati cioè a singoli artisti, a dominare in gran numero su giornali, riviste, pubblicazioni periodiche o d’occasione: tra i nomi, ecco quelli di Maria Signorelli, Ottone Rosai, Arturo Martini, Fabrizio Clerici, Carlo Quaglia, Guido Gonzato, Bona De Pisis, Roberto Fasola, Anna Salvatore, Raffaele Castello, Giuseppe Capogrossi, Lorenzo Viani, Giacomo Balla, Carlo Carrà. Sempre piuttosto rari, invece, i riferimenti agli stranieri, tra cui spicca questa lapidaria Risposta all’inchiesta: Che ne pensate di Salvador Dalì, uscita su “La Fiera letteraria” il 30 maggio 1954:
«non c’è da fare confronti con Rouault e Picasso: sono pittori di altra razza. Dalì disegna virtuosamente, dipinge malissimo, ha una fantasia stantia» (p. 63).
Ad ogni modo, il vero pregio di queste prose così rare riunite in un unico volume – volume peraltro arricchito da un fascicolo centrale con le riproduzioni fotografiche a colori delle opere in mostra – sta nella possibilità, per il lettore, di apprezzare le idee e lo stile di un poeta alle prese con la critica d’arte, seguirne l’evoluzione anche grazie all’ordinamento cronologico, e riconoscerne, intervento dopo intervento, sia le variazioni che le costanti di pensiero e di espressione. Interessato alla tecnica quel tanto che basta da non farne mai il perno esclusivo o dominante dei propri giudizi, Ungaretti produce vere prose d’autore in cui non c’è spazio per la mera descrizione oggettiva e banalizzante, e in cui la visione soggettiva tende a prevalere di necessità su ogni altra considerazione in termini di luce, colore, forma e composizione. E l’apprezzamento, quando c’è – e per il poeta c’è ogniqualvolta l’artista in esame riesce, con il suo lavoro, a suggerire il mistero del senso della vita dell’uomo – è sempre dichiarato con slancio e con buon augurio, con toni talvolta assolutistici e iperbolici. L’amico “Ungà”, dopotutto, non parla (e non scrive) mai a vanvera, come ricorda lui per primo in uno degli ultimi interventi, nell’anno 1969: «non scalmanatevi, miei quattro lettori, so con precisione il peso delle parole, e non da oggi» (p. 121).
Sebbene non siano privi di una certa complessità di forma e di concetto – specie nei passaggi in cui il tono si fa più lirico e la superficie della prosa argomentativa viene increspata dall’affiorare spontaneo della misura retorica – i contributi raccolti in Ungà non possono mancare nelle librerie degli estimatori e degli studiosi del poeta: come non sempre succede con i libri in più, il volume pubblicato da Nomos contribuisce difatti a perfezionare il profilo di uno scrittore evidentemente già molto analizzato e celebrato. E anche il ritratto fotografico scelto per la copertina – una stampa ai sali d’argento che è opera di Paola Mattioli, peraltro presente in mostra insieme ad alcune altre – è perfetto per la sua capacità di sintetizzare il tema dominante, tutto basato sull’osservazione e sul sentimento delle arti visive. Come scrive a questo proposito Angela Madesani, «il grande vecchio, pluriottantenne, ha gli occhi semichiusi di un gatto sornione con lo sguardo ammaliatore e severo al contempo» (p. 12). Al lettore, dunque, il privilegio di apprezzare che cosa quegli occhi videro, scrutarono e amarono nei dipinti e nelle sculture degli artisti a lui più cari; al lettore il piacere di scoprire che cosa pensava dell’estetica del Novecento uno dei padri e dei maestri della sua poesia.
Cecilia Mariani
Sebbene non siano privi di una certa complessità di forma e di concetto – specie nei passaggi in cui il tono si fa più lirico e la superficie della prosa argomentativa viene increspata dall’affiorare spontaneo della misura retorica – i contributi raccolti in Ungà non possono mancare nelle librerie degli estimatori e degli studiosi del poeta: come non sempre succede con i libri in più, il volume pubblicato da Nomos contribuisce difatti a perfezionare il profilo di uno scrittore evidentemente già molto analizzato e celebrato. E anche il ritratto fotografico scelto per la copertina – una stampa ai sali d’argento che è opera di Paola Mattioli, peraltro presente in mostra insieme ad alcune altre – è perfetto per la sua capacità di sintetizzare il tema dominante, tutto basato sull’osservazione e sul sentimento delle arti visive. Come scrive a questo proposito Angela Madesani, «il grande vecchio, pluriottantenne, ha gli occhi semichiusi di un gatto sornione con lo sguardo ammaliatore e severo al contempo» (p. 12). Al lettore, dunque, il privilegio di apprezzare che cosa quegli occhi videro, scrutarono e amarono nei dipinti e nelle sculture degli artisti a lui più cari; al lettore il piacere di scoprire che cosa pensava dell’estetica del Novecento uno dei padri e dei maestri della sua poesia.
Cecilia Mariani
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