Tipi bizzarri. Novelle
di Amalia Guglielminetti
Rina Edizioni, 2018
Prefazione di Silvio Raffo
1^ edizione: Arnoldo Mondadori, 1931
pp. 217
€ 15,00 (cartaceo)
Amalia Guglielminetti, chi era costei? Com'è purtroppo assai probabile, il nome di questa scrittrice sarà del tutto sconosciuto ai più. Il che, del resto, è un peccato d’oblio condiviso con le autrici (e non solo italiane) volutamente dimenticate dalla critica e dai manuali di storia della letteratura. Oggi, però, questa colpa può essere emendata grazie al lavoro della Rina Edizioni, nata all’inizio del 2018 con l’intento programmatico di dare nuova vita a tutte quelle pubblicazioni a firma femminile che, date alle stampe tra Ottocento e Novecento, andarono incontro loro malgrado a un ingiusto destino di dimenticanza. Del resto, per inaugurare la collana “Libertarie: voci di scrittrici italiane” non si poteva prediligere una madrina migliore dell’autrice di Tipi bizzarri, raccolta di novelle del 1931: originalità e anticonformismo sono difatti le due parole chiave per intenderne la biografia alla pari della prosa, e magari anche per desiderare di somigliarle almeno un po’.
Silvio Raffo, che firma la bella Prefazione – uno scritto riuscitissimo e con un titolo sufficientemente “perfido” che con ogni probabilità sarebbe molto piaciuto all’autrice, ovvero Arabeschi del disinganno. Il dolce veleno della cattiva Signorina – non ha dubbi:
di Amalia Guglielminetti
Rina Edizioni, 2018
Prefazione di Silvio Raffo
1^ edizione: Arnoldo Mondadori, 1931
pp. 217
€ 15,00 (cartaceo)
Amalia Guglielminetti, chi era costei? Com'è purtroppo assai probabile, il nome di questa scrittrice sarà del tutto sconosciuto ai più. Il che, del resto, è un peccato d’oblio condiviso con le autrici (e non solo italiane) volutamente dimenticate dalla critica e dai manuali di storia della letteratura. Oggi, però, questa colpa può essere emendata grazie al lavoro della Rina Edizioni, nata all’inizio del 2018 con l’intento programmatico di dare nuova vita a tutte quelle pubblicazioni a firma femminile che, date alle stampe tra Ottocento e Novecento, andarono incontro loro malgrado a un ingiusto destino di dimenticanza. Del resto, per inaugurare la collana “Libertarie: voci di scrittrici italiane” non si poteva prediligere una madrina migliore dell’autrice di Tipi bizzarri, raccolta di novelle del 1931: originalità e anticonformismo sono difatti le due parole chiave per intenderne la biografia alla pari della prosa, e magari anche per desiderare di somigliarle almeno un po’.
Silvio Raffo, che firma la bella Prefazione – uno scritto riuscitissimo e con un titolo sufficientemente “perfido” che con ogni probabilità sarebbe molto piaciuto all’autrice, ovvero Arabeschi del disinganno. Il dolce veleno della cattiva Signorina – non ha dubbi:
«il caso di Amalia Guglielminetti è decisamente unico. Proprio come lei che ama definirsi, a pieno diritto, “quella che va da sola”. Ci troviamo di fronte a una donna che non scrive “dalla parte delle donne”, che non è minimamente corrosa dal tarlo della sensiblerie romantique, che è, e resta, fedele a un solo credo, quello di un’intelligenza radicale, lucida, livida e perfino spietata; nello stile, alla sprezzatura di ascendenza classica filtrata dal più decadente estetismo ma in direzione antidannunziana, proprio come il suo doppio maschile Guido Gozzano. La demitizzazione di tutte le formule e gli stereotipi in voga negli anni venti e trenta è il primo elemento che balza all’occhio del lettore» (p. 6).
Proprio così. Le nove prose di questa raccolta lasciano in bocca un sapore che è, per l’appunto, très bizarre, e che vira dall’aspro all’amaro passando per il piccante e il salato: vietata ogni dolcezza, scongiurata ogni carezza sul palato. Nelle questioni sentimentali – perché è di questo che sempre si parla – Amalia Guglielminetti non è interessata a smancerie e svenevolezze varie: il gioco dell’amore è sempre e comunque un gioco delle parti, un interesse che mira al tornaconto, con norme, regole, ruoli e copioni da rispettare battuta per battuta, ma anche da lanciare in aria foglio per foglio con grande spreco di carta. Negli italianissimi roaring twenties descritti dall’autrice i sedicenti ruggiti hanno tutt’al più l’eco di ruffiani miagolii, e anche le zampate più ambiziose altro non sono che graffiature superficiali; per non parlare, poi, di quando chi vuol predare vien predato, e la scaltra maestà di sedicenti e selvatici felini si riduce a mero calcolo da parte di esemplari ben più domestici. Con buona pace, si intende, di tutti i partecipanti a questa caccia da alcova e da salotto, paghi del loro protagonismo in qualità di vittime o di carnefici e interessati a trarre vantaggio anche dallo smacco e dalla beffa di un’unghiata inflitta a tradimento. Dice bene Silvio Raffo:
«nessuno è felice in questi arabeschi del disinganno. Nessuno potrà mai essere felice, ma nemmeno una vera e profonda infelicità visita gli attori di quest’assurda pantomima. Non c’è vera soufferance, ma solo la rappresentazione dell’effimero dell’umana commedia, o per meglio dire farsa» (p. 8).
Tutto, insomma, si riduce o si rivela una posa, una messa in scena, e il massimo della finzione va a coincidere sempre con la sfera delle passioni. Nel mondo di Amalia Guglielminetti non esistono amori esemplari, perché l’insincerità e l’interesse personale hanno sempre la meglio sulla purezza delle passioni. Il libertinaggio, ça va sans dire, sbanca il casinò delle convenzioni sociali, summa ipocrita del cosiddetto bel mondo: ecco il marito tradito dalla giovane moglie che si rivela a sua volta traditore di lungo e comodo corso; ecco il pretendente tenuto sulle spine da una signorina fin troppo vezzosa ma che fa il buono e il cattivo tempo; ecco il fedifrago al limite dell’incesto che viene castigato da una moglie decisa a invertire la dialettica servo-padrone; ecco la moglie allegra fatta sorvegliare da un amico fidato che finirà con l’essere concupita dal suo stesso chaperon. E se gli uomini non pensano ad altro che al sesso e al denaro (e inanellano senza scrupoli fior fior di matrimoni con ricche ereditiere in punto di morte), le donne non si rivelano certo animate da più casti propositi: magari sono dame di chiacchierata reputazione disposte a tutto pur di accasarsi, riscattando il proprio onore a costo di rovinare quello del consorte; a volte sono talmente annoiate dal loro stesso status da volersi concedere, per capriccio, solo a tipi esemplari (quelli “bizzarri” a cui allude il titolo della raccolta e dell’omonima novella); oppure sono così appagate dal proprio benessere da preferire la compagnia di una scimmietta (o al limite di un saltimbanco) a quella di un vero corteggiatore, forse un po’ ordinario ma comunque un ottimo partito. Mentre l’eros, quello vero, langue.
Se lo sguardo dell’autrice sui personaggi e le loro vicissitudini è a tutti gli effetti “occhiuto” – e come tale multiplo, vigile e cinico – anche lo stile si accorda a una visione distaccata della realtà. In tante occasioni, più che un giudizio sprezzante, pare di intuire una malcelata canzonatura: la preziosità delle espressioni, il tono altisonante, la cura delle scelte nominali e il surplus di aggettivazione aderiscono certamente all’atmosfera borghese e comunque altolocata che fa da sfondo alle varie vicende, ma allo stesso tempo sembrano volgere i ritratti e le abitudini dei loro protagonisti in mera e impietosa caricatura. Ed è una perizia, questa, che si fa subito notare e apprezzare, e che come ben scrive Silvio Raffo mette in evidenza la precedente frequentazione “retorica” dell’autrice (che per un breve periodo fu anche legata sentimentalmente a Guido Gozzano):
Se lo sguardo dell’autrice sui personaggi e le loro vicissitudini è a tutti gli effetti “occhiuto” – e come tale multiplo, vigile e cinico – anche lo stile si accorda a una visione distaccata della realtà. In tante occasioni, più che un giudizio sprezzante, pare di intuire una malcelata canzonatura: la preziosità delle espressioni, il tono altisonante, la cura delle scelte nominali e il surplus di aggettivazione aderiscono certamente all’atmosfera borghese e comunque altolocata che fa da sfondo alle varie vicende, ma allo stesso tempo sembrano volgere i ritratti e le abitudini dei loro protagonisti in mera e impietosa caricatura. Ed è una perizia, questa, che si fa subito notare e apprezzare, e che come ben scrive Silvio Raffo mette in evidenza la precedente frequentazione “retorica” dell’autrice (che per un breve periodo fu anche legata sentimentalmente a Guido Gozzano):
«il linguaggio della Guglielminetti rivela la non lunga ma sapiente e doviziosa pratica della poesia, che fu la consolazione più grande di questa geniale e incorreggibile outsider assediata di continuo dalla consapevolezza dell’“infinita vanità del tutto”» (p. 9).
Incredibilmente attuali pur nel loro abito di primo Novecento, le prose di Amalia Guglielminetti si leggono con il sorriso tirato all’insù dal sarcasmo e da una buona dose di ironia, ma soprattutto di auto-ironia. I suoi “tipi bizzarri”, dopotutto, non siamo altro che noi. All’autrice (e alla casa editrice) il merito e il ringraziamento per avercelo così bene ricordato.
Cecilia Mariani
Cecilia Mariani
Social Network