#CriticaNera - Diamanti insanguinati e moderna schiavitù nell'ultimo romanzo di Federica Fantozzi

Il meticcio
di Federica Fantozzi
Marsilio, 2019

pp. 332
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


I diamanti sono fra i minerali più preziosi al mondo, arrivando a costare anche 15.000 dollari al carato. Nella loro rarissima variante rossa (a oggi ne esistono circa una trentina di esemplari) il prezzo sale a oltre un milione di dollari al carato: il diamante rosso è infatti la pietra più rara e preziosa al mondo. E come in ogni settore redditizio, anche sul traffico di diamanti si è sviluppato un mercato nero che, nella fattispecie, si mescola al traffico e al mercato di esseri umani e ai flussi dei migranti clandestini.
È su queste solide quanto orribili basi che poggia il romanzo di Federica Fantozzi, giornalista di comunicazione economica che ha scritto o scrive per le maggiori testate nazionali, e che dunque conosce bene l’ambiente editoriale e giornalistico in cui si muove la sua protagonista, Amalia Pinter, così come il vasto panorama da cui attingere per supportare la storia di finzione da lei creata.
Oltre a quanto già detto, infatti, Fantozzi affonda i denti nella cruda realtà della mafia nigeriana, quell’Ascia nera che, nel suo libro così come nella realtà, ha intessuto rapporti con Cosa nostra, mettendo radici a Palermo e da lì nell’Italia che conosciamo. Non è un caso se nello sviluppo della trama ci ritroviamo nei panni di Bambino, un africano costretto a nascondersi per sfuggire a chi lo vorrebbe morto, e con lui finiamo in quel Ghetto a pochi passi da Foggia, un luogo in cui la legalità è un concetto sfumato, nel quale convivono italiani e immigrati, bianchi e neri, regolari e mafiosi, in un crogiolo ai limiti del surreale fatto di baracconi, alimentari, “servizi” di prostituzione e moderne forme di schiavismo legate alla raccolta di pomodori, proprio quelle che vanno a ingrossare i conti in banca delle multinazionali alimentari, e ancora quegli stessi pomodori che compriamo a pochi centesimi al chilo ma il cui costo umano risulta altissimo.
All’autrice va quindi riconosciuto il merito di aver scritto un thriller-noir che porta alla luce i volti oscuri di tanti mercati puliti, così come l’aver indirizzato un faro contro crimini e criminali meno noti sulla scena italiana ed europea, affiancandoli ad altri più famosi come la mafia italiana, il caporalato e l’immigrazione clandestina. Il sano realismo di cui è composta la narrazione di Fantozzi, che decide di ambientare la maggior parte delle scene fra le vie e i locali di una Roma ben riconoscibile, è il punto di forza di questo romanzo, perché poche cose fanno salire i brividi lungo la schiena quanto poter ritrovare negli articoli di giornale la traccia degli eventi di fantasia di una storia e il poter riconoscere i luoghi in cui quegli eventi vengono raccontati.
D’altro canto, tuttavia, se questo libro risulta vincente nella sua verosimiglianza e nel suo intrecciarsi con la realtà malavitosa, è da notare che in più di un punto si insidiano delle debolezze, soprattutto al livello della trama. Alcune scelte, perlopiù legate allo sviluppo degli eventi, risultano non tanto forzate quanto già viste. Il sapore del déjà vu emerge prepotente in talune metafore non proprio azzeccate («Era indifesa come un coniglio in pentola», p. 203) e in cliché banali come quello del villain che, convinto di aver neutralizzato i buoni, racconta loro, con notevole godimento, il proprio piano malvagio, per poi ritrovarsi con una confessione in piena regola.
Altro fattore di demerito è, a mio avviso, il poco carisma del nemico: se da un lato infatti abbiamo un personaggio umano e credibile, con le proprie debolezze e un proprio vissuto, dall’altro non risulta indimenticabile, elemento questo che spesso contraddistingue questo genere di romanzi.
Il meticcio si rivela dunque un buon romanzo, godibile e leggibile, con l’enorme pregio di essere attualissimo e il discreto difetto di una trama non azzeccatissima.

David Valentini