Carnevale – la festa del mondo
di Giovanni Kezich
Laterza, 2019
pp. 216
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,90 (ebook)
Si fa presto a dire Carnevale: ogni anno, in diverse città, si rinnova il consueto appuntamento con maschere e sfilate, scherzi e balli festosi, ma quanti conoscono davvero il principio di questa festa, la cui origine sembra perdersi nella notte dei tempi, e la cui diffusione arriva addirittura oltreoceano, tra le strade colorate di Rio de Janeiro? Giovanni Kezich, antropologo e direttore del museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele all'Adige, intraprende un interessante viaggio all'interno di questa tradizione, ricostruendone la storia. Egli non è nuovo a pubblicazioni che riguardano quest'argomento, poiché nel 2015 è uscito, per l'editore Priuli e Verlucca, Carnevale re d'Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d'inverno. Stavolta, il suo racconto abbraccia un orizzonte più ampio, partendo da una interessante Prefazione, intitolata Detestavo il carnevale:
di Giovanni Kezich
Laterza, 2019
pp. 216
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,90 (ebook)
Si fa presto a dire Carnevale: ogni anno, in diverse città, si rinnova il consueto appuntamento con maschere e sfilate, scherzi e balli festosi, ma quanti conoscono davvero il principio di questa festa, la cui origine sembra perdersi nella notte dei tempi, e la cui diffusione arriva addirittura oltreoceano, tra le strade colorate di Rio de Janeiro? Giovanni Kezich, antropologo e direttore del museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele all'Adige, intraprende un interessante viaggio all'interno di questa tradizione, ricostruendone la storia. Egli non è nuovo a pubblicazioni che riguardano quest'argomento, poiché nel 2015 è uscito, per l'editore Priuli e Verlucca, Carnevale re d'Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d'inverno. Stavolta, il suo racconto abbraccia un orizzonte più ampio, partendo da una interessante Prefazione, intitolata Detestavo il carnevale:
L'occasione di un ravvedimento, tardivo ma credo proficuo, si presentò quando una quindicina di anni or sono dovetti cominciare a riflettere, per elementari motivi d'ufficio, sulla riorganizzazione delle sale dedicate ai riti dell'anno nel Museo dove lavoro, al centro di una zona, il Trentino, piuttosto ricca di mascherate tradizionali, come lo è del resto tutto l'arco alpino, al di qua e al di là degli spartiacque nazionali: non è certamente un caso, infatti, se lo stesso Arlecchino nasce in montagna, nelle Prealpi bergamasche della Val Seriana. (pp. VII-VIII)
Così, grazie ad un motivo prettamente lavorativo, Kezich allarga il proprio sguardo di studioso, fino ad oltrepassare i confini internazionali e, complice la sfilata di Pernik (Bulgaria), inizia lo studio di questa ricorrenza. La trattazione che lo studioso ci offre è estremamente ampia e l'indagine che egli svolge segue un percorso capillare e meticoloso, partendo dalle origini dell'uomo fino ad arrivare agli sviluppi ultimi del carnevale. Grande importanza, per l'evoluzione della festa, ricopre, naturalmente, l'età romana, con la fondazione, da parte di Romolo, dei Fratelli arvali, «specificatamente destinati alla sacralizzazione dei campi arati. Questa, la si impetrava attraverso il rito degli ambarvali, la processione benaugurante sulla superficie degli arativi condotta da dodici sacerdoti biancovestiti alla vigilia delle arature primaverili.» (p. 28)
Già questo primo collegio sembra avere tracce tangibili negli odierni scenari carnevaleschi:
Già questo primo collegio sembra avere tracce tangibili negli odierni scenari carnevaleschi:
Possiamo infatti certamente iscrivere all'albo dei Fratelli arvali i cosiddetti «blùmari» di Montefosca, in provincia di Udine, vestiti di bianco dalla testa ai piedi, con sulla testa un cono di mazzette di paglia, in mano un lungo alpenstock a mo' di bastone, che corrono più e più volte attraverso i campi (un tempo coltivati a grano, ora sono prati) tra i due minuscoli abitati di Montafosca e Paceida, compiendo un vero e proprio rito ambarvale. (pp. 30-31)
Pian piano, Kezich svolge una vera e propria analisi del Carnevale moderno, non dimenticandosi di effettuare le dovute differenziazioni tra quello di impianto moderno e le mascherate tradizionali. Colpisce, in particolar modo, la necessaria ricostruzione onomastica dei termini festivi, senz'altro complessa dato l'intrico di lingue e dialetti tra i quali è necessario farsi largo. Un esempio di quest'indagine è data proprio dal termine «mascherata»:
Per cominciare, osserviamo che il nome vero del rito in molti casi equivale a quello poco fantasioso di «mascherata», nelle sue varianti linguistiche regionali: mascherada e mascherèda (a Valfloriana e Penìa nel Trentino), maskarada (a Espes nella Soule basco-francese), mascra (a Castiglione Messer Marino nell'Abruzzo Citeriore), škoromatija (a Hrušica nel Carso sloveno), bagüta (a Menarola in Valtellina): «baùta», che appartiene alla stessa famiglia del bavaglio e del bavero, è infatti il nome lombardo-veneto del mascheramento, ed è tuttora il nome del principale vestimento mascherato della Venezia del Settecento. (p. 41)
Stessa attenzione è data all'altro grande termine della trattazione, ossia «carnevale», per il quale si riprende il lemma «carnelevare», apparso alla metà del X secolo «in un atto latino di Subiaco del 965», dove però appare solo come una semplice «scadenza fiscale chiesastica […]. Solo più avanti, infatti, alla fine del XII secolo esso sembra assumere il significato ludico con cui lo distinguiamo oggi, quando troviamo un ludus carnelevarii attestato a Roma nella sede apostolica». (p. 122)
Quelli qui riportati sono solo una piccola parte dei concetti affrontati nel libro, il quale costituisce una ricca e imprescindibile pubblicazione per chi volesse approfondire la storia di questa ricorrenza, che, come scrisse Goethe, «non è una festa che si offre al popolo, ma è una festa che il popolo offre a se stesso».
Quelli qui riportati sono solo una piccola parte dei concetti affrontati nel libro, il quale costituisce una ricca e imprescindibile pubblicazione per chi volesse approfondire la storia di questa ricorrenza, che, come scrisse Goethe, «non è una festa che si offre al popolo, ma è una festa che il popolo offre a se stesso».
Valentina Zinnà
Social Network