di Beppe Fenoglio
Einaudi, 2014
1^ edizione: 1969, a cura di Maria Corti
pp. 132
€ 10 (cartaceo, Einaudi Tascabili)
€ 6,99 (ebook)
«Ecco là gli uomini che si chiudevano fra quattro mura per le otto migliori ore del giorno, tutti i giorni, e in queste otto ore nei caffè e negli sferisteri e sui mercati succedevano memorabili incontri d'uomini, donne forestiere scendevano dai treni, d'estate il fiume e d'inverno la collina nevosa. Ecco là i tipi che mai niente vedevano e tutto dovevano farsi raccontare, che dovevano chiedere permesso anche per andare a casa a veder morire loro padre e partorire loro moglie. E alla sera uscivano da quelle quattro mura, con un mucchietto di soldi assicurati per la fine del mese, e un pizzico di cenere di quella che era stata la giornata. Disse di no con la testa per l'ultima volta». (pp. 22-23)
Quanto è difficile tornare alla vita quotidiana, dopo aver rischiato di morire come partigiano? Ettore, il protagonista di La paga del sabato di Beppe Fenoglio, fatica a rientrare nella miseria della famiglia, ma soprattutto non riesce ad arrendersi alla necessità di lavorare, come tutti gli altri. Però non ce la fa più a sopportare le occhiate di disapprovazione della madre, la rassegnazione del padre, o ad accettare che la ragazza che frequenta, Vanda, dia per scontato di non poter costruire niente con lui. Ettore è visto da tutti come un perdigiorno, lui che fuma le sigarette comprate coi pochissimi soldi della famiglia, che passa le sue giornate a bighellonare, mentre il mondo va avanti e fa di tutto per risollevarsi dalla miseria della guerra ormai finita.
Egoista ed egocentrico, aggressivo nella sua inettitudine, Ettore non è un protagonista per cui si parteggia: non ci si sconvolge neanche quando, messo alle strette dal bisogno economico, decide di scantonare l'offerta di un lavoro impiegatizio e preferisce l'idea di diventare uno scagnozzo di Bianco, un modesto signorotto locale, con traffici loschi e una sua rete di "persone di fiducia". Ettore all'inizio ha qualche perplessità, ma poi si lascia tentare dalla necessità di tornare a girare con la pistola in tasca e picchiare qualche ex fascista arricchitosi ai danni dei compaesani. Sono apparentemente soldi facili, quelli che Bianco gli allunga e che lui porta in parte ai genitori: stupore, compiacimento e sospetto sono un tutt'uno negli occhi della madre. Neanche questo lavoro (formalmente come camionista) basta però a far trovare la pace all'inquieto Ettore, che non riesce a intravvedere il suo futuro, né con Vanda né con altre. Almeno finché le cose non si complicano e si prepara una tragedia finale...
Non c'è compassione da parte di Fenoglio per il suo protagonista, né registriamo sdegno o altro: nelle sue pagine si respira un'impostazione da Neorealismo, ibridata però con la marca stilistica tipica dello scrittore albese. E dire che all'inizio questo suo romanzo breve è stato osteggiato da Vittorini! Quando il testo, negli anni Cinquanta, è arrivato alla casa editrice Einaudi, Calvino si è mostrato interessato a questa tra le primissime prove di Fenoglio: vi trova certamente «molti difetti, sei spesso trascurato nel linguaggio, tante piccole cose andrebbero corrette, molte cose urtano il gusto - specie nelle scene amorose - e non tutti i capitoli sono egualmente riusciti». Eppure, nella lettera che Calvino invia a Fenoglio, rimarca subito la sua capacità di «centrare situazioni psicologiche particolarissime con una sicurezza che mi sembra davvero rara». Anche Natalia Ginzburg concorda con Calvino; eppure, La paga del sabato non viene pubblicato, a causa delle tante perplessità di Vittorini.
In risposta, Fenoglio ammette che questo romanzetto «è il frutto, piuttosto difettoso anche se magari interessante, di una mia cotta neoverista che ho ormai superata» (forse per scrivere La malora). Così, La paga del sabato resta sepolto tra i faldoni Fenoglio, che sarebbero andati al macero, se nel 1969 Maria Corti non avesse salvato parte di questo preziosissimo fondo e avesse curato la prima edizione del romanzo breve. E ringraziamo ancora oggi Maria Corti per aver fatto pubblicare questa piccola vivida testimonianza di fallimento sociale e di identità continuamente inquieta: anche oggi, La paga del sabato è per i lettori un caso di incontro con un personaggio scomodo ma certamente rappresentativo della sua epoca di enormi cambiamenti, a cui per alcuni era impossibile adeguarsi.
GMGhioni