di Lorenzo Licalzi
Rizzoli, 2019
pp. 315
€18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Parigi. Lo scrittore Tristan Dubois, assurto alla fama e in vetta alle classifiche grazie a un unico romanzo, inseguito da lettrici osannanti e in fuga da se stesso, è in realtà in crisi. Come scrittore perché da tempo non mette più una riga sulla pagina bianca. E come uomo, perché è appena stato mollato dalla fidanzata nella quale lui aveva riconosciuto l'amore della sua vita, l'altra metà di sé. E proprio per festeggiare questa scoperta, il pirlotto (si può dire? eh ormai l'ho detto...) si è fatto beccare a letto con la di lei sorella, ma non una volta sola, pur perdonato, no!, anche la seconda. Fatte le valigie, Isabelle, la fidanzata, decide di tagliare.
Fin qui le solite cose, lo scrittore in crisi, il maschio alfa che per dimostrare a se stesso e agli amici di non essere caduto nella trappola di Cupido, pensa bene di riaffermare la sua indipendenza. Che, guarda caso, passa sempre per il letto di un'altra. Insomma, nulla che mi facesse presagire un buon proseguimento.
Finché a un certo punto, a mo' di deus ex machina, interviene l'agente letterario di Tristan, che, per fargli cambiare aria, sperando che il cambiamento gli faccia ritrovare la vena creativa, lo spedisce in Borgogna, dove possiede una casa in un minuscolo paese tra le vigne, Morgy. Cambia la scena e, insieme, muta anche il respiro della storia. A Morgy, infatti, vive, ormai ultranovantenne, in una grande dimora sulla collina, Wilfred Baumann, in gioventù tenente nazista di stanza proprio in quel paese. Gli abitanti lo odiano perché settant'anni prima si era reso responsabile di un atto di vendetta, ordinatogli dai suoi superiori: l'esecuzione di dieci uomini, scelti a caso, come rappresaglia perché nessuno voleva rivelare chi aveva ucciso il comandante tedesco Koch in un agguato.
Che Baumann sia tornato "sul luogo del delitto", anche se anziano, la gente di Morgy non lo può sopportare. A maggior ragione visto che di mezzo c'era stato anche il suicidio, o almeno così sembrava, di una giovane del posto a cui Baumann aveva rivolto le sue attenzioni. Tutte cose che Tristan, in paese, viene a sapere da mezze parole, chiacchiere, risposte date di traverso. Lo scrittore, incuriosito dall'alone di mistero che circonda la storia inizia a fare domande e gli abitanti reagiscono male. Nemmeno il tempo può cancellare dalla memoria collettiva un atto tanto atroce.
Fino a che, un mattino, è proprio l'anziano Baumann a farlo chiamare al suo cospetto per affidargli una cosa preziosissima, il suo diario al quale aveva affidato le sue ore più difficili. E più accorate.
«Sono disperato. Constance ieri notte non è venuta all'appuntamento. Era tutto organizzato, avrebbe dovuto soltanto andare a casa, prendere di nascosto le sue cose e tornare da me, mentre i suoi dormivano. Sarebbe scappata con me. (...). Ho aspettato. Quasi un'ora contro ogni logica, facendo rischiare la vita ai miei uomini. Della mia, senza Constance, non mi importa, della loro sì, molto». (pp. 162-164)
Che cosa vuole dallo scrittore il vecchio tedesco? Che racconti, se vuole, la sua storia. La sua triste storia. Perché se Baumann è tornato a Morgy, sfidando l'odio della gente, è solo per amore.
Da questo momento il romanzo decolla. Un passaggio che l'autore segna anche con un uso diverso della lingua: fino a questo momento giocata tutta sulla paratassi e sui dialoghi dal parlato molto marcato (a volte eccessivamente quotidiano), la lingua con cui viene narrata la storia di Baumann, nonché il linguaggio usato dal tedesco stesso, innalzano lo stile. Spariscono anche certe frasi un po' "arrampicate" («Isabelle era la donna dei contrasti, la parte femminile di un sinonimo che c'è nel suo contrario», tanto per fare un esempio oppure «I rapporti tra due persone soddisfano a volte esigenze sotterranee, equilibri instabili di profondità variabile»), che sembrano un po' fare l'occhiolino alla metaletterarietà di uno scrittore che parla di uno scrittore.
Il racconto di Baumann, le sue parole asciutte, ma precise, essenziali, ma intrise di dolore, rendono giustizia all'abilità di Licalzi, che ha saputo rendere grande una figura storicamente esecrabile. Quasi come in un affascinante ossimoro, il personaggio del romanzo che avrebbe tutte le caratteristiche per rappresentare la parte negativa, si staglia, sopra tutti, con una nobiltà d'animo inattesa. Ascoltate, per esempio, questa frase, che io ho trovato perfetta, nel suo significato e nella sua costruzione:
Ci sono destini peggiori della morte. Il mio è stato quello di vivere, e combattere, e uccidere (p. 102)
O ancora
La guerra ti costringe a compiere crimini inenarrabili ma non ti assolve per averli compiuti (p. 185)
Una personalità ancora più alta se paragonata alla piccola meschinità di alcuni abitanti del paese, che hanno i loro begli scheletri nell'armadio, figure che l'autore sa costruire a tutto tondo, pur se con un ruolo da comprimari. Forse il personaggio che meno mi ha convinto è stato proprio Tristan, lo scrittore: troppo guascone, bellimbusto, innamorato, nell'ordine, di sé, della sua moto e del Paris Saint-Germain. E poi, forse, di Isabelle. Troppo invischiato, pur essendo adulto, nel suo processo di formazione, che parte dall'incapacità di investire qualcosa d'importante in una storia d'amore.
Ma, in fondo, è proprio questo alternarsi di alto/basso che dà un ritmo particolare alla lettura. E che porta il lettore al giusto grado di tensione, quasi senza rendersene conto, in modo leggero. Senza troppo rivelare, dirò infatti che la storia vira verso il giallo con la giusta rincorsa, fino ad arrivare alla soluzione. Una soluzione che sarà corale perché vi parteciperanno Isabelle e altri abitanti di Morgy, qualcuno con un ruolo non certo secondario.
In sintesi, un romanzo seducente, che partendo da un'idea originale e sviluppandola con alcuni colpi d'ala interessanti, riesce a regalare al lettore il piacere di una bella storia. A colori, dal rosa al giallo, passando per il rosso della passione e il nero della morte.
Rosatea Poli