Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi
di Mishima Yukio
Atmosphere libri, 2019
Traduzione e testi critici di Virginia Sica
pp. 226
€ 17,00
Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi, edito da Atmosphere libri nella collana asiasphere (progetto nato con l’obiettivo di far conoscere in Italia titoli di alta qualità provenienti dai paesi dell’Asia orientale e del Sudest asiatico, ponendo l’attenzione sia sulle letterature giapponesi e cinesi sia su alcune realtà letterarie ancora poco o quasi del tutto inesplorate, come quelle della Corea o dell’Indonesia), raccoglie in un volume dall’elevato valore accademico due testi di Yukio Mishima, inediti in Italia, ma che rappresentano la perfetta esemplificazione della classicità universale del padre della letteratura moderna giapponese e della sua coerenza ideologica e stilistica in una «”continuità ellittica” di ispirazioni, temi e prassi letterarie» (p. 194, apparato critico di Virginia Sica).
Medioevo è un racconto pubblicato nel 1946, ma scritto nel 1945 quando Hiraoka Kimitake (vero nome dello scrittore) lavora nella biblioteca della base navale di Zama (prefettura di Kanagawa), al culmine del secondo conflitto mondiale. La storia racconta delle reazioni di alcuni membri della corte dello shōgun Ashikaga Yoshimasa alla morte prematura del suo adorato figlio Yoshihisa. Siamo nel pieno dell’epoca degli shōgun, il Medioevo giapponese, appunto, quando il ruolo dell’imperatore viene svuotato della sua autorità lasciando, di fatto, la gestione del Paese a un’amministrazione di stampo feudale per mano dei membri della guardia militare, gli shōgun, e dei loro eredi (assetto che perdurerà fino alla metà del XIX secolo con la restaurazione di epoca Meiji). Le sette parti del racconto vorticano attorno a temi che saranno cari all’autore di Confessioni di una maschera, tutti scaturiti dagli stati mentali vissuti dai protagonisti di fronte alla morte del giovane governante: la spiritualità della sacerdotessa Ayori che dimenticherà le sue funzioni ministeriali smarrendo la visione trascendente delle cose, l'abdicazione del maestro zen Ryōkai dai doveri morali in favore della pulsione del corpo, la ricerca e i viaggi del medico di corte Teia per lenire il dolore del suo signore, e infine lo shōgun Yoshimasa stesso e la tartaruga di cui si invaghisce (spiritualmente). La storia, vera e fedele nelle sole due figure realmente esistite dello shōgun e di suo figlio, possiede la forza pittorica tipica di tutte le produzioni letterarie di Mishima. Se manca l’intenzione di raccontare uno spaccato, l’oscurità e la dimensione mistica di Medioevo tradiscono un profondo senso di inquietudine interiore: Mishima stesso dirà che il racconto è stato il suo modo di reagire ai fatti storici a lui contemporanei, quando la sensazione costante era quella di trovarsi sull’orlo della fine del mondo giapponese, con il presentimento che tutto il Paese sarebbe stato annientato e schiacciato dalle forze Alleate. L’oscurità del linguaggio, volutamente arcaico, sebbene anticipi uno dei tratti distintivi del suo stile, «la tensione filologia e la cura del dettaglio storico» (p. 181), rappresenta solo un espediente per dipingere uno stato d’animo, una tensione verso la morte per esorcizzare il presentimento di una fine imminente.
Dieci anni dopo Mishima scrive Il palazzo del bramito dei cervi, un testo teatrale che conferma l’amore e la passione dell’autore per le forme artistiche del teatro nō e kabuki. Il testo, pur ambientato in un altro momento storico, continua idealmente il filone della Storia usata come cornice pittorica per raccontare una dimensione altra, già ravvisabile nel racconto sullo shōgun Yoshimasa. In questo caso, la superficie esterna è una tragedia in quattro atti che racconta i fatti del 3 novembre 1886, quando il Conte Kageyama ospita un ballo al famoso Rokumeikan di Tokyo, il palazzo del bramito dei cervi, in onore del compleanno dell’imperatore. La sede scelta per questo dramma non è casuale: il palazzo è la sede della cultura occidentale in Giappone, con l’obiettivo di esemplificare in un edificio il processo di apertura al mondo europeo in atto dall’inizio dell’epoca Meiji, quando cioè la chiusura voluta dallo shōgunato ha lasciato il posto a una fitta rete di contatti e rapporti con il resto del mondo. In questo simbolo della contorta relazione del Giappone con l’Occidente, le molte tensioni dell’opera si scontrano. La moglie di Kageyama, Asako, un’ex geisha, deve affrontare i fantasmi del suo passato quando l’amore della sua vita, Kiyohara, leader della coalizione liberale e antigovernativa (quindi, di fatto, contraria all’apertura all’Occidente), arriva al ballo, inconsapevole che il conte Kageyama ha ordito un complotto per ucciderlo. Accanto all’intrigo politico, l’elemento umano dell’amore perduto e ritrovato - l’amore duraturo di Asako per Kiyohara e il nuovo amore di due giovani, Akiko e Hisao - si esaurisce in un tragico epilogo, di certo prevedibile sin dalle prime battute, ma che offre importanti spunti di riflessione sull’«universalità atemporale» (p. 198) che tutte le opere di Mishima possiedono e che lo rendono un autore vicinissimo a qualunque lettore, di ogni epoca o luogo.
Sotto la superficie storica di entrambi i testi scorre il fiume magmatico della grande Cultura giapponese che l’autore vuole preservare e congelare nelle sue opere, innestandola di volta in volta in situazioni ed emozioni sempre diverse. Entrambi i testi condividono la scissione degli individui tra dimensione privata e dinamiche di potere pubbliche, senza che per questo l’autore intervenga con giudizi etici o pendendo per un personaggio o un altro. La sua è una scrittura letteraria che pone al centro delle sue riflessioni l’uomo inteso come membro di una collettività che spesso lo aliena o annienta. La realizzazione di tale dipinto, proprio per una maggiore adesione e coerenza, passa attraverso l’uso di un registro linguistico sempre diverso, adatto a favorire la correlazione tra Storia e storia. C’è una tale potenza di suggestioni e pensieri in Mishima da non lasciare scampo, un’inevitabile catena che avvince per la forza dirompente di quello che racconta. Una coerenza integerrima, che l’autore ha interpretato a trecentosessanta gradi in tutta la sua persona (si pensi, ovviamente, al seppuku del 1970) e che rende il suo corpus un continuum letterario coerente.
Nella pregiata edizione di Atmosphere libri, curata in ogni parte e di assoluta completezza grazie alle introduzioni storiche e alle note di entrambi i testi, a una postfazione, a una sintesi biobibliografica dell’autore e a un glossario (tutto a cura dell’illuminante penna di Virginia Sica), Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi permette una scoperta globale (e inedita) di un autore che non smette mai di sorprendere.
Federica Privitera