Miss Comedy Queen
di Jenny Jägerfeld
DeA, 2019
pp. 255
€ 14,90 (cartaceo)
Sasha non ha ancora compiuto dodici anni, ma ha già un progetto chiaro per il futuro, dettagliato in una lista di obiettivi articolata in sette punti. Alcuni di questi, come tagliare i capelli cortissimi, o vestire colori vivaci, sembrano semplici; altri (non leggere mai più un libro, non prendersi mai cura di un essere vivente) sono invece più difficili da realizzare. Il più importante di tutti, diventare una cabarettista in grado di far sbellicare tutti dalle risate, pare invece quasi impossibile per una ragazzina che, lei lo sa bene, non ha mai avuto le funny bones, ovvero quella capacità innata di risultare comica anche con una sola parola, con un gesto, con un'espressione. Per Sasha, però, è fondamentale rispettare con estrema precisione ogni punto della lista: perché se tua madre si è uccisa a trentasei anni, vuol dire che qualcosa ha sbagliato, e che per non fare la stessa fine è fondamentale prendere strade diverse, essere una persona diversa:
Mamma ha fallito nella vita, ed è morta. [...] Io invece voglio avere successo, e un modo per riuscirci deve essere per forza non fare le cose che faceva lei. Imparare dai suoi errori e fare il contrario. (p. 25)
Così la ragazzina sublima il suo dolore, la sua rabbia, in una missione: inizia a depennare punti, a fare sacrifici senza ammettere quanto le pesino, perché avere un fine concreto aiuta a non pensare al vuoto che si spalanca intorno.
Ci sono, in verità, molte persone importanti intorno a lei: la sua amica Marzia, allegra e sensibile, che sa come essere presente senza invadere mai; poi c'è lo zio Oskar, giovane e iperattivo, sempre complice, anche se un po' goffo; la maestra Cecilia, che riesce a vedere oltre la superficie delle cose e per questo è una figura un po' scomoda; e poi la nonna, e soprattutto il papà, che è tutto ciò che resta e che bisogna proteggere dalla sofferenza a ogni costo, anche se questo implica non fargli mai capire come si sta davvero. È perciò fondamentale evitare il pianto, sostituirlo con il riso, anche se non e sempre facile:
Ci sono, in verità, molte persone importanti intorno a lei: la sua amica Marzia, allegra e sensibile, che sa come essere presente senza invadere mai; poi c'è lo zio Oskar, giovane e iperattivo, sempre complice, anche se un po' goffo; la maestra Cecilia, che riesce a vedere oltre la superficie delle cose e per questo è una figura un po' scomoda; e poi la nonna, e soprattutto il papà, che è tutto ciò che resta e che bisogna proteggere dalla sofferenza a ogni costo, anche se questo implica non fargli mai capire come si sta davvero. È perciò fondamentale evitare il pianto, sostituirlo con il riso, anche se non e sempre facile:
Occhi che si riempiono di lacrime. Facendo grande attenzione, mi distendo sul pavimento, per impedire loro di uscire. Guardo il soffitto, dove l'intonaco sta cominciando a staccarsi. Non voglio sbattere le palpebre perché altrimenti le lacrime potrebbero scendere, e io mi rifiuto di piangere. E se le lacrime rimangono negli occhi senza scendere sulle guance, non è pianto. (p. 53)
Nel forsennato tentativo di apparire "felice" e "normale", Sasha si mostra al mondo allegra e imperturbabile, anche se nella facciata di apparente superficialità, in mezzo agli autoinganni che lei porta avanti anche a danno di se stessa, si spalancano a tratti abissi di pena: ricordi improvvisi e subito rimossi, somiglianze scoperte e immediatamente rinnegate, frammenti di un passato che ritorna nei più piccoli dettagli del quotidiano. E il percorso di crescita, di accettazione e rielaborazione del proprio lutto passa necessariamente attraverso una ridefinizione degli obiettivi: cosa vuole realmente Sasha? È davvero diventare “Miss Comedy Queen” la sua massima ambizione? E a cosa serve veramente la lista? È una via per la guarigione, o piuttosto una punizione autoinflitta per esorcizzare i sensi di colpa? A queste, e ad altre domande dà risposta l'autrice in questo romanzo che si rivolge primariamente a un pubblico di giovanissimi. Commovente ma non sdolcinato, duro ma mai impietoso, lo scritto di Jenny Jägerfeld mette in scena il delicato tema della depressione nella sua complessità e ambivalenza, soffermandosi in particolare sugli strascichi di dolore che porta con sé (per i malati e per i loro famigliari) senza volerli edulcorare a tutti i costi. Attraverso la figura di Sasha, con cui i lettori non faticheranno ad immedesimarsi, l'autrice sottolinea l'importanza di comunicare, di non reprimere – per pudore, per paura – i propri sentimenti. La chiave interpretativa per l'opera viene esplicitata in termini chiarissimi nei Ringraziamenti finali:
ritengo che il pericolo non stia tanto nell'essere addolorati, pieni di rabbia o preoccupati quanto nel trovarsi a dover affrontare da soli pensieri e stati d'animo così difficili e pesanti. Perché si corre il forte rischio di sentirsi veramente soli al mondo, di credere che il problema da cui si è afflitti non possa essere risolto e che uscire dalla propria condizione di sofferenza sia impossibile. Si corre il rischio di dimenticare che le cose possono cambiare. (pp. 254-255)
Se i temi del suicidio e della malattia mentale sono da un lato certamente spinosi, soprattutto se coinvolgono prodotti culturali rivolti ai giovani (si pensi solo al dibattito, non così lontano nel tempo che ha accompagnato la circolazione di Tredici di Jay Asher), per la scrittrice, che è anche psicologa, è fondamentale che non si creino tabù, e che tutti contribuiscano a creare una rete di informazione e conoscenza che possa diventare anche rete di sicurezza per i nostri adolescenti.
Carolina Pernigo