di Peter Cameron
Adelphi, 2012
Traduzione di Giuseppina Oneto
pp. 212
€ 18,00
È la primavera del 1950 quando Coral arriva a villa Hart, per assistere l'anziana padrona di casa, malata terminale. Il clima cupo e opprimente della magione e della foresta limitrofa, accresciuto dall'umidità e dalle piogge continue, si oppone alla giovinezza della ragazza, al suo bisogno di evasione, di libertà. Nel corso di giornate che scorrono fosche, lunghe e sempre uguali, l'infermiera e il Maggiore Hart, reduce e invalido di guerra, si incontrano, si sfiorano, si trovano, si perdono. Sono due persone profondamente diverse, eppure straordinariamente simili: entrambi portano con sé il peso di ferite profonde e insanabili. Fisiche, quelle di Clement, prigioniero di una reclusione autoimposta, che diventa alibi per non affrontare il confronto con il mondo:
Il corpo sfigurato lo escludeva dalla competizione della vita che più di ogni altra temeva: la categoria di amante e dunque di sposo. Aveva provato un gran sollievo all'idea di essere esonerato dall'amore e dal matrimonio, e da tutte le complicanze e le mortificazioni preliminari e successive. Era una fortuna che gli fossero precluse le relazioni intime, visto che non si era mai sentito a proprio agio con gli altri in generale, e tantomeno con le donne. (p. 66)
Più profonde sono invece le ferite di Coral, che ha alle spalle una storia di violenza, non ha più una famiglia, non ha una casa, e ha tanto paura della felicità da anticipare sempre il momento della sua fine per ridurre la delusione. Quella narrata da Cameron in questo breve romanzo, è la storia dell'incontro di due fragilità, di due solitudini, ma soprattutto è un lungo, mascherato, discorso sull'amore.
Perché non esiste un solo tipo di amore: è amore quello di Clement per Coral, anche se nato dall’ansia dell’abbandono e quindi un po' egoistico, soverchiante; è amore, a suo modo, quello inquieto e instabile della ragazza, che nel Maggiore trova sicurezza, protezione; ma è amore anche quello di Robin per Clement, rinnegato nel tempo, ma sempre presente negli occhi e nei pensieri, sempre memore di quei trascorsi giovanili di cui non si osa più parlare. Ed è amore quello di Dolly per Robin, un amore di quotidianità, tenerezza, accettazione silenziosa del fatto di non poter avere il pieno controllo sui sentimenti dell'altro. La domanda su cosa sia l'amore, cosa la felicità, ricorre continuamente nel testo e non trova mai soluzione, perché per Cameron non c'è risposta, o ce ne sono troppe. La forza straordinaria dello scrittore risiede proprio nella capacità di non imporre un'etichetta alle relazioni, ai sentimenti. Di rifiutare ogni definizione precostituita, ogni sviluppo prevedibile, ogni conclusione facile e logica. È la vita quella che viene trasposta sulla carta, e come tale è sfumata e contraddittoria, piena di punti oscuri, di momenti di dolore. È la vita che separa Coral e Clement, che non paiono mai davvero capaci di comunicare, di incontrarsi al di là dei reciproci pregiudizi, delle idee (sbagliate, a tratti clamorosamente) che ognuno ha circa i desideri e i bisogni dell'altro.
Perché non esiste un solo tipo di amore: è amore quello di Clement per Coral, anche se nato dall’ansia dell’abbandono e quindi un po' egoistico, soverchiante; è amore, a suo modo, quello inquieto e instabile della ragazza, che nel Maggiore trova sicurezza, protezione; ma è amore anche quello di Robin per Clement, rinnegato nel tempo, ma sempre presente negli occhi e nei pensieri, sempre memore di quei trascorsi giovanili di cui non si osa più parlare. Ed è amore quello di Dolly per Robin, un amore di quotidianità, tenerezza, accettazione silenziosa del fatto di non poter avere il pieno controllo sui sentimenti dell'altro. La domanda su cosa sia l'amore, cosa la felicità, ricorre continuamente nel testo e non trova mai soluzione, perché per Cameron non c'è risposta, o ce ne sono troppe. La forza straordinaria dello scrittore risiede proprio nella capacità di non imporre un'etichetta alle relazioni, ai sentimenti. Di rifiutare ogni definizione precostituita, ogni sviluppo prevedibile, ogni conclusione facile e logica. È la vita quella che viene trasposta sulla carta, e come tale è sfumata e contraddittoria, piena di punti oscuri, di momenti di dolore. È la vita che separa Coral e Clement, che non paiono mai davvero capaci di comunicare, di incontrarsi al di là dei reciproci pregiudizi, delle idee (sbagliate, a tratti clamorosamente) che ognuno ha circa i desideri e i bisogni dell'altro.
Cameron riesce, come sempre, a mettere a fuoco eventi e sentimenti minimi, che pure restituiscono un universo di significato. L'autore sa carezzare le parole, i personaggi; si muove sempre ai margini del non detto, al limite di pensieri che i suoi protagonisti non sono disposti ad ammettere neanche con se stessi. Non c'è una verità da raggiungere, perché i personaggi in prima persona non la conoscono. Le contingenze che hanno avvicinato Clement e Coral sono anche quelle che li portano alla lunga a imboccare strade diverse. E per Coral, che non a caso è colei che dà il titolo al volume, questo è il momento di rottura necessario alla crescita. La stasi comporta l'infelicità, l'assoluta mancanza di senso ("non voleva che le capitasse più nulla nella vita: non riusciva a immaginare qualcosa che non fosse brutto o deludente", p. 131); Coral si sente paralizzata, come i colibrì impagliati sotto una campana di vetro che decorano il soggiorno di Villa Hart, un luogo a sua volta immutato da decenni, in cui tutto quello che capita deve avvenire al di sotto della superficie, per non guastarne l'immagine di apparente perfezione. Solo l'allontanamento, il rifiuto della soluzione più comoda e prevedibile, produce il passaggio a qualcosa che assomiglia alla serenità:
Pensò: sono più felice di quanto meriti, anche se questa non è esattamente la felicità. Però era una sorta di libertà: erano così tanti i problemi alle sue spalle - tutto era stato un problema, sempre, da un sacco di tempo - che sentirsi affrancata da quell'oscurità in continua espansione era una specie di gioia. (p. 142)
Questo è il prodromo all'ingresso definitivo nell'età adulta, alla risoluzione dei conti in sospeso, alla maturità e alla consapevolezza delle scelte. Mentre tutti gli altri personaggi restano in qualche modo ancorati al loro modo di essere, Coral sceglie se stessa:
Finito il pranzo uscire in strada. Dalla vetrina guardò il suo tavolino che non era stato ancora sgomberato, e i resti del pasto costituivano una prova evidente: lei era una persona vera. Esisteva ed era libera. (p. 154)
Cameron ci racconta sempre di personaggi alla ricerca di qualcosa – spesso di risposte, o di un senso alla propria esistenza. La ricerca di Coral la porta ad avventurarsi in luoghi ignoti e oscuri: in qualcuno di questi, forse, in mezzo al profumo stordente dei fiori, si nasconde "il cuore dorato e incandescente dell'universo" (p. 35), in altri – circondato dalle foglie pungenti e mormoranti dell'agrifoglio – si può incontrare il male, "la peggior specie di violenza", e si può "per[dere] un bottone, e tante altre cose" (p. 212), compresa l'innocenza. Alla fine di tutto, però, si esce alla luce, alla vita. E ci si trova irrimediabilmente, definitivamente cresciuti.
Carolina Pernigo
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