Non c'è libertà senza legalità
di Piero Calamandrei
Laterza, 2019 (edizioni precedenti: "Anticorpi", 2013)
pp. 72
€ 9 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)
La libertà, come fervore di vita dello spirito, come vitalità morale, non sono le leggi che possono crearla in chi non la vuole; ma per chi l'ha e vorrebbe praticamente esplicarla in opere, sono le leggi che debbono praticamente assicurargli la libertà politica di poter esplicare la sua libertà morale (p. 5).Chiunque abbia mai preso tra le mani un libro della facoltà di Giurisprudenza o abbia respirato anche solo per un breve periodo l'odore dei manuali delle leggi, non potrà rimanere indifferente di fronte al nome di Piero Calamandrei: avvocato, politico e accademico tra i più illuminati, celebri e competenti ai quali il nostro Paese abbia mai dato i natali. Tra i suoi innumerevoli lasciti possiamo senza dubbio ricordare l'attiva partecipazione ai lavori parlamentari come componente della Commissione per la Costituzione italiana.
Proprio quando pensavo di aver oramai letto o studiato tutte le opere del grande Calamandrei, ho saputo che sarebbe uscito Non c'è libertà senza legalità (Laterza, 2019, edizioni precedenti: "Anticorpi",2013), originato dalla risistemazione delle 75 pagine manoscritte databili al 1944 e intitolate Libertà e legalità contenute in un fascicolo della Donazione Cappelletti sita a Montepulciano (Siena), e pervenute all'Archivio Calamandrei di Montepulciano nel 2009.
Inizialmente scritto sotto forma di Appunti sul concetto di legalità nel corso dell'esilio subito dal giurista nella località di Colcello durante l'inverno 1943-1944, per poi essere portato a termine nella Firenze appena liberata, questo piccolo pamphlet si è sviluppato in seguito in forma di lezioni nella stessa Università di Firenze, di cui Calamandrei riprese il rettorato dopo averlo interrotto nel settembre del 1943 per il rischio di essere arrestato, lezioni tanto stimolanti da spingerlo ad arricchire i suoi scritti anche con le annotazioni delle discussioni con gli studenti.
La legalità è condizione di libertà, perché solo la legalità assicura, nel modo meno imperfetto possibile, quella certezza del diritto senza la quale praticamente non può sussistere libertà politica. Certezza del diritto, cioè certezza dei limiti entro i quali si estende la libertà di ciascuno e al di là dei quali comincia la libertà dell'altro: certezza del diritto, ossia possibilità pratica per ciascuno di conoscere, prima di agire, quali sono le azioni lecite e quelle vietate, cioè quali sono le azioni che egli può compiere per esercitare la sua libertà senza violare insieme la libertà altrui (p. 11).Scritto con un linguaggio semplice, agevole ma mai banale, Non c'è libertà senza legalità ci restituisce le riflessioni di un grande uomo, di uno studioso che ragionava su temi che oggi possono apparirci banali (come ad esempio la certezza del diritto e della pena, la non modificabilità di alcuni principi fondamentali, l'irretroattività della legge), ma che all'epoca rappresentarono delle autentiche conquiste per coloro che credevano che il costante miglioramento del diritto fosse uno degli obiettivi da perseguire tenacemente per il miglioramento della società.
Da queste poche pagine emerge il fortissimo senso di etica che muoveva quest'uomo, la giustizia e la legalità che non smisero mai di animare e ispirare le sue azioni.
Per concludere questa breve riflessione, Non c'è libertà senza legalità dimostra quanto ci sia ancora bisogno degli insegnamenti, delle parole e degli ideali di uomini come Piero Calamandrei, di quanto ci sia una disperata urgenza della serietà e della moralità di studiosi del suo calibro.
Se è vero che giuristi come Piero Calamandrei, Stefano Rodotà, Francesco Carnelutti hanno costituito un unicum nella storia del nostro Paese, non possiamo smettere di sperare e di augurarci che altri dopo di loro seguano il solco da essi tracciato e ispirino le loro azioni agli ideali di questi degni rappresentanti del nostro popolo.
Perché le leggi, le quali non sono che schemi di persuasione, possano godere di quell'autorità che invita i cittadini a farle proprie, occorre che essi le sentano come cosa propria, come espressione della loro stessa coscienza e volontà: il che non si ottiene senza la libertà. Questa è la ragione per la quale le leggi emanate nel periodo fascista hanno dato, e danno, alla maggioranza dei cittadini la stessa impressione di leggi emanate da un invasore straniero, la ragione per la quale gli italiani non si sono mai sentiti impegnati a rispettare le leggi fasciste e le stesse alleanze internazionali segnate da questo governo tirannico in cui esprimere la propria opinione era vietato, Traditori? Ma io rispetto la mia propria firma, non la firma degli altri, la firma del truffatore che si spaccia come mio rappresentante senza esserlo (pp. 32-33).Ilaria Pocaforza
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