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#CritiCINEMA - In sala nel 1938, insieme a Giorgio Treves

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La sala è gremita, letteralmente, per la proiezione di 1938 Diversi di Giorgio Treves. Il documentario, nato per commemorare le leggi razziali a ottant'anni dalla promulgazione, viene proiettato grazie al Circolo del Cinema in collaborazione, tra gli altri, con l'Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea e la sede locale dell'ANPI, in una sala cinematografica di quartiere. Gli studenti che portiamo con noi (noi docenti ottimisti) non credevano davvero che fosse necessario arrivare con largo anticipo (che ci fosse tanta Verona interessata, tanta Verona che ricorda). Poi, invece, si meravigliano quando, poco alla volta, gli ultimi posti liberi vengono occupati. La proiezione è seguita dal dibattito: in sala è presente il regista, con cui dialoga lo storico Carlo Saletti. Quello che si è appena concluso è solo all'apparenza un film d'occasione: le sue implicazioni si estendono, lungo diverse direttrici, fino a lambire il contemporaneo, perché ognuno vi si possa identificare. L'antisemitismo diventa quinti spunto per riflettere su ogni forma di pregiudizio o discriminazione. Denso e compatto nel montaggio, serrato nel ritmo, 1938 Diversi non ha, per scelta esplicita, un narratore unitario, un commentatore fuori campo: la storia emerge da un sapiente accostamento di fonti e testimonianze, in cui le voci degli storici vanno a integrare quelle dei persecutori e dei perseguitati, che paiono fuoriuscire direttamente dal passato
Per gentile concessione del Circolo del Cinema di Verona
Adombrato da un forte chiaroscuro che ne accentua la drammaticità, la violenza, il volto malvagio del fascismo emerge - icastico, "eterno", come direbbe Eco - dal fondale uniforme della scena, assumendo di volta in volta identità diverse: Benito Mussolini, Galeazzo Ciano, Giorgio Almirante... come osserva poi Saletti, l'eco delle voci dei responsabili ci pone - vivo e attualissimo - il problema del fascino ancora suscitato da un'ideologia fondata sulla brutalità e sul sopruso (e nonostante tutto quel che è intercorso nel frattempo). Con l'equilibrio e la pacatezza che caratterizzano ognuna delle sue risposte durante il dibattito, Treves ci riconduce alla lucidità con cui il regime fascista sfruttò tutti i mezzi della propaganda del tempo per plasmare il pensiero delle masse, a partire dai giovani, che sarebbero stati i fascisti delle generazioni future. Mussolini fu in grado di "inoculare il veleno dell'ideologia, che attraversa le generazioni come un fiume carsico". Sarebbe allora necessario somministrare un antidoto, ma questo è un lavoro lungo, perché implica un'azione profonda, in grado di disinnescare la tendenza a nascondersi dietro alla retorica, a ragionare per slogan. Il problema principale, secondo Saletti, è che l'Italia non ha mai fatto i conti con il suo passato. Si trova subito d'accordo il regista, che osserva che l'armistizio del '43 è una "pietra tombale" sulle responsabilità degli italiani, perché ha offerto la possibilità di scaricare le maggiori responsabilità sui tedeschi. In realtà "i tedeschi hanno fatto - e continuano a fare - i conti con il loro passato, mentre noi abbiamo preferito indossare i panni degli innocenti". Per risalire alle radici di questa condizione che mostra tuttora i suoi effetti (subdoli, e pertanto più pericolosi), ma anche per risalire indietro nei trascorsi della sua famiglia, Treves ha deciso di realizzare la sua opera. 
Per gentile concessione del Circolo del Cinema di Verona
I suoi parenti si salvarono infatti perché riuscirono a prendere l'ultima nave passeggeri per gli Stati Uniti. Se tuttavia dell'esilio americano in famiglia si parlava molto, su quanto era venuto prima esisteva una sorta di rimozione. Ecco allora che 1938 Diversi per l'autore rappresenta un doppio viaggio: nella Storia e nella propria storia. E accanto a queste, già di per sé ricche e variegate, sorgono altre storie, tutte differenti, eppure tutte accomunate dal malessere, la solitudine, il senso di tradimento. Perché in Italia, dopo il 1848, gli ebrei erano usciti dai loro ghetti, si erano integrati nel tessuto sociale, partecipavano alla vita pubblica. Moltissimi erano, anche, quelli iscritti dal PNF. Per questo Mussolini aveva avuto bisogno di "preparare" l'arrivo delle leggi razziali con quell'aberrazione che fu il Manifesto degli scienziati razzisti. Per questo, poi, fu un colpo terribile per tutti la firma di Vittorio Emanuele III sul documento del 1938, a proposito della quale Liliana Segre può affermare che "quel filo dell'inchiostro nero della firma del re sulle leggi razziali era un unico filo che man mano si era ingrossato: era diventato una rotaia che portava ad Auschwitz". Nel documentario di Treves si incontrano e compenetrano la "memoria del capire" e "la memoria del patire" e le leggi razziali cessano di essere (comunque inaccettabili) parole astratte e vengono calate nella vita dei singoli, o delle comunità a cui hanno inferto ferite traumatiche e insanabili. Grazie alla sua forza comunicativa e a una regia sapiente e piena di misura, il documentario continua ad avere successo: Treves ci racconta che, inizialmente stampato in sole 15 copie dal produttore, intorno alla Giornata della Memoria è stato richiesto da più di cento sale, a indicare che forse c'è una necessità, un'urgenza di riflessione e conoscenzaAnche perché, come continua a spiegarci l'autore, il video è tutto incentrato sugli anni drammatici tra il 1938 e il 1945, ma gli echi e le risonanze con il presente sono enormi. 

È però il pubblico che lo percepisce, non il documentario che li esplicita, almeno fino alla citazione finale di Umberto Eco: "Il fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo". Profondamente convinto della verità di queste parole, Giorgio Treves accompagna la pellicola in molte delle sue proiezioni, anche se inizialmente era previsto lo facesse solo nelle prime occasioni promozionali. Troppi sono ancora quelli che, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi, boicottano 1938: Diversi perché lo considerano fazioso, o simpatizzano con Mussolini a partire da falsi luoghi comuni: per Treves quindi la diffusione della conoscenza, il pungolo delle coscienze, diventa impegno morale. Solo attraverso il confronto - aperto, schietto - con il dissenso, ci dice alla fine, si può progredire. Una lezione, questa, che il fascismo non ha mai imparato.


Carolina Pernigo