Le disobbedienti.
Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte
di Elisabetta Rasy
Mondadori, 2019
pp. 253
€ 20,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Le disobbedienti, l’ultimo libro di Elisabetta Rasy appena pubblicato da Mondadori, ha una copertina deliziosamente indocile, in perfetto accordo con le Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte raccontate dall'autrice al suo interno. Il particolare del Ritratto della principessa Carolina del Liechtenstein nelle vesti di Iris (1793) realizzato da Élisabeth Vigée Lebrun (non a caso una delle pittrici in questione) ha in sé tutte le caratteristiche di simbolo e di sibillino contrappunto che sanno fare la gioia del lettore più smaliziato. Mentre la scelta del dettaglio isola in modo molto opportuno il drappo dorato che, quasi come in un antico cartiglio, diventa sfondo per i caratteri cubitali della dicitura, l’accenno alle chiome sfuggenti della protagonista del dipinto esalta al massimo l’effetto décadrage, accentuando il mistero di una figura femminile che proprio in questa veste vive contemporaneamente oltre il bordo dell’inquadratura, tra le pagine e addirittura a monte della loro esistenza in qualità di voce narrante. Quale riferimento migliore se non quello alla dea Iris per introdurre i ritratti di Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, Suzanne Valadon, Charlotte Salomon, Frida Kahlo e la già citata Élisabeth Vigée Lebrun? Quale migliore accenno se non quello alla dea greca dell’arcobaleno, da cui derivano il loro nome le membrane pigmentate dei nostri bulbi oculari? Le disobbedienti parla di pittura, per l’appunto, di linee, forme e colori. Ma parla soprattutto di quegli sguardi nuovi che ne hanno segnato la storia: visioni inedite perché femminili, a lungo silenti e poi finalmente annunciate, rivelate. In tutto ciò, la vulgata che vuole proprio Iris in qualità di messaggera esclusiva di cattive notizie (agli antipodi di Ermes) non può che deporre a vantaggio dell’autrice e delle sei prescelte: il loro avvento nel mondo dell’arte, qui così bene raccontato, fu croce e delizia dei contemporanei, e una novità con cui loro per prime fecero i conti a lungo nel corso dell’esistenza.
Come dichiara Elisabetta Rasy nella breve prefazione dal titolo Il talento e la vita, tutto ha avuto inizio con l’ammirazione nei confronti di Morisot:
Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte
di Elisabetta Rasy
Mondadori, 2019
pp. 253
€ 20,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Le disobbedienti, l’ultimo libro di Elisabetta Rasy appena pubblicato da Mondadori, ha una copertina deliziosamente indocile, in perfetto accordo con le Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte raccontate dall'autrice al suo interno. Il particolare del Ritratto della principessa Carolina del Liechtenstein nelle vesti di Iris (1793) realizzato da Élisabeth Vigée Lebrun (non a caso una delle pittrici in questione) ha in sé tutte le caratteristiche di simbolo e di sibillino contrappunto che sanno fare la gioia del lettore più smaliziato. Mentre la scelta del dettaglio isola in modo molto opportuno il drappo dorato che, quasi come in un antico cartiglio, diventa sfondo per i caratteri cubitali della dicitura, l’accenno alle chiome sfuggenti della protagonista del dipinto esalta al massimo l’effetto décadrage, accentuando il mistero di una figura femminile che proprio in questa veste vive contemporaneamente oltre il bordo dell’inquadratura, tra le pagine e addirittura a monte della loro esistenza in qualità di voce narrante. Quale riferimento migliore se non quello alla dea Iris per introdurre i ritratti di Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, Suzanne Valadon, Charlotte Salomon, Frida Kahlo e la già citata Élisabeth Vigée Lebrun? Quale migliore accenno se non quello alla dea greca dell’arcobaleno, da cui derivano il loro nome le membrane pigmentate dei nostri bulbi oculari? Le disobbedienti parla di pittura, per l’appunto, di linee, forme e colori. Ma parla soprattutto di quegli sguardi nuovi che ne hanno segnato la storia: visioni inedite perché femminili, a lungo silenti e poi finalmente annunciate, rivelate. In tutto ciò, la vulgata che vuole proprio Iris in qualità di messaggera esclusiva di cattive notizie (agli antipodi di Ermes) non può che deporre a vantaggio dell’autrice e delle sei prescelte: il loro avvento nel mondo dell’arte, qui così bene raccontato, fu croce e delizia dei contemporanei, e una novità con cui loro per prime fecero i conti a lungo nel corso dell’esistenza.
Come dichiara Elisabetta Rasy nella breve prefazione dal titolo Il talento e la vita, tutto ha avuto inizio con l’ammirazione nei confronti di Morisot:
«è dal fascino della storia di Berthe, la ragazza borghese che ha saputo dire di no agli obblighi e ai divieti della famiglia e della società per diventare una grande artista, che è cominciato il mio viaggio nella costellazione femminile raccontata in questo libro, andando avanti e indietro nel tempo» (p. 3).
Conquistata dalla vita della pittrice impressionista, l'autrice è andata alla ricerca di vicende “sorelle”, esempi di come quello stesso spirito insubordinato abbia trovato incarnazione nel corso dei secoli. Di più: ha dedicato la sua attenzione a veri e propri casi capaci di segnare intere epoche, lacerare diaframmi intellettuali e culturali, annunciare l’avvento di nuove possibilità con la semplice evidenza dell’opera pittorica. A prescindere da nobili natali, prestigiose accademie di formazione, disponibilità economica e particolare avvenenza corporea:
«le donne di cui scrivo sono diverse tra loro per epoca, situazione familiare, carattere. Povere o benestanti. Istruite o quasi analfabete. Ma c’è qualcosa di essenziale che le accomuna: il talento e la voglia di non piegarsi alle regole del gioco imposte dalla società del loro tempo. Fragili ma indomabili, hanno saputo difendersi con tenacia dalle aggressioni della vita. Dalla violenza maschile (…), dalle avversità dei tempi (…), dalla ferocia della storia (…), dai tormenti della malattia (…) dalla gabbia dei pregiudizi. Nelle loro vite tempestose e luminose, ognuna mi è sembrata caratterizzata da una speciale virtù, un’arma dell’anima per reagire alla prepotenza del mondo circostante. Virtù faticose, come coraggio, tenacia, resistenza, ma anche altre, in genere considerate vizi: irrequietezza, ribellione, passione» (p. 4).
Non è il caso di riassumere in sede di commento le singole vicende, alcune delle quali, peraltro, abbastanza note (è il caso di Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo; tutte da scoprire, invece, tra le altre, le vicissitudini riguardanti Élisabeth Vigée Lebrun, ritrattista alla corte della regina Maria Antonietta di Francia, o Suzanne Valadon, con la sua emancipazione da modella a pittrice negli anni d'oro di Montmartre): per questo, in ogni caso, parlano da sé le pagine di Elisabetta Rasy, perfette nelle proporzioni e nel trasporto sincero, che tiene sempre alta la tensione narrativa senza mai divenire enfatico (tutt’al più, talvolta, piacevolmente lirico). Ciò che più conta dire è che le storie, accomunate dal credo nel potere salvifico dell’arte, condividono la matrice di un dramma esistenziale profondo ma anche la consapevolezza che tele, tavolozze e pennelli fossero lo strumento principe per raccontare a se stesse e al mondo una versione della vita che fosse migliore di quella già divulgata da mano altrui, e questo perché autentica, libera, monito per i contemporanei e pietra miliare per le generazioni a venire. Come è stato e come ancora è:
«quando finalmente sono diventate le artiste che volevano essere, ognuna a suo mondo ha rivolto alla realtà femminile uno sguardo diverso e partecipe, capace di raccontarne gioie e ferite come la mano maschile non aveva mai fatto. E ognuna di loro, con la sua energia e indocilità, ha contribuito a cambiare la posizione femminile nella gerarchia artistica, da una eterna periferia al centro della scena» (p. 4).
Le disobbedienti è un libro che dona sollievo, non da ultimo per la bellezza della sua prosa: che è ispirata, partecipe e deliziosamente letteraria come sempre accade quando Elisabetta Rasy discorre di donne in ogni senso straordinarie (impossibile non pensare anche al suo Tre passioni, dedicato alle figure delle scrittrici Grazia Deledda, Matilde Serao e Ada Negri). Tuttavia, la leggerezza delle pagine trova il suo perché ben oltre la ragione meramente estetica o emozionale. Ciò che conquisterà anche i lettori più diffidenti – ovvero quelli che sospettano il “solito” libro arrabbiato, settario e rivendicativo – è la sua totale assenza di retorica, la sua salubre asciuttezza rispetto agli umori di certi prevedibili paludamenti accademici e la sua indifferenza nei confronti dello sfoggio teorico. Niente note a piè di pagina, niente bibliografia in coda: e sì che le letture preliminari devono essere state evidentemente numerose e appassionate. Ciò che più piace – e dovrebbe piacere anche ai più illuminati tra gli studiosi e gli addetti ai lavori – è il fatto che l’autrice, nel mettere l’accento sulle rispettive trasgressioni alle regole da parte delle sei artiste, riesce a non scadere mai nei dualismi ideologici più scontati: e lo fa senza tacere nulla, dunque senza negare la realtà dei fatti, l’ottusità dei pregiudizi e l’ostilità degli stereotipi con cui tutte, senza eccezioni, furono chiamate a fare i conti. Nel raccontare di donne protagoniste di una ribellione che fu mai fine a se stessa, bensì dettata dalle rispettive indoli e dalle ragioni di vita (l’arte, che altro?), Elisabetta Rasy restituisce loro vera dignità di individuo, senza dichiararle vincenti, per così dire, a tavolino, a prescindere, senza metterle nel giusto in quanto donne. In questo equilibrio, oltre che nel rispetto della verità storica, sta tutta la riuscita del libro. Un libro che conquista, e che lascia il desiderio di conoscere ancora meglio le sue eroine, per amarle (come è certamente possibile) più in profondità: stavolta anche, e soprattutto, nelle opere.
Cecilia Mariani
Cecilia Mariani