Il secolo dei giganti.
Il colosso di marmo
di Antonio Forcellino
Harper Collins, 2019
pp. 558
€ 16,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Dopo Il cavallo di bronzo, uscito lo scorso anno sempre per Harper Collins, un coinvolgimento particolare deve avere caratterizzato la stesura dell’ultimo lavoro di Antonio Forcellino, Il colosso di marmo, seconda tranche della saga di romanzi dedicati al Secolo dei giganti. E chissà se l’emozione provata dallo scrittore in corso d’opera è stata la stessa vissuta in qualità di restauratore al cospetto (e non è che uno degli esempi possibili) del Mosè di Michelangelo, parte della tomba monumentale di papa Giulio II a San Pietro in Vincoli. Si, perché al centro di questo nuovo capitolo di una trilogia in fieri c’è proprio il Buonarroti, altro maestro del Rinascimento italiano a lungo studiato e ammirato nella duplice veste di storico e di professionista della manutenzione. Michelangelo, dunque, scultore di quel David a cui fa riferimento il titolo del volume e che all’alba del Cinquecento diventerà simbolo della Repubblica fiorentina nonché icona eterna della bellezza italiana. Michelangelo l’artista e Michelangelo l’uomo: sempre desideroso di riscattare l’onore del cognome familiare, avvolto nella solita giubba nera o coperto di polvere bianca fin dentro le narici, armato di dieci dita dure come il più duro dei minerali eppure capaci di maneggiare con insuperabile maestria sia i ferri che i pennelli. Per il denaro, certo, ma non meno per la gloria.
Il colosso di marmo
di Antonio Forcellino
Harper Collins, 2019
pp. 558
€ 16,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Dopo Il cavallo di bronzo, uscito lo scorso anno sempre per Harper Collins, un coinvolgimento particolare deve avere caratterizzato la stesura dell’ultimo lavoro di Antonio Forcellino, Il colosso di marmo, seconda tranche della saga di romanzi dedicati al Secolo dei giganti. E chissà se l’emozione provata dallo scrittore in corso d’opera è stata la stessa vissuta in qualità di restauratore al cospetto (e non è che uno degli esempi possibili) del Mosè di Michelangelo, parte della tomba monumentale di papa Giulio II a San Pietro in Vincoli. Si, perché al centro di questo nuovo capitolo di una trilogia in fieri c’è proprio il Buonarroti, altro maestro del Rinascimento italiano a lungo studiato e ammirato nella duplice veste di storico e di professionista della manutenzione. Michelangelo, dunque, scultore di quel David a cui fa riferimento il titolo del volume e che all’alba del Cinquecento diventerà simbolo della Repubblica fiorentina nonché icona eterna della bellezza italiana. Michelangelo l’artista e Michelangelo l’uomo: sempre desideroso di riscattare l’onore del cognome familiare, avvolto nella solita giubba nera o coperto di polvere bianca fin dentro le narici, armato di dieci dita dure come il più duro dei minerali eppure capaci di maneggiare con insuperabile maestria sia i ferri che i pennelli. Per il denaro, certo, ma non meno per la gloria.
Se Il cavallo di bronzo si era concluso con la partenza di Leonardo da Vinci e dei suoi sodali alla volta di Venezia per attendere lì il nuovo secolo, Il colosso di marmo inaugura i travagli del Cinquecento proprio con il ritorno a Firenze del Buonarroti. Ancora e sempre spostamenti, dunque, per l’uno come per l’altro, e tanto li si vedrà vagare nel corso del racconto. Anime erranti per ambizione e per necessità, i due artisti – e con loro Raffaello – non possono fare a meno di risentire dei giri alterni e capricciosi della fortuna, oltre che delle mosse sullo scacchiere italiano da parte dei personaggi più potenti del periodo, quegli uomini d’armi e di fede che pagano cifre invitanti per statue e dipinti e nel contempo decidono gli equilibri sociopolitici di decenni tra i più tormentati della storia d’Italia. Per scandirli, Forcellino si è affidato ancora una volta all’avvicendamento dei pontefici: ritroviamo dunque il “demoniaco” Alessandro VI Borgia (11 agosto 1492-18 agosto 1503), presto sostituito da Giulio II della Rovere (1 novembre 1503-21 febbraio 1513) e poi da Leone X (9 marzo 1513-1 dicembre 1521), il papa mediceo. Attorno a loro, dunque attorno a Roma e alla sua corte, ruota come sempre il noto sistema di alleanze e controalleanze che caratterizza l’Italia a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento: interessi familiari, legami parentali, strategie matrimoniali, giuramenti, tradimenti, rivalità, spionaggio, guerre, battaglie, ideali repubblicani e antitirannici ma soprattutto indistinta brama di potere, e dunque interessi di casta e di lignaggio. Lo stesso sistema, insomma, che sempre li porta a occupare il trono più sacro della cristianità e che altrettanto spesso fa di tutto per impedire loro di sostare a lungo sulla più prestigiosa delle sedute.
Lo scrittore, che segue la sistemazione degli eventi data da Francesco Guicciardini nella Storia d’Italia e nelle Storie fiorentine, racconta gli eventi in capitoli brevi (talvolta brevissimi) e con un pedinamento ravvicinato dei vari protagonisti, per dare ritmo e profondità a una mole di informazioni che altrimenti somiglierebbe a un mero elenco cronologico di date e avvenimenti. Il susseguirsi delle scene è costante e continuo, come in un film o in uno sceneggiato dal montaggio serrato e incalzante: il che, se da una parte non deve annoiare il lettore più esperto, dall’altra può confondere il meno ferrato in materia (che però trova aiuto negli alberi genealogici posti in apertura di volume). I decenni a cavallo tra il XV e il XVI secolo furono estremamente agitati per le sorti della penisola e dei suoi signori, e Forcellino ne dà opportunamente conto, spaziando dalle lotte intestine alle ambizioni dei sovrani stranieri e delle minacce orientali. Proprio per questo, i capitoli dedicati alle questioni più prettamente artistiche appaiono quasi come un sollievo dopo pagine e pagine dedicate a vicende dinastiche e belliche: come già nel primo tomo della tetralogia, sono difatti queste a confermarsi come le migliori.
L’attenzione per i maestri del Rinascimento, e dunque per le loro psicologie oltre che per le loro gesta, si traduce in paragrafi che spiccano per la freschezza e la felicità della prosa. L’attenzione, stavolta, è tutta su Michelangelo, e si fanno ricordare le scene in cui il Buonarroti è alle prese con la sua vocazione e il suo mestiere: eccolo che scruta per la prima volta il blocco di marmo da cui prenderà vita la statua del David; eccolo che affresca in ostinata solitudine la volta della Cappella Sistina, ritrovandosi sul ponteggio a mangiare una torta di marzapane in compagnia del suo illustre committente; eccolo che si prodiga a realizzare le sculture per la tomba dello stesso Giulio II, ancora ignaro del fatto che molto presto, dopo la morte, lo tradirà di nuovo proprio a favore dei Medici, facendo ritorno in Toscana e contraddicendo il suo stesso orgoglio per brama di denaro e gloria personale. E Leonardo e Raffaello? Forcellino non li dimentica entrambi, e anzi per loro mette sullo sfondo altri nomi di scultori, pittori e architetti del periodo (persino il povero Bramante, che finisce al centro della scena solo in quanto vittima di una temibile arringa papale). Il primo, descritto in quella che appare la sua parabola discendente, è itinerante da una corte all’altra in preda alla notoria inconcludenza pittorica, sempre più assorto in speculazioni scientifiche affascinanti ma ancora prive di applicazioni pratiche, e dunque frustrato e incompreso fino all’avvento salvifico del re di Francia Francesco I, che lo vorrà con sé ad Amboise, dove una mattina di maggio troverà la morte nel dipingere la celebre Gioconda. Il secondo, non più astro nascente ma artista richiesto in ogni dove – al punto da ricorrere a una fedele “scuola” di discepoli per soddisfare ogni commessa in tempi ottimali – è amato e ammirato da tutti, artefice di una grazia pittorica talmente esclusiva e soave che sembra rifletterne la bella predisposizione d’animo e d’aspetto. La sua morte, che lo coglierà ancora giovane nel 1520, è evidentemente rimandata al prossimo volume: per ora è più che a suo agio nel letto della bella Fornarina, delizia del suo cuore (anche di quello di pittore) non meno che del suo corpo.
Come già accadeva con Il cavallo di bronzo, anche Il colosso di marmo è il libro perfetto per gli appassionati di storia moderna e per gli studenti desiderosi di integrare le proprie conoscenze con una lettura che faccia convivere invenzione autoriale e rispetto per le fonti storiografiche e storico-artistiche. L’omaggio di Antonio Forcellino ai grandi dell’Umanesimo e del Rinascimento prosegue con identica passione, e ancora una volta non si può fare a meno di riconoscere e ammirare la disinvoltura del suo stile narrativo. Del resto, e mai come in questo caso: rem tene, verba sequentur. L’esperienza dello studioso e del restauratore di fama internazionale sono ben al servizio del lettore, a cui non resta che abbandonarsi al piacere delle storie più avvincenti raccontate da un loro profondissimo conoscitore.
Cecilia Mariani