di Gabriela Ybarra
Alessandro Polidoro Editore, 10 aprile 2019
Traduzione di Maria Concetta Marzullo
pp. 180
€ 16 (cartaceo)
«Si racconta che nella mia famiglia si sieda sempre un commensale in più a ogni pasto. È invisibile, ma c'è. Ha il suo piatto, il suo bicchiere e le sue posate. Di tanto in tanto appare, proiettando la sua ombra sul tavolo e facendo svanire qualcuno dei presenti. Il primo a sparire fu mio nonno paterno»: inizia così Il commensale, il toccante libro di Gabriela Ybarra, finalista al Man Booker International Prize. Si può ricostruire e dare una spiegazione al dolore? Forse no, ma certamente scriverne è un modo per cercare di rendere accettabile e razionale quel che invece muove i nostri sentimenti e, soprattutto, per omaggiare gli assenti. Così, l'ETA e l'assassinio del nonno, i pacchi-bomba e gli avvertimenti alla famiglia intera sono pericoli concreti, visibili, ma a volte la minaccia più grossa cova dentro di noi per anni, finché prende il nome e l'aspetto di una malattia...
Al dolore per quanto era successo al nonno nel 1977, ovvero l'assassinio dopo un lungo rapimento e complesse trattative, continuamente raccontate sui giornali dell'epoca, Gabriela Ybarra si sofferma sui rischi presenti anche negli anni Ottanta, colpiti e anzi stravolti dal terrorismo:
«La tensione era celata. Un'auto in fiamme, un cadavere e poche ore dopo tutto tornava alla normalità.
Se qualcuno riceveva una minaccia di morte, ne parlava solo in privato. Mai con un conoscente. Pochi avevano il diritto di esprimere il loro malcontento». (p. 50)
L'alternativa? Andarsene, quando le minacce si facevano serie e non si intravvedevano possibilità di reagire o di difendersi; anche le forze dell'ordine potevano ben poco. E infatti anche la famiglia della protagonista si sposta, eppure questo non basta ad allontanare il dolore dalla "tavola imbandita" degli imprevisti. Infatti, un altro commensale amatissimo è destinato a un nuovo posto invisibile al tavolo degli scomparsi: sua madre, colpita da un cancro.
Ecco che allora il primo percorso, quello del nonno, lascia spazio alla tragedia della madre della protagonista, tratteggiato come in una sorta di cronaca datata e divisa in brevi paragrafi. Quel che sorprende è l'estrema asciuttezza e la chiarezza con cui la scrittrice non si abbandona mai alla passiva disperazione, ma fa ricerca, convoglia le energie della disperazione per cercare di ricostruire la storia di chi non c'è più. E lo fa senza vezzi, senza lamenti o tentativi di conquistare il lettore: sceglie di appigliarsi agli eventi, anche se questi crollano e lasciano ben poco in cui sperare. E ritaglia per sé uno spazio modesto, mai invadente o morboso. Quel che è stato è ora lì, nero su bianco, e per quanto la vicenda sia stata romanzata (come avverte l'autrice nell'introduzione), è facile pensare che la realtà non si scosti molto da ciò che è lì, intessuto di brani di cronaca o di tentativi documentari, il più possibile scevri da qualsiasi fraintendimento.
GMGhioni
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