di
Claudio Fava
add
editore, 2019
pp.
123
€ 14
(cartaceo)
€
4,99 (ebook)
Appena s’abituò gli occhi allo scuro, la vide: Tilde era seduta in uno degli ultimi banchi, il busto eretto, la testa dritta, lo sguardo da qualche parte. Non pregava, e il professore fu contento. Non pregava più nemmeno lui. Come si fa a squartare i morti e pregare? Cosa gli dici al Signore quando frughi dentro i corpi e scopri solo cose guaste? L’anima non l’aveva mai incontrata sui tavoli di marmo dell’istituto di patologia. Solo ferite, malattie, sfasci. (p. 78)
Nel
1931 oltre 1.200 professori universitari ricevettero dal ministero per l’Educazione
Nazionale una lettera con la quale venivano invitati a prestare giuramento,
oltre che al re alla patria, anche al regime fascista e a Mussolini: «Giuro di
essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista» doveva
recitare il giuramento. In 1.238 firmarono, in dodici rifiutarono. E, come
Fava si ritrova a fare nella nota al termine del suo libro, anche io mi sento
in obbligo di ricordare, in una sorta di rispettoso minuto di silenzio letterario,
quei dodici: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio
Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo
Nigrisoli, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini Avondo, Lionello Venturi, Vito
Volterra.
Il
protagonista del Giuramento non è emiliano
come Mario Carrara, alla cui figura si ispira, bensì siciliano; e tuttavia avrebbe
potuto essere abruzzese, piemontese, sardo, ché tanto non ha nome ma da tutti –
anche dal narratore – viene chiamato “il professore”. Quello è il suo ruolo:
non è un politico, la politica non gli interessa, non lo riguarda, tutto ciò di
cui si preoccupa è l’insegnamento universitario e il rimanere fedele ai
principi della scienza. Non la pseudoscienza lombrosiana, di cui pure è
stato allievo, infarcita di ideologia razzista, bensì la scienza che crede nei
fatti, nel mettere letteralmente le mani dentro le cose. Di lui il narratore ci
racconta i riti quotidiani, seguiti così pedissequamente da rasentare l’ossessione,
i quali in fin dei conti sono solo l’altra faccia della stessa medaglia: il professore è un
uomo noioso, banale, comune, non più coraggioso né più rilevante di tanti altri.
Le sue giornate passano così, con un quarto di mela a colazione, battute
ripetute migliaia di volte a lezione, una minestra per cena.
È in
questa banalità che emerge la potenza del rifiuto: il rifiuto di giurare
fedeltà al fascismo, anche senza entrare nella lotta, anche senza far parte
della fazione opposta è un gesto enorme, quasi sacro. Non sono necessarie
grandi orazioni e non c’è bisogno di stare al centro della scena per dire no:
Fava ci insegna che anche nei piccoli gesti si compie la resistenza al pensiero comune.
Ritengo
fondamentale l’anonimia del protagonista. Mentre chi aderisce alla corrente lascia nome e cognome, entrando
così volontariamente a far parte della storia, il destino di chi decide di dire
di no rischia di essere l’oblio o, per citare Fava, il buio. L'essere dimenticati è una delle più enormi paure dell'essere umano, il quale da sempre cerca di lasciare traccia di sé attraverso scritti, monumenti, imprese eroiche. L'oblio, in questo senso, è una punizione dantesca.
Ma c’è anche un altro aspetto da prendere in considerazione: il professore è sì anonimo, ma l’autore avrebbe potuto comunque donargli l’identità territoriale del personaggio storico di riferimento. Essendo Carrara emiliano e avendo insegnato a Torino, avrebbe potuto ambientare lì il suo libro. Invece siamo in Sicilia, fra picciriddi che anziché guardare si “taliano” intorno, e non è un caso che la Sicilia sia proprio la regione in cui è nato Fava il quale, così facendo, porta a sé, nella sua isola e nel nostro 2019, il no sibilato da Carrara a Torino nel 1931. È possibile leggere questo come una dichiarazione d’intenti, considerando anche il periodo storico-politico che stiamo vivendo, fra sovranismi e nazionalismi che emergono da tutte le parti.
Ma c’è anche un altro aspetto da prendere in considerazione: il professore è sì anonimo, ma l’autore avrebbe potuto comunque donargli l’identità territoriale del personaggio storico di riferimento. Essendo Carrara emiliano e avendo insegnato a Torino, avrebbe potuto ambientare lì il suo libro. Invece siamo in Sicilia, fra picciriddi che anziché guardare si “taliano” intorno, e non è un caso che la Sicilia sia proprio la regione in cui è nato Fava il quale, così facendo, porta a sé, nella sua isola e nel nostro 2019, il no sibilato da Carrara a Torino nel 1931. È possibile leggere questo come una dichiarazione d’intenti, considerando anche il periodo storico-politico che stiamo vivendo, fra sovranismi e nazionalismi che emergono da tutte le parti.
Il giuramento è un romanzo breve, senza colpi di scena (sappiamo dall’inizio come finisce), che non urla ai quattro venti il dissenso, bensì lo fa scorrere fra le pagine. Chi si aspetta toni feroci resterà deluso, mentre chi ha bisogno di calma troverà nel libro di Fava qualcosa su cui riflettere.
David
Valentini