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#CriticaLibera - Le stanze profonde dei giocatori di ruolo (parte 2)

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Ci eravamo lasciati con Marco che iniziava ad addentrarsi nelle stanze profonde dei giochi ruolo (qui trovate la prima parte) e, con una curiosità vorace mascherata da sana ironia, bombardava Giulia di domande.



Marco: Guarda che ti stavo chiedendo dell'ambientazione.

Giulia: Impaziente anche oggi, segno che l'argomento ormai ti ha preso. L'ambientazione può essere fantasy, horror, fantascientifica. Questi generi poi, come nella composizione di un romanzo, possono mescolarsi tra loro e declinarsi in infiniti sottogeneri. Sine Requie diventa un horror post-apocalittico. Vampire un urban-horror e via di questo passo.

Marco: Philip Dick addirittura.

Giulia: Non dimenticare che comunque si parte dalla creazione del proprio personaggio. Se ne sceglie la razza, le caratteristiche fisiche e il background. Un’avventura parte con una missione principale che viene imbastita e gestita dal master, arbitro e demiurgo del gioco. Non ti sei dimenticato della questione del master, vero?


Marco: No, no, giammai! È la parte ero(t)ica della faccenda.

Giulia: Pensa che quando il gioco di ruolo è esploso era molto difficile trovare master in grado di gestire un’avventura. I manuali all’epoca, ma anche adesso, erano costosi e quasi tutti in inglese quindi trovare qualcuno preparato ed esperto non era semplice. Le mie fonti di nerd anni Novanta parlano di collette, manuali comprati in comunione, prestati e trattati con religiosa attenzione.

Marco: Ora più che mai, mi devi chiarire che fa questo master.

Giulia: D’accordo. Il master fornisce le indicazioni per compiere l’impresa principale; le attività e le ricerche secondarie possono essere singole per ogni personaggio, in base al tuo background o a quello che ti indica il master. Lui poi interpreta i PNG, Personaggi Non Giocanti, che possono essere alleati o avversari dei giocatori, si trasforma in nemico e consigliere nello spazio di poche battute. Durante lo svolgimento dell’avventura attribuisce ai personaggi punti esperienza che serviranno per farli evolvere: diventare più potenti, acquistare nuove abilità e magie...

Marco: Tuttavia per completare l’arazzo, e perdona la banalità di questa ulteriore domanda, ma banale come ben saprai è anche il male, devo sbrogliare un’ultima matassa: ma come cazzo si diventa master? Cioè, lo scegliete a sorte, uno entra all’improvviso dove giocate e dice “salve, sono il master”, oppure lo acclamano le sue legioni come durante il basso impero, oppure è stato nell’82 in Libano e nel ’96 in Kosovo o ancora: necessita di un titolo di studio? Di un… master, per l’appunto?

Giulia: Il master diventa tale perché ha studiato. La battuta è meno battuta di quanto credi. Un master deve studiare un sacco: ambientazione e regole costituiscono l’abc per lui, il gioco va conosciuto molto bene per dirigere il gruppo. Ed è un compito che richiede molto impegno: le sessioni di gioco vanno preparate come lezioni. Il buon master, poi, sa adattarsi al momento, improvvisare e inventare per stare dietro alle trovate dei suoi giocatori.

Marco: Ma chi vince, scusa? A me questo master pare il banco del 7 e mezzo.

Giulia: Mi raccomando, sono due le cose proibite: la prima è chiedere chi vince. Vince il gruppo se riesce a completare la missione. Ciò non toglie che, in corso d’opera, il tuo personaggio possa morire prima della fine.

Marco: E il secondo comandamento?

Giulia: Non tirare a caso i dadi di un altro giocatore: se fai punteggi buoni stai “scaricando” il dado! Ogni giocatore è bene che abbia il suo set di dadi senza chiederli in prestito ad altri. Anche se lo smemorato che non li porta c’è sempre a ogni sessione. Ma tu glielo fai pesare. O gli tiri dietro il D20 da 4 chili.

Marco: Te che personaggi interpreti?

Giulia: Ne ho fatti talmente tanti. Nei fantasy sono sempre di razza elfica, allineamento caotico il più delle volte. In una dovevo liberarmi di una possessione demoniaca ed esplorare una serie di universi paralleli con i miei compagni di avventura per catturare un non mi ricordo quale ladro che aveva rubato non mi ricordo cosa al signorotto che ci aveva ingaggiato. In Sine Requie faccio la cacciatrice di non morti, ma sono scarsissima. In Vampiri (versione del Ventennale, ma in foto vedrai lo schermo della nuova edizione e so che ormai l'hai riconosciuto) interpreto una vampira del clan Giovanni che ha legato a sé un potentissimo e fighissimo poltergeist.

Marco: Nel libro di Santoni c’è la stanza del gioco, profonda come un bunker, adibita a sancta sanctorum, ci sono giorni assolutamente dedicati ai ritrovi che manco la fidanzata deve avere da ridire. Un po’ come la finale di Champions di cui ti parlai nel precedente duetto: piuttosto che perdermela non entrerei in sala parto. In sostanza vi riunite per giocare e all’ingresso mettete un cartello tipo: zona militare limite invalicabile.

Giulia: Con il gruppo attuale, sarà che abbiamo una certa età, giochiamo in cucina. Così siamo più vicini al cibo e alle bevande. Ma in realtà gli spazi di gioco possono essere molteplici: si può giocare online, ci sono piattaforme apposta come Roll20, ci si può trovare di persona con una gran quantità di birra, caramelle gommose e pizza e queste sono le soluzioni migliori, oppure, ma questo è proprio l’ultimo stadio, andare ai live. Ci si mette un’armatura e si recita a soggetto. Ti consiglio un bellissimo racconto di Joanne Harris “Aspettando Gandalf” che mostra la deriva estrema dell’impersonare un ruolo. Ha influenzato la visione nei confronti di questi giochi.

Marco: Ce lo avete un bugiardino? Controindicazioni, effetti collaterali, ingrossamento del fegato, mucose che si sfibrano…

Giulia: Il gioco di ruolo necessita di avvertenze come nelle pubblicità progresso: “Il gioco può causare dipendenza patologica”. Sì, rischi di volerti trovare con gli amici ogni volta che puoi, per portare avanti l’avventura. “Può causare sonnolenza” se fai le tre del mattino e il giorno dopo lavori. Ma, e forse non lo sai, il gioco di ruolo porta al satanismo. Ebbene sì, impersonare un mago può portare a evocare il signore di tutti i mali. Negli anni Ottanta e Novanta girava questa convinzione come hai letto nel romanzo. L’idea è così radicata che non più tardi di un paio di settimane fa su un quotidiano nazionale è uscito un articolo che citava ancora simili rischi. Non male per un’attività meno costosa delle slot-machine e meno dannosa di fumo o droghe. E ti dirò di più: oltre a non essere dannosi, i giochi di ruolo possono essere applicati in tanti campi non meramente ludici. Cos’è che fa più squadra o team building, sempre per essere professionali, del dover perseguire uno scopo comune? Inventare un’avventura o un personaggio non può aiutare gli scrittori o gli aspiranti a fare pratica? Per non parlare dei figli: non si discostano poi tanto dai giochi da tavolo ma stimolano maggiormente la fantasia.

Giulia: Quindi se ora mi chiedi “Ma cos’è che fai?” e io ti rispondo “Gioco di ruolo” tu come reagiresti?

Marco: Con un’unica ambizione: fare il master.
Marco Caneschi e Giulia Pretta