Lux
di Eleonora Marangoni
Neri Pozza, 2018
pp. 251
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
In un romanzo può non succedere nulla eppure si può raccontare tutto, quando tutto è quello che ci portiamo dentro in quanto a ricordi e sentimenti. Quando questo succede, in che modo ci rapportiamo a una storia e cosa le chiediamo nel momento in cui la scopriamo per la prima volta per poi custodirla alla fine della lettura? A questo (e molto altro) ho pensato avendo in mano Lux di Eleonora Marangoni, già vincitrice della terza edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza e nella dozzina del Premio Strega 2019.
Può non succedere nulla, dicevo, e così è stato per Thomas G. Edwards. Architetto inglese (ma italiano da parte di madre) che gestisce uno studio di light design, da quasi un anno frequenta Ottie Davis, una cuoca in carriera che ha inventato il metodo per fare alta cucina dagli scarti di frigorifero. Lei ha già un figlio, Martin, di sette anni, con cui il compagno ha un bel rapporto di giochi e confidenze. Dietro alla normalità della sua vita londinese si cela il ricordo costante di Sophie Selwood, del suo amore perduto che ritorna senza mai abbandonarlo. Ecco perché Thomas vive uno stallo emotivo nel momento in cui viene convocato per ricevere in eredità un lascito davvero singolare da parte del fratello eccentrico della madre, Valentino Tilli. Si tratta di un’isola del sud Italia, non identificata chiaramente ma che evoca le rocce incontaminate di Filicudi, dove l’eccentrico zio possedeva un albergo delabrée – lo Zelda –, 18 baobab nani e una sorgente di acqua minerale dalle proprietà benefiche. Thomas deve recarsi di persona per concludere la vendita della proprietà appena ereditata, secondo una disposizione voluta nel testamento da parte dello stesso zio. Con la scusa della questione testamentaria, allora, porta con sé Ottie e Martin per una vacanza al sole dell’Italia, un’occasione per conoscersi e fare evolvere la relazione. In tre giorni succederà di tutto e niente, come dicevo. Ma Thomas ne uscirà cambiato definitivamente. Sarà grazie all’incontro con la biologa Olivia, impegnata nello studio delle acque sorgive? O alle chiacchiere surreali con lo scrittore Guglielmo Gandini, ospite fisso dello Zelda da più di dieci anni? Forse è Agave, la mezzana dell’isola, a cambiare l’ottica delle vita di Thomas? O ancora saranno stati Gero, Bembo, il ricco sig. Musante…
Come posso aver definito nulla la notizia di un’eredità del calibro di quella lasciata dallo strambo zio Valentino? Perché di fronte alla profondità dei pensieri e dei sentimenti, il movimento della storia è nullo in Lux. L’azione si riduce a pochissimi giorni di permanenza sull’isola avulsa dalla civiltà e il tempo narrativo si espande allargando le sue maglie su pensieri e, soprattutto, ricordi. L’asse del racconto è spostato dai personaggi, molti e caotici ma solo abbozzati in pochi gesti e parole, alle cose, alle immagini, alle assenze che diventano presenze. Ogni dettaglio (compulsivamente descritto) è colto nella sua essenza prima e non è un caso che il testo sia costellato di liste: liste di oggetti raccolti negli anni, liste di souvenir accumulati ossessivamente, liste di ingredienti, liste di donne conquistate dallo scrittore Gandini.
Se si cerca una trama articolata, allora, non la si troverà in Lux. Se si cerca un movimento narrativo evocativo che fa della nostalgia la sua marca distintiva, allora la storia di Thomas diventa la storia di chiunque non riesca a staccarsi dal passato per lasciare spazio alla realtà concreta del presente. Non è un caso che l’autrice sia una studiosa di letterature comparate specializzata in Marcel Proust (tra i titoli pubblicati troviamo Proust et la peinture italienne, Michel de Maule 2011 e Proust. I colori del tempo, Mondadori Electa 2014) perché tutto il romanzo è un’unica, grande madeleine che da Combray si sposta tra le Eolie e Londra in un flusso di cosa poteva essere e non è stato:
L’assenza di Sophie era il contrario di un vuoto: era qualcosa di tangibile, che nasceva di continuo e cambiava forma, una presenza viva che gli era cresciuta addosso senza fretta e senza sosta. (p. 46)
Con una prosa lieve, dai forti echi inglesi, e con una lingua ricercata che lascia sullo sfondo la coralità dei tanti personaggi per concentrarsi sulle parole, Eleonora Marangoni crea un’atmosfera che cattura e distende grazie alla luce accecante di un’isola del meridione (che non ha un nome ma ha un colore), in contrasto con il grigiore di Londra che non ha mai permesso a Thomas di liberarsi dei fantasmi del passato. O, almeno, di conviverci rendendoli preziosi compagni di vita.
Federica Privitera
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