Maledetto design.
L’ossessione pop delle icone
di Alessandra Coppa
Centauria, 2019
pp. 156
€ 19,90
L’ossessione pop delle icone
di Alessandra Coppa
Centauria, 2019
pp. 156
€ 19,90
Nella traduzione italiana di From Bauhaus to our house (1981), il libro che il maestro del new journalism Tom Wolfe dedicò all’influenza (nefasta) dell’architettura europea su quella a stelle e strisce, il titolo diventa sottotitolo. L’enunciato che suggerisce di come si parlerà (male) del progettare e costruire in America fin dagli anni Trenta (Dal Bauhaus a casa nostra) è preceduto da un’imprecazione che, a scanso di equivoci, manda al diavolo l’intera categoria: Maledetti architetti, dunque, e chi ancora non è d’accordo avrà tutto il tempo (quello esilarante della lettura) per ricredersi. Una provocazione, certo, e al tempo stesso un’espressione che è diventata un passepartout: può forse non averci pensato Alessandra Coppa nel “battezzare” il suo Maledetto design, appena pubblicato da Centauria? Dopotutto architetti e designer sono praticamente parenti, e non si può certo negare come un vago maledettismo sia connaturato al settore già dal suo avvento e dal suo stesso significato. Se ancora non ci credete, ecco la prova del nove: provate a dare o a cercare una definizione assoluta di design, e preparatevi a perdere ben presto la pazienza. Perché non esiste, o meglio ne esistono tante quanti sono i designer e le scuole di design oggi sulla terra, per non parlare delle connotazioni ambigue e sfuggenti che la parola e il mondo che le gira intorno hanno progressivamente assunto nel corso dei decenni. Che fare, dunque? Tanto per cominciare, molte domande: quelle che l’autrice ha rivolto ai principali protagonisti e studiosi di settore sulla loro visione del design, ma anche sul perché questa particolare categoria di oggetti abbia assunto lo statuto di icona e di (spesso assai costoso) status symbol.
«Come è possibile che oggetti d’uso comune, di ogni genere, per lo più destinati alla produzione industriale in serie, siano diventati nel tempo oggetti di culto definiti da un’unica parola: “oggetti di design”?» (p. 9): Alessandra Coppa apre così la sua introduzione, mettendo subito al centro il busillis su cui ci si arrovellerà per l’intero volume e suggerendo che la faccenda è legata tanto a fattori culturali e percettivi (con “l’andare di moda” che spesso vince su “l’avere stile”) quanto a mere logiche economiche e produttive, mentre il mito della “funzione” gioca un’eterna partita a scacchi con il mito della “forma”. Gli oggetti non esistono, insomma, indipendentemente dai discorsi che vengono fatti a loro proposito, e ciò determina sia la loro nascita sia la loro vita (vale a dire il loro successo, la loro fortuna) tra gli esseri umani: dal minimalismo del Bauhaus (chi non conosce il detto less is more?) al postmodernismo (che rigira la frittata dichiarando che less is a bore); dalla democrazia del design anonimo (molta etica e poca estetica) al design “contro” e “radicale” (tutto creatività, poesia, provocazione), fino al design ludico che se ne va a braccetto con l’arte pop e porta un’atmosfera di vaga surrealtà tra le pareti domestiche. I designer creano prototipi su prototipi, le aziende li realizzano e li immettono sul mercato: sarà odio o sarà amore? Ma soprattutto: in base a che criterio lo sarà?
Per cercare di sbrogliare al meglio una matassa piuttosto aggrovigliata, Alessandra Coppa ha interrogato alcuni tra i maggiori designer viventi e tra gli addetti ai lavori più accreditati, con il guru Philippe Starck ad aprire le danze. Gli ha chiesto non solo quale sia la loro idea di design, ma li ha interpellati circa ispirazioni, convinzioni, prospettive, passioni e paure. Ha voluto sapere il film ma anche il piatto preferito, e non ha mancato di stimolare una giocosa autocritica circa il proprio operato, esortandoli a definire in che cosa consista il "maledettismo" di alcuni tra i loro progetti più noti. Il punto di arrivo è, se così può dire, identico al punto di partenza, e per questa ragione Maledetto design si conferma un libro assolutamente “circolare”: non nel senso del gatto che si morde la coda e gira a vuoto su se stesso, casomai in quello del gatto che ha preso gusto a giocare con un gomitolo che sa essere molto più interessante nella sua versione “destrutturata”. Dunque si chiude il libro con molte risposte, ma se possibile – il che è meglio, senza dubbio alcuno – con ancora più domande.
Vivacemente polemico ma con tutta evidenza animato da un profondo rispetto per il design e chi lo ha scelto come professione, il libro di Alessandra Coppa è pieno del giusto brio che lo rende apprezzabile sia dai lettori completamente a digiuno circa l’argomento sia da quelli le cui biblioteche personali risultano costipate di pubblicazioni a tema. Se ciò accade è in virtù del giusto bilanciamento dei contenuti, che ne fa un volume critico e divulgativo in parti uguali: un risultato non così ovvio, dal momento che la riflessione sul “maledettismo” del design, a tutta prima, sembrerebbe destinata a una fascia di pubblico già edotta sull’evoluzione del fenomeno. Così, invece, non è: la forma dinamica delle interviste, le schede sintetiche e tuttavia esaustive dedicate agli oggetti più iconici e il ricco apparato fotografico (questo, si, assolutamente “pop” nel senso più puro e accattivante del termine) lo rendono il libro perfetto da sfogliare per saperne comunque di più rispetto al proprio livello di conoscenza, minimo o massimo che esso sia. Ciò che più piace, ad ogni modo, è il filo di saggia e rilassata ironia che si dipana sottotraccia lungo le pagine, capace di creare un’atmosfera aperta al dubbio e tutt’altro che per iniziati: perché il design è una cosa seria, va bene, ma una riflessione lucida e finanche giocosa circa il suo statuto e la sua influenza sulla nostra vita lo è ancora di più. Forse, come ebbe modo di dire lo stesso Philippe Starck a proposito del suo Juicy Salif che occhieggia dalla copertina, nessuno è mai riuscito a spremerci per bene un agrume, ma in questo libro Alessandra Coppa ha messo da parte molto “succo”, da zuccherare a piacere in base al gusto e alla sensibilità del lettore.
Cecilia Mariani
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