La prima frase è sempre la più difficile
di Wislawa Szymborska
Terre di Mezzo Editore, marzo 2012
Traduzione di Sara Crimi
pp. 24
€ 3,00
[Il poeta e il mondo] In un discorso, a quanto pare, la prima frase è sempre la più difficile. Ebbene, la prima è comunque andata. Ma ho la sensazione che anche le frasi successive – la terza, la sesta, la decima e così via, fino all’ultima parola – saranno altrettanto difficili, perché si suppone che io parli di poesia. Di questo argomento ho parlato molto poco, quasi niente, a dire il vero. E ogni volta che ho detto qualcosa, ho sempre avuto lo strisciante sospetto di non essere granché brava a farlo. Ecco perché il mio discorso sarà piuttosto breve: le imperfezioni sono più tollerabili a piccole dosi.
Poetessa schiva, riservata, triste e ironica al tempo stesso, Wislawa Szymborska ha scritto più di duecento poesie e ha ricevuto il 7 dicembre del 1996 il premio Nobel per la letteratura.
L’economico e breve libretto è quanto di più prezioso si possa pensare: nella prima parte viene proposto in versione integrale (non corretto o riveduto) il discorso tenuto in occasione della cerimonia di conferimento del premio Nobel da parte della poetessa polacca; nella seconda parte, invece, è tradotta una significativa e intima intervista rilasciata dalla stessa alla giornalista Dean E. Murphy per il Los Angeles Times, non appena saputo d’aver vinto il prestigioso premio svedese.
Abbiamo dunque poche pagine di fronte, certo, ma che ci consentono di conoscere meglio una donna tanto elegante e leggiadra nella scrittura, quanto nella persona.
Nel discorso la poetessa esprime e descrive le difficoltà dei poeti. Quasi tutti i suoi “colleghi” provano vergogna a dichiarare di essere poeti in quanto la società non è pronta ad accettare tale ruolo come una professione. E così si ritrovano a dire “scrittori” o peggio, a qualificarsi con il loro secondo lavoro –se e quando ne hanno uno-. La maggior parte tranne uno: elogia Josif Brodskij, uomo che lei ammette d’aver conosciuto, che con vistosa provocazione si è sempre definito “poeta”.
Pone l’accento su quanto la figura del poeta sia noiosa e poco interessante, avvalorando la sua teoria descrivendo una persona sdraiata sul divano, che fissa il muro in attesa della frase più congeniale e adeguata, per poi scriverla e cancellarla quindici minuti dopo.
Affronta il romantico tema dell’ispirazione. Per la poetessa di fama mondiale l’ispirazione combacia con l’affermazione “non lo so”, la quale porta a porsi tante domande concatenate le une alle altre e fa sì che nasca lo stimolo, la spinta a desiderare una qualche risposta e di conseguenza si instaura una ricerca. Ma questa logica Szymborska non la applica al mero contesto poetico, non chiude il recinto attorno all’arte della poesia e alla produzione artistica in generale, al contrario la attribuisce a qualsiasi attività e a qualsiasi professione una persona svolga. E come esempio parla degli insegnanti, dei medici e addirittura dei giardinieri. E seguendo il suo filo rosso, risulta persino difficile contraddirla in quanto viene spontaneo pensare all’aforisma più inflazionato di Confucio: “Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”. Il senso, anzi il sillogismo è servito. E chi, almeno una volta nella vita, non l’ha pensata così?
Ecco perché do tanto valore a questa piccola frase: “non lo so”. È solo una frasetta, ma vola su ali possenti.
Espande le nostre vite, abbracciando gli spazi dentro di noi e le distese esteriori in cui il nostro piccolo pianeta fluttua sospeso.
Scopriamo qualcosa in più della poetessa grazie al suo stesso discorso. Rivela che per lei Ecclesiaste è uno dei più grandi poeti di sempre e nello stesso istante in cui sostiene ciò, va a confutare una delle frasi più celebri dell’autore greco, ossia “Non vi è niente di nuovo sotto al sole”.
Per assurdo, riconosce il torto della oramai storica frase, ma solo per elogiare chi la mise per iscritto, in quanto egli stesso, Ecclesiaste è stato, secondo la donna, quanto di più innovativo sia mai esistito grazie ai suoi scritti.
E conclude asserendo che, a proposito dello stupore, i poeti “avranno sempre il loro bel daffare”.
Siamo giunti alla seconda parte dell’opuscolo in cui vi è la prima intervista rilasciata dalla poetessa non appena avuta la notizia del Nobel. Riporto fedelmente l’incipit dell’articolo (della giornalista Dean Murphy) in quanto ci catapulta alla perfezione nell’atmosfera che ha visto complici entrambe le donne nelle confidenze e nelle dichiarazioni.
Zakopane, Polonia – Tre settimane fa, la poetessa Wislawa Szymborska ha lasciato il suo modesto bilocale di Cracovia, nella Polonia meridionale, per sfuggire al rumore e alla confusione dei lavori di ristrutturazione. Se l’è svignata in questo rifugio sulle montagne incontaminate, uno dei preferiti degli artisti e degli scrittori polacchi, e ha affittato una stanzetta –senza bagno né telefono- al secondo piano di una residenza riservata agli autori.
E da qui in poi nasce lo scambio. La giornalista si trova di fronte una donna di 73 anni anni travolta dalla notizia del Nobel. La poetessa su due piedi commenta che le è “crollato il mondo addosso”.
E con dolcezza prende vita un’intervista che tutti gli appassionati lettori ed estimatori della poetessa dovrebbero leggere.
Senza la privacy e la riservatezza con la quale si è sempre protetta non avrebbe mai potuto scrivere: Wislawa Szymborska per creare con le parole ha sempre dovuto avere la certezza che non squillasse il telefono.
Svela che ha scritto la sua prima poesia a cinque anni e che il padre, avendola apprezzata, le diede qualche moneta per incentivarla. Da allora non ha mai smesso, complice il clima intellettuale che regnava nella sua casa piena di libri e di cultura.
Ha sempre cercato di far conciliare nei suoi versi la tristezza e l’ironia, in quanto non potrebbe esistere l’una senza l’altra. Ma che in fondo, tanto deve alla sua sorpresa nei confronti del mondo e alla sua naturale curiosità.
La giornalista vanta il suo notevole spirito di osservazione e le domanda da dove arrivi. Ma la poetessa, colei che non nasconde fragilità e imperfezioni, elementi gestiti con la capacità di controllarli e la dote di saperli dosare, con tanta umiltà confessa di non saperlo neppure lei. Forse è un talento che possiede dalla nascita sul quale, con il tempo, ha lavorato per affinarlo.
Szymborska ha sempre scritto le sue poesie a penna e non nasconde che spesso, troppo spesso, ha cestinato molti suoi scritti perché non le piacevano più. L’Accademia svedese pare l’abbia rimproverata con affetto per aver pubblicato poco materiale e lei, sempre con soave innocenza, quella tipica dei poeti d’altro tempo, ribadisce che tanti scritti li ha buttati, altri li custodisce conservati. In sintesi: scrive molto più di quello che pubblica, dettaglio in comune con chiunque abbia la passione per la scrittura.
Rimane l’ultima domanda:
Oggi, incoraggerebbe un giovane a iniziare a scrivere poesie?
Tutti devono assumersi dei rischi. C’è un momento della vita in cui si esce dall’infanzia, si entra nel mondo e ci si assumono rischi e responsabilità. È inevitabile, non c’è niente da fare. Io dico: scrivi poesie, e poi vedremo. Metti in conto di fare fiasco: magari i tuoi versi sono pessimi e la gente non li apprezza. Oppure, invece, potresti avere successo.
Più che una risposta, è un caloroso consiglio dato da un’eccellenza mondiale dei versi a coloro che ambiscono a soddisfare e a coltivare la stessa passione per la poesia.
Il contenuto dell’opuscolo è ineccepibile nella qualità, nell’originalità e nel togliere qualche curiosità verso la vita e il pensiero della donna. Come è superfluo evidenziare, tante altre curiosità verranno sciolte leggendo il testo.
Nonostante consti di una ventina di pagine (e intrattenga giusto il tempo di una tisana), rappresenta una perla per gli amanti della poesia e dell’autrice.
La casa editrice, che personalmente non conoscevo e nella quale mi sono imbattuta per puro caso durante l’ultimo acquisto virtuale di carta stampata (il profano unito al sacro), dedica una collana alla “letteratura in formato pocket”, giocando con il suo stesso nome definendo queste mini edizioni “I piccoli di Terre di Mezzo”.
Nasce più di dieci anni fa nella periferia sotto forma di “giornale alternativo” nel quale vengono raccontate le vite straordinarie di persone qualunque, suggeriti stili di vita diversi improntati sul rispetto della natura, dell’ambiente e degli animali. Una scommessa che sta risultando a lunga durata vincente, se non altro per i suoi attenti ed esigenti lettori. Si è poi evoluta e arricchita divenendo anche un’associazione e una piccola casa editrice indipendente, quella che io ho sotto mano e voi sotto agli occhi nella foto.
Una realtà “letteraria” italiana (ma non solo, come si evince sopra) che merita decisamente maggiore attenzione e che avrò piacere di approfondire attraverso altri testi.
Alessandra
Liscia
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