di Franco Faggiani
Fazi Editore, maggio 2019
pp. 230
€ 16,00 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)
«Solo chi chiude tutti i conti con il passato può riuscire a guardare oltre l'orizzonte e perdonare se stesso», disse dopo un lungo silenzio trascorso a scandagliare la propria coscienza. (p. 183)
Non si dovrebbero mai paragonare due libri dello stesso autore, usciti a poca distanza uno dall'altro. O meglio, non lo si dovrebbe mai fare ricercando nel secondo le suggestioni, le sensazioni e le emozioni che il primo ci aveva suscitato. Perché i libri sono come i figli, il genitore è lo stesso, ma loro sanno essere molto diversi.
Io ho commesso questo errore. Ho iniziato a leggere "Il guardiano della collina dei ciliegi" innamorata persa de "La manutenzione dei sensi", il libro che Franco Faggiani ha pubblicato lo scorso anno (qui trovi la recensione). Un romanzo delicato e profondo, che mi era piaciuto moltissimo. Ecco che allora ho iniziato a leggere questo secondo libro, cercandone, più o meno inconsapevolmente, il seguito. Pur sapendo che non poteva essere, tanto diverso è questo, per ambientazione, tempi, scrittura. Ma la mia mente resisteva, appollaiata sulle mie spalle, gettando guardinga qualche occhiata al libro e sibilando, perfida, frasi del tipo «No, non ti piace», «Meglio l'altro»...
Finché finalmente, a un certo punto del romanzo, ho avuto la netta sensazione che il ricordo de "La manutenzione" stesse scivolando via da me e allora mi sono lasciata andare alla magia della scrittura e, in quel momento, come un velivolo che abbandona la zavorra, mi sono librata nell'aria della narrazione. Entrando davvero in questo romanzo e lasciandomene avvolgere. Perché Faggiani è bravo e anche in questa seconda prova narrativa ha fatto centro.
Lo spunto prende vita da una storia vera: nell'albo delle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 c'è un risultato che ha dell'incredibile. La maratona di Shizo Kanakuri, atleta giapponese, si è conclusa in 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi. Sì, avete letto bene ... e se non ci credete, andate pure a controllare... più di cinquantaquattro anni per concludere il percorso di 40 chilometri e 200 metri. Franco Faggiani, dopo aver letto questa notizia in un trafiletto di un giornale sportivo, ha preso informazioni, ha fatto ricerche e ha deciso che questa storia meritasse di essere raccontata. Attingendo alla realtà, ma soprattutto alla fantasia.
Il risultato è questo nuovo romanzo che ci trasporta nel Giappone di fine Ottocento, inizio Novecento e specificamente a Tamana, nel Giappone del Sud tra cedri, cipressi e cachi, dove Shizo Kanakuri nasce nel 1891. Dotato naturalmente dell'arte della corsa, il ragazzo corre libero tra i boschi fino a che, giunto all'Università di Tokyo, non viene notato da un certo Jigoro Kano, educatore, sportivo e fondatore dell'arte marziale del judo. Che lo fa seguire da un allenatore e infine lo presenta all'imperatore Mutsuhito quale maratoneta che avrebbe dovuto dare lustro e onore al Giappone per la prima volta alle Olimpiadi. Stoccolma, 1912. Dopo un lunghissimo viaggio, percorso a bordo di navi e treni, raccontato in maniera meravigliosa, Kanakuri arriva quindi in Svezia, spaesato e stupito da un mondo occidentale di cui non aveva immagini né contezza. Dopo qualche giorno, si ritrova schierato alla partenza con il numero 344 e, allo sparo di uno dei giudici, Kanakuri scatta, trovandosi ben presto nel gruppetto di testa. Ma al traguardo non arriverà mai. O meglio ci arriverà dopo oltre 54 anni. Trascorsi per larghissima parte a fare il guardiano di una meravigliosa collina di yamazakura, i ciliegi, nell'estremo Nord del Giappone. Dove era rientrato, sotto mentite spoglie, e dopo varie avventure.
Che cosa è successo durante quella maratona? Ovviamente non ve lo dirò. Vi dirò invece che il romanzo trova la sua cifra stilistica in una scrittura molto "orientale", con un ritmo che prende il passo giusto nella liricità della parola e della frase. Cullando il lettore in una miriade di immagini, della collina dei ciliegi in particolare, fotografate dall'aggettivazione abbondante e felice. Pare quasi che l'autore abbia voluto mettere alla prova se stesso: tanto quanto La manutenzione dei sensi disponeva di un linguaggio asciutto ed essenziale, attaccato alla realtà delle cose, tanto in questo secondo romanzo il lettore è trasportato e quasi ipnotizzato da una lingua lenta, ricca, meditata, da un modo di raccontare ondeggiante, fluttuante, raffinato, quasi alessandrino (ecco, sono ricaduta nel paragone tra i due libri.. va beh è inevitabile, perdonatemi).
La narrazione fluisce all'interno dello scorrere del tempo, che, insieme a Kanakuri, è il vero protagonista del romanzo. Gli altri personaggi arrivano e passano, quasi come ombre cinesi in movimento che scorrono sullo schermo lentamente, muovendosi silenziose, fino a scomparire. Anche Yasu, la moglie, che rimane per anni con Shizo, in realtà è soltanto di passaggio. Come tutto è di passaggio nella Natura, altra grandissima protagonista del romanzo. Regina incontrastata, con i suoi cicli, le sue stagioni, il ripetersi degli eventi, immutabile e periodico, come il bramito dei cervi in autunno che è presagio e desiderio di nuova vita. La quale sempre si ricompone e riparte nel suo ciclo.
Forse proprio la scarsa penetrazione psicologica dei personaggi, la loro scarna caratterizzazione può lasciare un po' perplesso il lettore, che, a parte Shizo, non riesce a legarsi ad alcuna delle figure presenti nel libro. Se ne può ritrovare la ragione proprio nel fatto che ognuno gira e si muove nel fluire naturale della vita, senza fermarsi. Questa scelta autoriale lascia a volte però un senso di incompiuto. Compiuta sarà invece la maratona di Shizo, che tornerà a Stoccolma per chiudere i conti con il passato, per ritrovare il suo onore e l'onore del Giappone che lui, a quelle Olimpiadi rappresentava, per ripagare la fiducia che l'imperatore, ormai morto, ma reincarnato nel suo discendente, aveva riposto in lui. Una corsa da fare perché alla fine si chiuda un percorso, il ciclo naturale della vita, come la corsa del sole che da Oriente corre verso l'Occidente. Per poi ricominciare.
Rosatea Poli
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