in

"Non diamanti ma perle di rugiada": in cammino verso la frontiera con Olivier Bleys

- -
Noi, i vivi
di Olivier Bleys
Clichy, 2019

pp. 162
€ 17,00 (cartaceo)

Titolo originale: Nous, les vivants
Traduzione di Paolo Bellomo


Non si può certo dire che Uspallata sia il luogo migliore per vivere: la cittadina è "apparsa assieme all'automobile" (p. 12), nel punto di intersezione di due strade statali, e vive dei suoi distributori di benzina e dell'autogrill. Uspallata è un luogo che il viandante attraversa il più rapidamente possibile, sempre se non incappa nell'"ombelico di Dio", un profondo cratere che si è aperto nell'asfalto e a cui sono debitrici molte ruote forate e molti assi rotti. Per i cittadini, invece, è una litania di azioni e rituali consolidati nel tempo e ritenuti immutabili:
La vita, da noi, andava così.
La vita consisteva in movimenti pendolari che portavano le stesse persone sempre negli stessi posti; quel viavai creava così tante abitudini, te le avvitava così profondamente nella testa, che il tempo sembrava dissolversi in esse. (p. 19)
Il paese sorge ai piedi delle Ande, che però gli abitanti non amano: oltre a "mangiare il sole", le cime aspre soffocano il villaggio, ostacolano gli spostamenti, incombono inquietanti con le loro cime aguzze. Soltanto il narratore, elicotterista, prova sentimenti diversi:
ero l'unico del quartiere, forse della città, a prendere le montagne in considerazione. Non mi suscitavano né paura, né risentimento, ma un turbamento quasi mistico, per la loro austera selvatichezza e la loro nobile dismisura. [...] Ero tra i pochi uspallatesi che ne avevano esplorato l'interno, al di là dei primi contrafforti su cui si ferma lo sguardo degli altri abitanti. A lungo, dopo l'atterraggio, immagini inaudite e continuavano a impregnarmi la retina. Mi davano, a quanto pare, quell'aria pensierosa e quasi ebete che hanno le vittime di un sortilegio. (p. 25)
C'è qualcosa di profondamente affascinante nella prosa di Olivier Bleys, che riporta al Calvino delle Città invisibili, al Buzzati dei Sessanta racconti, ma anche a una certa narrativa sudamericana, richiamata del resto anche dalle ambientazioni. Ci sono la leggerezza e il mistero, la poesia e il sorriso, c'è un realismo magico che non si disancora mai dal vero, ma che contribuisce a creare una tensione narrativa crescente, soprattutto durante lo stallo del narratore al rifugio Maravilla. La spedizione per portare rifornimenti a quest'ultimo è un'avventura che ha cadenza semestrale, e non è libera da pericoli: il rifugio Maravilla è infatti il più lontano, il più alto, il più difficile da raggiungere, quello in cui è più rischioso atterrare. 
Più che un rifugio era un semaforo, un segnale di preavviso, un faro nella solitudine glaciale delle Ande. Per noi piloti, il rifugio Maravilla rappresentava soprattutto una scommessa meccanica, una sfida lanciata alle macchine e alla loro autonomia. (p. 29)
Quando Jonás ci arriva, qualche meccanismo si avvia inavvertito: la sua volontà vacilla, spingendolo a indugiare; il tempo si dilata e uno strano torpore lo avvolge, facendogli perdere la cognizione dell'ambiente circostante. Non si accorge, il protagonista, della tempesta in arrivo, violenta e inesorabile come nessuna, che ghiaccia l'elicottero impedendogli di ripartire. In un clima apocalittico, avvolto da una luce irreale e dal turbinare della neve, l'uomo si trova impossibilitato a uscire dal rifugio, costretto in compagnia del vecchio guardiano e di un ospite misterioso, Jesús, detto il profeta, verificatore di frontiere. C'è qualcosa, nell'inflessibilità dell'uomo, nella nettezza delle sue parole, nel suo fluttuare leggero sulla neve fresca lasciando impronte quasi impercettibili, che induce nel narratore un profondo senso di inquietudine. Jesús pare un "testimone irreale" e passivo degli eventi, mentre descrive la labilità delle frontiere, o il varco chiamato "passo degli angeli", e tutti i presenti paiono subire l'avvio di una strana metamorfosi: "le nostre facce erano diventate pallide; le nostre mani dai polsi lunghi sembravano inerti, come le reliquie d'avorio di qualche santo montanaro". (p. 51) Ogni fenomeno nella narrazione ha una spiegazione razionale, e che pure risulta insufficiente: c'è sempre un qualcosa che sfugge, un'oltranza di senso. Nello scorrere dei giorni, tutti i tentativi di lasciare il Maravilla risultano vani:
Qualunque fosse la direzione, la velocità, l'angolo con cui mi avvicinavo alle montagne, il massiccio Maravilla si stagliava all'orizzonte come si presenta alla fine di un libro, o all'inizio, la copertina che lo tiene assieme. [...] La prospettiva non variava e inevitabilmente, sul punto di fuga, si trovava il rifugio verso cui tutto sembrava convergere – raggi del sole, venti d'alta quota, e il mio stesso sguardo, che non riuscivo a distogliere. [...] Il paesaggio si richiudeva su se stesso all'infinito. (p. 105)
Mentre i ricordi di ciò che attende a valle si affievoliscono, sbiadendo come l'inchiostro su una fotografia amata, il narratore capisce che l'unico sistema per liberarsi da una situazione di stallo non è forse quello di sforzarsi continuamente di tornare indietro, ma quello di andare avanti. Inizia così un viaggio verso la frontiera: un viaggio aspro, che pare senza fine e consuma corpo e spirito, che crea nuove abitudini e una relazione intima e disturbante con lo strano accompagnatore, quel Jesús che nell'orizzonte senza tempo delle montagne pare ritrovare la sua dimensione e si fa maestro e guida. Il cammino diventa per il narratore l'occasione di una progressiva spoliazione, di una rinascita e di una riscoperta che passano attraverso il sacrificio e la fatica. Le determinazioni di tempo e di luogo si fanno nel procedere del racconto sempre più vaghe (come ricordano anche i titoli dei capitoli: “Uspallata”, “Il rifugio Maravilla”, “La frontiera”, “Molto tempo dopo”, “Una mattinata limpida”, “Una sera tempestosa”), mentre il linguaggio diventa al contrario sempre più trasparente nel delineare gli eventi, portandoci passo passo verso lo svelamento finale. L'opera di Olivier Bleys si configura come una intensa parabola sulla vita e sulla morte, una riflessione sulle scelte, e sulla difficoltà ad accettare e a lasciar andare. È dura infatti la condizione dell'essere umano, prigioniero della sua fragilità.
Vorremmo perpetuarci come i cristalli, diventare duri come diamanti e scintillare nel profondo del sottosuolo. Noi, i vivi. Dei tagliatori di pietre ci taglierebbero a cinquantotto o a settantaquattro faccette perché il sole penetri meglio in noi e possa accendere i fuochi. Saremmo i ghingheri di belle donne, l'ornamento di polsi e di colli eleganti. Chi non sognerebbe un tale destino, un tale ruolo? Avremmo un prezzo, una quotazione, i ladri e le ricche ereditiere ci bramerebbero, la gente combatterebbe per possederci. Ecco cosa vorremmo essere: dei gioielli.
Ma noi, i vivi, brilliamo solo per un istante, non diamanti ma perle di rugiada, prima che la notte ingoi tutto. (p. 159-160).
L'autore riesce nell'intento non scontato di tracciare un'allegoria sull'esistenza che non perde mai ritmo e che affascina per il complesso sistema di indizi e allusioni che vengono disseminati accortamente nel testo e che fanno sì che la chiave di lettura fin dall'inizio non possa che essere una sola, ma che il lettore rifiuti di accoglierla fino all'ultima riga – pur trovandola, poi, in fondo, l'unica veramente sensata.

Carolina Pernigo







Svegliarsi prima del dovuto ha anche i suoi vantaggi: ci si può prendere il tempo di leggere qualche pagina prima di iniziare davvero la giornata, andare a lavorare... questo è un piacere in cui @quinquilia indulge spesso. Oggi lo fa in compagnia di "Noi, i vivi" di #olivierbleys, da poco edito da @edizioniclichy. Il narratore, Jonas, fa l'elicotterista nel remoto paesino di Uspallata, sorto quasi per caso ai piedi delle Ande, che vengono viste con ostilità dai cittadini perché "mangiano il sole". Solo Jonas, che le osserva dall'alto, è affascinato, quasi stregato dalla loro grandezza, dal loro mistero. Un giorno, l'uomo si trova a dover portare i rifornimenti al rifugio Maravilla, perso in un luogo aspro e impervio. Qui, il viaggio si interrompe, per motivi che inizialmente sembrano casuali e poi, nel loro protrarsi, diventano sempre più inquietanti. @quinquilia non riesce a smettere di leggere, per arrivare presto a scoprire la verità della narrazione. Ma diteci di voi, anche voi siete lettori mattutini? Che titolo vi attende insieme al caffè? #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle #ande #argentina
Un post condiviso da CriticaLetteraria.org (@criticaletteraria) in data: