In ordine da sinistra verso destra: Michela Murgia, Mimmo Franzinelli, David Bidussa, Claudio Vercelli, Francesco Filippi |
Durante il secondo giorno del Salone del libro di Torino 2019, venerdì 10 maggio, si è tenuta una delle conferenze più interessanti e attese dell'intera fiera. Vuoi per il calibro degli relatori, vuoi per il teso clima politico di questi ultimi tempi, incendiato oltretutto dal caso Altaforte, alle 16.30 la Sala rossa si è riempita di editori, giornalisti e blogger; fuori sono rimasti, come altre volte è accaduto, i "comuni mortali" sprovvisti di badge, che non senza qualche polemica hanno fatto notare di essere loro i visitatori paganti della fiera.
Il dibattito, durato oltre un'ora, ha visto al centro il tema dell'attualità del fascismo, una ideologia virtualmente sepolta nel 1945 con la fine della seconda guerra mondiale e la morte di Mussolini, ma che soprattutto negli ultimi anni sembra essere tornata in auge e, di recente, non si nasconde più dietro nuvole di fumo, nonostante l'articolo XII delle disposizioni transitorie e finali della nostra Costituzione e la legge 645 del 1952 che ha istituito il reato di apologia del fascismo volto a punire «chiunque promuove, organizza o dirige le associazioni, i movimenti o i gruppi» (comma 2) di ispirazione fascista.
All'obiezione che si può muovere leggendo il titolo della conferenza Che cos'è il fascismo?, ossia che nel 2019 non c'è bisogno di impegnare le menti di scrittori e intellettuali con una cosa morta settant'anni fa, dunque, non si può che rispondere che invece c'è eccome la necessità di affrontare ancora una volta questo argomento perché, come fa presente Bidussa (storico e curatore del testo Me ne frego edito da Chiarelettere), l'Italia non ha mai fatto veramente i conti col fascismo, ma anzi il suo linguaggio e sua la morale sono ancora vivi fra noi, perché - e questo vale in generale - «un sistema politico si perpetua oltre la sua data di morte nella mentalità delle persone che sono state educate in quel sistema». La tesi che Bidussa sostiene, corroborata dall'intervento di Michela Murgia (Istruzioni per diventare fascisti, Einaudi), è che in Italia come altrove sia mancata l'autocritica e che si sia imposta una nuova forma di Stato senza prima smantellare i residui di quella precedente. «La mentalità totalitaria è ciò che resta dall'educazione precedente e che si perpetua» anche quando la generazione che ha vissuto quell'epoca non c'è più.
La grafica proposta da Eris edizioni e presente su molti stand al Salone |
La verità di questa tesi la ritroviamo nell'argomento di Filippi (autore di Mussolini ha fatto anche cose buone, Bollati Boringhieri) che, in quanto formatore, si concentra molto sul linguaggio e sulla comunicazione, e afferma che «in determinati ambiti sociali, primo il web, c'è un inquinamento forte e sociale della memoria condivisa sul fascismo», così come i meme tendono a banalizzare, e pertanto a normalizzare, il concetto stesso. Il risultato immediato è che un'ideologia storicamente complessa e contraddittoria viene accettata da molti perché ridotta in termini comprensibili e non poi così contrastanti con la democrazia, che invece è uno dei nemici del fascismo; questo infatti, afferma Filippi, è «una retorica: rinasce quando qualcuno usa un metodo antidemocratico per affrontare i problemi», ossia quando dall'alto viene calata una soluzione univoca che non ammette possibilità di dibattito. Anche Michela Murgia punta il dito contro la banalizzazione del male: il problema principale secondo lei è che si tende a rivolgere a chi si professa fascista niente più che un'alzata di spalle, a sminuire cioè la questione, che invece è di portata ben maggiore rispetto a quanto vogliamo credere: «bisogna prendere sul serio il fenomeno e non considerarlo marginale».
È Franzinelli a porre poi l'accento sulla questione storica: nel suo Fascismo anno zero (Mondadori) mostra come «a spianare la strada ai fascisti sono stati gli antifascisti», che a sinistra non sono stati in grado da una parte di proporre soluzioni alle crisi economiche ed esistenziali dei cittadini italiani nel primo dopo guerra, e dall'altra a salvaguardare la democrazia. Il fascismo, afferma, si è imposto perché offriva soluzioni forti e dunque tranquillizzanti. E poiché la storia di rado mente, è possibile leggere nel discorso di Franzinelli un attacco al presente, a quella classe politica che, a destra come a sinistra, mentre dibatte e si lacera ogni giorno, sembra ignorare le affermazioni e i comportamenti che avvengono su più fronti e che fanno pensare a una sorta di corsa agli armamenti dell'estrema destra.
Per concludere, si può provare dunque a rispondere con Vercelli (Neofascismi, Edizioni del Capricorno) alla domanda posta dalla conferenza stessa: che cos'è il fascismo, e perché è ancora oggi così pericoloso? «I fascismi», afferma, «sono una narrazione della modernità basata sulla mitologizzazione della realtà»; sono dunque una forma alterata di percezione delle cose in grado di obnubilare il pensiero delle masse e che «fondano la propria identità sul rifiuto della democrazia e sull'importanza dei legami sociali». Ma soprattutto, e questo è il problema principale, «il fascismo chiede la libertà degli individui e offre in cambio omologazione» a un pensiero unico, oltre il quale c'è il nulla.
Il fascismo è una piazza gremita di persone che dicono sì ad alta voce, e che vedono in chi risiede al di fuori di quella piazza un nemico da combattere. Per questo oggi e sempre dobbiamo dirci antifascisti: per salvare la nostra autonomia e la nostra libertà dalle maglie del pensiero unico.
David Valentini
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