Mercoledì 8 maggio è stato un mercoledì cupo e piovoso. Ero in bus, e insieme a me, piccoli gruppetti di persone silenziose, si muovevano verso l’estrema periferia Nord-ovest di Torino, nel quartiere Le Vallette, cercando le Officine Caos. Questa era infatti la suggestiva location scelta da Christian Raimo per il Reading inaugurale del XXXII Salone Internazionale del libro di Torino.
Fuori dal teatro c’erano volanti e divise, il che mi ha un po’ riportato al clima Anni di Piombo di alcuni romanzi sciasciani, e mentre mi chiedevo se fosse tutto nel copione, attraversando l’atrio, ho scambiato due chiacchiere con un gentile signore e sua moglie, che in un lampo di orgoglio mi confessano di essere cugini della moglie di Sciascia, Maria Andronico. Entrambi appartenenti a un ramo della famiglia trasferitosi a Torino, raccontano di avere un figlio, talentoso come il parente illustre, ormai da anni in Polonia, scappato per cercar fortuna lavorativa e con la scrittura nel sangue, impegnato a intrecciare trame e scrivere pagine sulla scia di plot polizieschi che parlano polacco ma hanno nostalgia della campagna racalmutese.
La famiglia di Sciascia, i nipoti, alcuni critici di fiducia, conoscenti e amici sono lì, in prima fila. Sono arrivati presto, per guardare gli attori Fausto Russo Alesi e Linda Caridi, diretti da Veronica Cruciani, interpretare il compianto Leonardo Sciascia, di cui ricorrono trent’anni dalla morte, nel Reading “Ha contraddetto e si è contraddetto”, scritto da Christian Raimo sotto forma di intervista impossibile.
Un titolo che, alla luce di quanto accaduto nei giorni scorsi, risuona come una profezia, in calce alle polemiche che hanno accompagnato l’apertura del Salone di Torino.
C’è - tra parentesi - da chiedersi se davvero il dibattito editore fascista sì/editore fascista no sia stato funzionale alla cultura, e al Salone che la rappresenta, o se la cultura non sia stata, in qualche modo, il pretesto, per parlare di tutto, senza parlare davvero di ciò che è importante, in quello che è sembrato a molti un attacco politico, ad altri una pubblicità involontaria al libro di Salvini, pubblicata appunto da Altaforte Edizioni, infine escluso dal Salone per la sua fiera proclamazione di aderenza al fascismo, inconciliabile con ospiti, tematiche e dignità di un evento come il Salone.
Morale della favola, al Salone sono andati tutti, Altaforte non ha avuto lo stand ma ha pubblicizzato il libro con tanto di sortita di Chiara Giannini davanti alla Feltrinelli e dedica di “Bella Ciao” da parte di un dipendente, e al reading di Raimo eravamo in pochi, premesso che si è data precedenza agli abitanti del quartiere e che i biglietti per i paganti erano stati tutti acquistati, mancavano tutti gli invitati illustri, (compreso Nicola Lagioia, impegnato a decidere la sorte dello stand Altaforte), c’erano comunque i vertici del Circolo dei Lettori e l’Assessore alla Cultura.
Ad ogni modo, tornando a Sciascia, che mi ha accompagnato in questo viaggio dentro il Salone, mi piace ricordare come uno studioso del calibro di Rosario Castelli, abbia di recente pubblicato un interessante volume su Sciascia, dal titolo, appunto, “Contraddisse e si contraddisse” (a questo link trovate la recensione) , in cui spiega come la frase sia: “una definizione ricavata probabilmente dalla lettura di un bellissimo saggio sull’Illuminismo di Jean Starobinski, dal titolo L’invenzione della libertà, in cui il critico ginevrino definisce in questi termini la condizione in cui vive “l’uomo dei lumi”: “[...] nel momento in cui propugna il diritto di opporsi a qualsivoglia autorità acquisisce il senso della contraddizione. Da quel momento, può anche succedere che si trovi in contraddizione con se stesso: egli diviene allora, il primo critico delle idee dalle quali è attratto e delle formule che ama, fino al punto di volere tentare l’esperienza del loro contrario.” Chissà che Raimo non ci abbia pensato scrivendo quel post su Facebook che ha scatenato la polemica e l’ha convinto a dimettersi da consulente editoriale del Salone, e poi contraddicendosi su Twitter, ribadendo l’idea che andarci fosse cosa buona e giusta, in nome della cultura...
Il Reading inaugurale è stato ben interpretato dai sue attori (a parte forse l’idea che ho sempre avuto di uno Sciascia bonario, un po’ ribaltata dall’interpretazione di Russo Alesi, che ha reso uno Sciascia un po’ burbero) e ha toccato temi e nuclei della sua produzione di scrittore, allergico all’idea di essere definito un intellettuale, ma non ha spaziato su temi di stretta attualità, come di norma un’intervista impossibile fa. Le contraddizioni sciasciane, le sue mille tematiche, sono state toccate dalla riscrittura, a partire dall’uomo fino ad arrivare allo scrittore, così uno Sciascia che non ha paura di farsi “rubare” del tempo dalla giovane giornalista, precisa che si può solo scegliere di investire “in un miglior tempo o in un peggior tempo”. Poi il tributo ad alcuni dei suoi modelli, da Pirandello a Simenon. Uno Sciascia che parla della violenza della guerra a cui l’intellettuale non cede, e a volte soccombe, come è successo a Virginia Woolf, che non ha resistito all’idea della violenza che poteva abbattersi sul mondo da lei amato. Non si inalbera questo Sciascia impossibile, di fronte al paragone con il principe di Salina, e ammettendo che qualche volta si può cambiare idea, si muove sulla scena, tra una poltrona bianca e un leggio, attorniato dai libri, cercando di rispondere alla domanda che per tutta la vita lo guidò: “Cos’è la verità”, ma anche “Cos’è la Letteratura”, e perdendosi nella grandezza dell’ambivalenza e sulla poltrona infine si siede, perdendosi nel tempo che non fu, nell’intervista che ci manca, tra le volute di fumo di una sigaretta, seduto, sfinito, ormai perso nella poltrona bianca che non ne regge più il capo.
Passeggiando tra la bolgia del Salone, che quest’anno ha fatto il boom di presenze (soprattutto il sabato) ho scoperto degli interessanti incontri meno affollati, rispetto a quelli quasi inarrivabili delle sale più grandi. In particolare uno mi ha colpito, promosso dagli Amici di Sciascia e dalla Regione Marche, sempre nel segno di Sciascia, perché gli studiosi intervenuti hanno raccontato i rapporti dello scrittore con gli artisti marchigiani, come l’incisore Leonardo Castellani, o Arnoldo Ciarrocchi o Luigi Bartolini, di cui ha parlato la studiosa Tiziana Mattioli o ancora l’incontro del grande racalmutese con gli studenti delle Marche, nello studio di Roberta De Luca e in una dimensione più europea, lo splendido carteggio, raccolto dalla studiosa catanese Giovanna Lombardo, con il suo traduttore dal francese Mario Fusco, di cui è appena uscito il libro per l’editore Olschki e dal titolo “Grazie per la traduzione”, Leonardo Sciascia e Mario Fusco, lettere 1965-1989, con una splendida fotografia in copertina, che ritrae Sciascia e Fusco al bar, scattata da Scianna.
Al termine di questo viaggio nel salone del libro (di cui ho apprezzato molto l'Oval, perché aveva un'aria più distesa e respirabile e, sempre a livello logistico, il passaggio magico dai binari del Lingotto direttamente in Salone) mi vengono in mente le parole del tassista che mercoledì sera mi ha traghettato dalle Vallette a Porta Nuova, e che parlando di Letteratura mi ha raccontato quanto fosse vivo in lui il ricordo del suo professore di Italiano, che gli aveva fatto amare, come nessuno, i libri. Dopo avermi suggerito di far studiare la storia attraverso i romanzi storici, mi ha raccontato di quanto non avesse per nulla gradito questa polemica su fascismo e antifascismo, pur essendo un convinto antifascista, perché la cultura è di tutti e i libri non devono essere messi all’indice, perché non sono loro a dare fastidio, ma l’uso che ne facciamo.
La saggezza degli uomini e le tante risposte impossibili, che spesso rincorriamo tra i mille incontri affollati delle sale, tra i dibattiti sterili, e tra i libri, (soprattutto e per fortuna), se la rincorri alla fine si mette sulla tua strada, e ti viene incontro in tanti modi, anche su un taxi di un piovoso mercoledì di maggio.
Samantha Viva