Scrivi sempre a mezzanotte.
Lettere d'amore e desiderio
a cura di Elena Munafò, con un saggio di Nadia Fusini
Donzelli Editore, 2019
Traduzione di Sara De Simone (lettere di Vita) e di Nadia Fusini (lettere di Virginia)
pp. 304
€ 24,00 (cartaceo)
€ 12,00 (ebook)
Come brace calda nel mio petto brucia il tuo dire che ti manco. Mi manchi così tanto. Quanto non lo crederai, né saprai mai. In ogni singolo momento del giorno. Mi dà dolore ma anche piacere, se capisci cosa intendo. Voglio dire che è bello avere un sentimento così intenso, così ostinato per qualcuno.
È un segno di vitalità. (Nessun gioco di parole.)
V.
Scrivi sempre a mezzanotte raccoglie una selezione inedita di lettere - 136 in tutto - che Virginia Woolf e Vita Sackville-West si sono scambiate tra il 1922 e il 1941. Quasi vent'anni di carteggio e di amore nel senso più esteso del termine: il loro era un rapporto amicale, intellettuale, sensuale, una relazione nutrita da una costante ricerca dell'altra. V. e V., due donne diverse, forse mai davvero complementari. Virginia è l'intellettuale dei moments of being, una sentinella che indaga nelle pieghe del reale l'essenza nascosta dell'essere, con lo sguardo mai sazio di visioni e la sensibilità del grande genio. Vita è l'aristocratica dall'andatura austera e le lunghe gambe, estrosa, fiera e passionale. Chiama Virginia "stella luminosa e costante", mentre insieme imparano a conoscersi e riconoscersi, tanto negli sguardi quanto nei toni della parola scritta.
Del sentimento che legava Virginia e Vita hanno scritto biografi e critici (tra i più intensi Quentin Bell, Nigel Nicolson e Liliana Rampello), ma soprattutto hanno scritto le due protagoniste stesse, consegnandoci non solo una straordinaria raccolta di materiale epistolare, ma lasciando testimonianza perenne nelle loro opere, in primis in quel gioiello di invenzione biografica che è Orlando, il libro che Virginia ha dedicato e regalato a Vita immortalandola in un personaggio cangiante e senza tempo.
Non riuscivo a cavarmi una parola dalla testa, alla fine mi sono presa la testa tra le mani, ho intinto la penna nell’inchiostro e ho scritto queste parole, quasi automaticamente, sul foglio bianco: Orlando, una biografia. Appena l’ho fatto il mio corpo è stato rapito in estasi e il mio cervello s’è riempito di idee. (V. Woolf, 1927)
Dalla struttura della raccolta, sapientemente costruita grazie al contributo di Elena Munafò e Nadia Fusini, emerge una relazione che è come un iride multicolore. Le parole delle due amanti la fissano a futura memoria, ma è impossibile da catalogare.
Interessante il gioco di continuità e discontinuità del narrato: anche in assenza di strutture di collegamento (le lettere non sono sempre collegate e continue), le lettere si tendono le une con le altre come nell'arco di un'unica lunga storia.
La lettera per Virginia e Vita è anche momento di espressione della propria intellettualità: siamo di fronte a due donne che a inizio Novecento aspirano a ritagliarsi il ruolo di scrittrici di professione, che si confrontano con gli uomini, nei salotti e sui giornali. Innumerevoli i riferimenti alle opere letterarie, a quelle scritte e a quelle lette, a quelle studiate e a quelle incontrate per caso, da Proust a Coleridge, da Arnold a Huxley.
In più punti ho letto il carteggio anche come una meta narrazione sulla scrittura e sui suoi sforzi. Appassionanti le parti in cui l'una legge l'opera dell'altra o si confrontano sui generi e sulle forme letterarie.
Devo interrompermi. O a questo punto dovrei spiegare perché è giusto che io abbia visioni, mentre tu devi essere precisa. Io scrivo prosa, tu poesia. Ora, essendo la poesia la più semplice, nuda e scarna ed elementare delle due, con in più il fascino avventizio della rima e del metro, non arriva la bellezza allo stesso modo della prosa. Basta poco e dà alla testa.
È Vita a definire La signora Dalloway come un bagliore che "sconcerta, illumina e rivela", è Virginia a dirsi ispirata dai racconti di Vita che lei stessa pubblicherà, colpita dalla bellezza e dalla fantasticheria dei dettagli.
La lettera non è solo confronto, è anche tensione linguistica, verità e finzione, ma è soprattutto invenzione dell'altra quando questa ci sfugge.
In un toccante passaggio Virginia scrive all'amata: "Provo a inventarti da sola, ma non ho altro che 2 rametti e 3 pagliuzze. Riesco ad avere la sensazione di vederti – capelli, labbra, statura, e a volte anche gli occhi e le mani, ma poi scompari, vai in giardino, a giocare a tennis, a zappare, a fumare, a parlare, ma non riesco a inventare quello che dici. Il che dimostra quanto potrei riflettere su questo – quanto poco sappiamo degli altri – solo i movimenti, i gesti, niente di coerente, continuo, profondo."
In ogni lettera ognuna delle due cerca una definizione dell'altra e di se stessa, mentre il lettore mette insieme i pezzi di un mondo in frammenti.
Come nelle migliori raccolte epistolari, gli scambi introducono al mondo dei dettagli: scopriamo che Virginia per scrivere aveva bisogno dell'assoluto silenzio e che entrambe amavano i cani, così presenti nei loro messaggi. Carpiamo il rapporto che avevano con i mariti: Leonard, il porto sicuro, Harold, la nave su cui salpare.
Visitiamo i luoghi delle lettere e dei loro incontri segreti: i salotti, le dimore di campagna, Sissinghurst, Knole, Long Barn, la Persia di Vita, la Grecia di Virginia.
"Le vite degli altri diventano decorative quando non vi si prende affatto parte", scrive Virginia nel 1929. Eppure in questo libro si sente di farne parte: è un'intrusione nelle loro vite, ma è silenziosa e concessa.
Questo è il tranello che le due protagoniste si sono tese a vicenda scrivendo il loro amore, ma è anche una sfida a scoprirlo che hanno lanciato a noi.
Claudia Consoli
Claudia Consoli