Il rumore del mondo
di Benedetta Cibrario
Mondadori, 2018
€ 22,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Un grande cliché quando si parla di romanzi storici, specie quelli d’ampio
respiro, è l’uso di un lessico rubato al mondo delle arti visive, specie della
pittura. Diciamo, quasi senza pensarci, che l’autore ha dipinto un grande
quadro di questo o quel contesto storico e culturale. Se vogliamo essere ancora
più specifici, commentiamo la qualità delle pennellate – rapide,
impressionistiche o perfettamente amalgamate – e la palette di colori scelti.
Come lettori, lo facciamo perché un libro è sempre un’esperienza sinestetica.
Un buon romanzo è una buona storia scritta ad arte; un grande romanzo è questo
ma è anche un turbine di colori, suoni, sapori ed esperienze tattili capace di
insegnarci qualcosa di più sul genere umano. Il rumore del mondo di Benedetta
Cibrario è tutto questo, e anche di più. Questo romanzo è un progetto ambizioso
che ha l’imponenza di una cattedrale e l’intima delicatezza di una conversazione
tra amici.
Quando nel 1838 Anne Bacon, fresca di nozze, parte dalla sua Londra
per raggiungere il marito Prospero a Torino, tutto ha il delizioso sapore del
futuro e della possibilità. Bastano poche pagine, però, per scoprire che è
accaduto l’irreparabile: durante il viaggio, Anne è stata contagiata dal vaiolo
e, sebbene sia sopravvissuta, il suo viso è stato irreparabilmente sfigurato
dalle cicatrici. Non è, e non sarà mai più, la ragazza in fiore di cui un nobile
torinese si è innamorato tra una visita a un club e l’altra. Quando, al suo
arrivo in Italia, Prospero e Anne si incontrano per iniziare finalmente la loro
vita da marito e moglie, qualcosa si è già irrimediabilmente avvizzito. Parte da questo dramma in sordina, microscopico nella sua domesticità, un
romanzo stupendamente manzoniano nel migliore dei modi possibili; con quel
tocco di malinconia che, però, chi come me ha amato Il Gattopardo potrà riconoscere e apprezzare. La vita di Prospero e
Anne incarna perfettamente lo sterotipo tolstoiano secondo cui ogni matrimonio
è infelice a modo proprio; sullo sfondo di questo topos narrativo prevedibile e
ben eseguito, però, si svolge la storia.
Tanti dei pregi di Il rumore del mondo
potrebbero essere definiti, senz’ombra di dubbio, di marca manzoniana. L'aggettivo potrebbe suonare pretenzioso, ma la dichiarazione della stessa Cibrario, in una rivelatrice nota di metodo finale, è scopertamente tale e non si può non commentare:
La storia allestisce uno spettacolo in cui figure scomparse si rivelano, se non per quello che sono state, almeno per quello che hanno rappresentato. In un romanzo possiamo coglierle anche per quello che ci suggeriscono. Accanto a coloro che sono stati lievito al mondo, recitano quelli che tentano di annientarlo; ma il numero più grande è rappresentato dalla folla di comparse silenziose che entrano ed escono di scena in punta di piedi.
Il rumore del mondo è un romanzo sulla Restaurazione e ribollire storico che ha condotto ai moti del Quarantotto e, più avanti, al Risorgimento («Risorgimento è un nome che sa di
speranza, non credi?», scrive Anne a sua sorella Grace). La Cibrario ci
regala una magistrale e accurata rappresentazione di questo ribollire
raccontandoci le vite non di eroi, re idealisti o condottieri, ma di uomini e
donne che animano la storia - che sono il stati il lievito del mondo - senza deciderne la direzione: mercanti di seta,
piccola nobiltà, governanti. Le battaglie e i combattimenti, se ci sono,
avvengono in lontananza. Hanno più peso i giudizi che i nostri personaggi hanno
di questi combattimenti e delle scelte politiche che li hanno causati. Quando
Anne commenta le agitazioni torinesi e la povertà della città, sembra
davvero di ascoltare il racconto attutito, filtrato, di chi non combatte sulle
barricate ma vive una vita privilegiata, che piange la povertà ma non l’ha mai
conosciuta, che guarda le sommosse da dietro il vetro della finestra di casa propria. Proprio per questo la storia e i personaggi di Benedetta Cibrario
sembrano tanto più autentici. E il vetro di quella finestra è già sul punto d'infrangersi.
Un altro aspetto squisitamente manzoniano è la messe di documenti che pullula
in questo romanzo. Il rumore del mondo
è un solido romanzo dalla struttura tradizionale, e nonostante questo (mi correggo: forse proprio per questo) contiene una quantità considerevole di missive e corrispondenze epistolari. A un certo punto c’è persino una lista di crediti. Le lettere e gli spezzoni di diario sono, a mio avviso, i punti in cui il talento della Cibrario raggiunge l’apice. Il diario di viaggio di Theresa Manners e la corrispondenza finale tra Anne e Grace Bacon sono delle
gemme di concreta bellezza, ed è un doppio piacere – quello del voyeur, senz’ombra di dubbio: ma siamo lettori, e tutti i lettori sono un po’ voyeur – vedere la trama accelerare tra queste righe private, problemi, novità, piccole e grandi
tragedie di cui vorremmo sapere di più e che di fatto ci costringono a fare un
po’ il mestiere dello storico, colmando vuoti, immaginando eventi o missive non
riportate e così via. La freschezza di questi approcci così diversi, che vanno
da una narrativa di stampo tradizionale a sezioni puramente epistolari, con una sicura
padronanza dei punti di vista di ciascun personaggio, fa sì che le
centinaia di pagine che compongono questo romanzo monumentale filino via senza
alcuna fatica. In tante pagine, tutte intime e domestiche benché intimamente
tessute di storicità, mi è capitato di rado di sbuffare per qualche scelta
infelice (ad esempio, l’incertezza di Prospero «nella confusione del suo
sentire»).
Non c’è dubbio che questo sia un romanzo di capitale importanza per la
letteratura italiana degli ultimi anni, e un romanzo destinato a rimanere tra
letture consigliate per anni e a ottenere la qualifica di libro «senza tempo». Fa certo riflettere, e in positivo, che oggi si
torni a parlare – e con un romanzo di questo calibro – di moti, Restaurazione e Risorgimento. «Tutto
è politica», pensa tra sé e sé Casimiro, il padre di Prospero, mentre sta
spolverando una vecchia parrucca ammuffita per andare a incontrare il re, e non
riesco a non pensare che anche questo romanzo sia un bellissimo atto politico e una monumentale lettera d'amore all'Italia.
La scelta di raccontare una fase della nascita del nostro Paese dalla prospettiva di una giovane straniera e della sua integrazione
nella Torino della prima metà dell’Ottocento è carica di significato. Una Torino, va la pena dirlo, in cui l’élite preferisce ancora il francese all’italiano. Quasi letteralmente, noi lettori arriviamo in Italia insieme ad Anne Bacon, e insieme ad Anne Bacon dobbiamo cominciare ad amare, nonostante tutto, questa «Italia giovane e confusa».
Laura Ingallinella
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