Volevo essere una vedova
di Chiara Moscardelli
Einaudi Stile libero, 2019
pp. 216
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il nuovo libro di Chiara Moscardelli è vita vera raccontata con un riso, talvolta amaro. La gatta morta del suo primo libro è cresciuta, non perché sian passati anni, ma in quanto Chiara ha acquisito una consapevolezza e una maturità personale che trapela in ogni pagina.
Se prima la protagonista voleva trovare un uomo per sentirsi completa, ora riesce a trovare se stessa e un equilibrio personale, anche se con tanta fatica emotiva e con il supporto di uno psicoanalista.
Chiara affronta e racconta le sue difficoltà senza nascondersi, con l’ironia che la contraddistingue e con uno sguardo scanzonato sulle vicende che si trova a vivere in diversi contesti di vita.
L’ex gatta morta ha costruito il suo angolo di mondo ricco di amici, in una casa nuova e con la passione per la scrittura che le porta molte soddisfazioni.
“Volevo essere una vedova” è, a tutti gli effetti, un romanzo di formazione, di crescita sentimentale, emotiva e anche lavorativa.
Ma quale è stato il percorso di Chiara che le ha consentito di “crescere”? Abbiamo posto questa e altre domande direttamente alla scrittrice.
Da sinistra: Elena Sassi e Chiara Moscardelli |
Il libro è un memoir nel quale parli di te stessa in modo molto chiaro. Come hai trovato il coraggio di “esporti” anche su aspetti molto intimi e privati?
Perché me lo dovevo, e lo dovevo alle mie lettrici. Sentivo proprio la necessità di condividere un percorso di assoluzione.
Assoluzione dall’essere una donna single alle soglie dei cinquant’anni e senza figli. E per farlo dovevo mettermi a nudo, trasmettere il messaggio che siamo tutte speciali, uniche e complete anche senza un uomo accanto, anche senza il vissero per sempre felici e contenti, anche senza prole.
Gli amici sono il tuo rifugio e citi molti esempi delle varie forme di aiuto e di supporto che ti hanno dato e ti danno. Siccome credo che l’amicizia - quella vera - sia sempre uno scambio, ci racconti qualche aneddoto/vicenda nella quale sei stata tu il supporto per uno di loro?
Credo fermamente in questa cosa. Se non puoi scegliere la famiglia d'origine, puoi invece sceglierti quella con la quale andare avanti e invecchiare. Lo scambio consiste principalmente nell’esserci sempre, nonostante il lavoro, nonostante le difficoltà personali, attraverso un supporto reciproco. Arrivare stanchi la sera a casa non deve impedire di uscire di nuovo, prendere un autobus e andare a casa dell’amica che ha bisogno di te. O prendere un treno per andare in un’altra città e trascorrere un fine settimana ad ascoltare un’amica, anche se magari si avrebbe voglia, e bisogno, di fare altro.
Oppure, più semplicemente, fare in modo che la tua casa diventi anche la loro casa tutte le volte che sono in cerca di un rifugio.
«Cambiare è difficile» (p. 24) Il cambiamento in te è stato difficile, ma salvifico. Su quale aspetto hai faticato maggiormente nel tuo percorso di crescita personale?
Bella domanda! Moltissimi aspetti. Soprattutto quello fisico. Da bambina bullizzata non mi sono mai sentita bella. E questo ha inciso profondamente sulle mie relazioni sentimentali, o mancate relazioni. E più quelle non arrivavano, più la loro assenza per me confermava che fossi brutta. Poi c’era il valore che attribuivo a me stessa. Pari a zero. Nonostante le conquiste, mancava sempre il tassello fondamentale, l’amore, e questo mi impediva di essere soddisfatta di quello che avevo raggiunto. E l’immagine che abbiamo di noi stessi incide profondamente su quella che si fanno gli altri.
L’accento dei milanesi non ti piace molto e poi «la fretta era il sentimento principale che muoveva gli abitanti della città» (p. 31), ma c’è qualche aspetto dei milanesi che invece hai fatto un po’ tuo?
L’accento è tremendo, diciamolo. Tutte quelle "e" aperte quando dovrebbero essere chiuse e chiuse quando dovrebbero essere aperte... Non ne azzeccano una! L’accento romano è altrettanto brutto, sia chiaro, ma almeno le "e" le becchiamo tutte! Milano è diventata una bellissima città. Mi piace la facilità con cui si riescono a portare a termine le cose. È tutto più semplice, pulito, lineare. A Milano sono riuscita a comprarmi casa, a Roma sarebbe stato impossibile.
Che cosa è ora per te la felicità? Prova a rispondere alla domanda che anche nel libro ti poni a p. 58.
La felicità è riuscire a essere soddisfatti di quello che si ha, piacersi, trovarsi belle!
La bambina, la te ragazzina, ascoltava “Non voglia mica la luna”; ora che tipo di musica ascolti? C’è qualche gruppo o cantante che segui in modo particolare?
Purtroppo da quel punto di vista sono rimasta lì. Ascolto la musica della mia epoca. La Bertè, per intenderci, De André. Ecco, Sfera e basta anche no!
La nuova Chiara “non era niente male”: cosa ti piace di più di questa nuova Chiara?
Mi piace moltissimo la consapevolezza che ho di me adesso. Prima non riuscivo neanche a guardarmi allo specchio, tanto ero insicura e tanto pensavo di essere in difetto agli occhi degli altri. Ora cammino a testa alta, anche se ancora non altissima, sia chiaro…!
I ringraziamenti nei tuoi libri sono unici. Ma ti hanno chiamato tutti quelli che hai citato?
Ahahah, no! Molti sono persone che non fanno più parte della mia vita, ma comunque hanno avuto un ruolo e per questo ho sentito il bisogno di citarli. Devo dire grazie a tutti perché è anche grazie a loro se sono diventata la persona che sono.
Invece, a proposito dei tuoi gialli: quando tornerà Teresa Papavero con un nuovo libro della trilogia?
Teresa Papavero tornerà presto in tutto il suo splendore… e magari, incrociando le dita, con una fiction! Il prossimo anno, seconda puntata della Papavero!
Intervista a cura di Elena Sassi
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