Favola di New York
di Victor Lavalle
Fazi, giugno 2019
Traduzione di Sabina Terziani
pp. 512
€ 20 (cartaceo)
Se devi salvare la persona che ami, diventi una persona diversa, una cosa diversa, ti trasformi. L'unica magia è quello che siamo capaci di fare per le persone che amiamo. (p. 344)
Fino a che punto sappiamo spingerci per le persone che amiamo? Quali leggi dell’uomo e della morale siamo pronti a violare per salvare quelli a cui teniamo? Conosciamo davvero le persone che ci stanno accanto? Quanto pesano traumi e fantasmi del passato sugli adulti che siamo diventati? E in cosa siamo disposti a credere, quali misteri si celano appena sotto la superficie?
Favola di New York è il romanzo di domande cui non sempre possiamo trovare una risposta, in cui il confine fra reale e immaginario, giusto e sbagliato, si contrae fino a scomparire, per svelare un mondo più complesso e multiforme di quello che avevamo immaginato. Ha i contorni di una fiaba per adulti, oscura e violenta, della distopia, del romanzo d’avventura. È una storia stratificata, dalle numerose chiavi di lettura e spunti, che rifiuta rigide classificazioni di genere e proprio in questa varietà ha la sua forza e la sua debolezza insieme.
Partiamo da qui, dai punti deboli di questo romanzo, il cui principale difetto a mio avviso è lo stesso che riscontro spesso nella narrativa recente, ossia l’ossessione di creare un “romanzo-mondo”, straripante di tematiche, personaggi, al punto che è facile perdere di vista ciò che è essenziale e importante: una debolezza cui in parte cede anche Lavalle in questa sua storia, dove gli elementi chiave rischiano di rimanere soffocati nella miriade di spunti. Si avverte talvolta una certa incoerenza, la narrazione cede a tratti sotto il peso di così tante ramificazioni e molti elementi restano soltanto abbozzati, sfiorati superficialmente, non tutti i personaggi adeguatamente tratteggiati.
Nonostante questo, è indubbiamente un romanzo apprezzabile, originale, destabilizzante a tratti – e questo, per chi mi conosce e legge abitualmente sa essere uno degli aspetti che maggiormente apprezzo e cerco nella narrativa contemporanea – e intrigante tanto per la trama che per gli spunti di riflessione verso cui spinge il lettore.
La stessa natura ibrida, la contaminazione di generi e forme differenti, è il tratto peculiare e più interessante della storia di Lavalle, autore molto apprezzato dalla critica statunitense e per la prima volta presentato al pubblico italiano. La compresenza di reale e immaginario, il confine sempre più labile fra ordinario e straordinario, romanzo e favola, si fonda su un gioco di equilibri perfettamente riuscito, in cui New York è l’ambientazione ideale. Non semplice sfondo ma essa stessa protagonista della storia, pulsante di contraddizioni, pericoli, bellezza, poesia e orrore, è l’unica città possibile in cui immaginare la vicenda di Apollo ed Emma, del loro amore e dei propri fantasmi, fra antichi traumi, folklore, pericoli antichi e nuove minacce, in un crescendo di tensione e atmosfere fiabesche alla Grimm. Al cuore della vicenda, Apollo Kagwa: un commerciante di libri antichi, appassionato lettore; cresciuto da una madre single, un padre che sembra essere svanito nel nulla lasciando dietro di sé solo una scatola di ricordi e un sogno ricorrente che ha i contorni dell’incubo; un giovane afroamericano in un’America che non possiamo più illuderci abbia davvero superato la questione razziale; un uomo che si innamora e costruisce una famiglia, si sposa, diventa padre; un padre, che non ha mai davvero imparato come essere figlio, come superare la perdita, il trauma. Accanto a lui Emma Valentine, altri segreti e traumi del passato con cui dover fare i conti, la violenza, la perdita. E, più devastante di ogni altra cosa subita fino a quel momento, l’orrore di fronte a un gesto indicibile, che annienta ogni parvenza di felicità. Un gesto terribile, che costringe Apollo – ed Emma stessa seppur a margine – a mettere in discussione tutto ciò che fino a quel momento ha creduto essere reale per svelare un mondo ancora più complesso e oscuro di quanto riesca perfino a immaginare.
Addentrandosi sempre più nell’oscurità, metaforica e concreta, reale e immaginario si confondono e la ricerca della verità conduce Apollo a confrontarsi con il proprio passato e quello della sua famiglia, con sé stesso e le paure che lo accompagnano e con un mondo in cui a essere in discussione non è soltanto il confine tra realtà e incubo, ma tra ciò che è moralmente accettabile e ciò che siamo invece disposti a fare per le persone che amiamo, sulla differenza tra bene e male. Fiabesco e orrifico si fondono a una storia di paure, sentimenti e situazioni quanto mai verosimili, concreti, rivelando il lato oscuro di un mondo in cui la discriminazione razziale è ben lungi dall’essere superata, la violenza e l’orrore si celano appena dietro la facciata e dove l’ultimo e forse più grande pericolo è causato dall’uso improprio della tecnologia.
Ecco, quando dicevo che in questo romanzo gli spunti di riflessione, le chiavi di lettura, sono numerosissime e ognuna di esse porta con sé domande e considerazioni che spostano un po’ oltre il limite delle nostre convinzioni. Senza farne il perno della narrazione, Lavalle ritorna più volte sulla tematica razziale, accennandovi quasi in maniera casuale, ma le parole sono come macigni: «Quelli come noi non possono commettere il minimo errore» (p. 360), non possono aggirarsi di notte nei sobborghi senza destare i sospetti di una pattuglia di polizia, non possono fare gesti improvvisi di fronte agli agenti per non rischiare di essere fraintesi e scatenare la violenza; non possono sedere su una panchina in un parco giochi, a prima vista senza figli al seguito, senza essere immediatamente identificate come tate. È sconcertante. È reale. E forse a sconvolgere ancora di più è appunto l’apparente noncuranza con cui Lavalle ne parla, riuscendo così a insinuarsi sotto pelle, denunciare in maniera sottile uno stato di cose che nessuno di noi oggi dovrebbe tollerare.
Perché in questa fiaba oscura e a tratti verosimile, ciò che più fa paura in fondo non sono i mostri delle leggende e del folklore, ma proprio ciò che è reale, tangibile, l’orrore che si cela dentro il cuore degli uomini, la violenza, la paura:
La magia del mondo gli si era rivelata, gli inganni erano svaniti. Credere soltanto nel razionale, nel reale e nel concreto: anche quello era una sorta di glamour. Ma adesso non poteva più credere nell’illusione che esistesse un ordine. I mostri non sono reali finché non ne incontri uno. Ebbene, Apollo aveva incontrato un mostro; Emma, Brian e lui avevano incontrato un mostro, e non si trattava né della cosa nella bara né dell’entità che l’aveva generata, bensì dell’uomo che aveva finto di essere suo amico. (p. 383)
È la fiducia tradita, il dubbio che si insinua nel cuore, la distanza tra noi e le persone che credevamo di conoscere. E i mostri a cui noi stessi diamo il permesso di entrare:
Nelle fiabe i vampiri non possono entrare nelle case a meno che non vi siano invitati. La Bestia non poteva varcare la soglia di casa tua se tu non le davi il permesso. Bene: cosa credi che sia un computer o un cellulare? È la tua casa, ci vivi dentro. Ma una casa reale, fatta di mattoni e cemento, perlomeno ha una porta e delle finestre che puoi chiudere. La tecnologia invece non ha porte che puoi sbarrare. Oggigiorno la gente condivide tutto. […] Ma con chi condividono quelle informazioni? Sanno davvero chi hanno invitato in casa? (p. 436)
È un atto di accusa quello di Lavalle non rivolto alla tecnologia, ma all’uso improprio che troppo spesso ne facciamo, alla superficialità con cui condividiamo la nostra vita sui social, incuranti dei pericoli che ne derivano.
Fiaba di New York riesce a fondere quindi in maniera efficace modernità e magia, fiabesco, orrifico e reale, per dare vita a una storia coinvolgente, incontenibile a tratti e non sempre all’altezza, ma capace di lanciare interessanti spunti di riflessione.
Discriminazione razziale, traumi e paternità, insidie della tecnologia, violenza di genere, amicizia e fiducia, ma anche famiglia, affetti e legami indistruttibili nonostante tutto, comunità, poesia, coraggio: innumerevoli tematiche e relative considerazioni a partire da una storia che avvince e destabilizza, in cui non sempre le domande trovano risposta o, probabilmente, non la risposta che ci aspettiamo.
Debora Lambruschini
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