di Stefania Auci
Editrice Nord, 2019
pp. 430
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
«Da tempo non leggevo un romanzo così: grande storia e grande letteratura».
Questa frase, che accompagna il risvolto di copertina de I leoni di Sicilia, da poco uscito per Editrice Nord, è di Nadia Terranova, scrittrice italiana. Lei l'ha detto e io lo sottoscrivo. Forse è dal tempo della lettura «matta e disperatissima» della quadrilogia dell'Amica geniale che non mi capitava di leggere un romanzo così intensamente, voracemente. Infilando il segnalibro, ma portandomi il libro sulla pelle. Merito di Stefania Auci, trapanese, ma palermitana d'adozione, che ha dotato il suo romanzo di una scrittura importante, che riesce a catturare immediatamente il lettore catapultandolo nel mezzo degli avvenimenti.
Il libro, in testa alle classifiche, sembra aver colto la strada giusta per farsi conoscere dalle librerie, dai critici e dal pubblico. Cosa non sempre facile (mi è capitato di leggere e recensire per questo blog storie bellissime, una su tutte La contrada dei tagliatori di pietra di Flavia Guzzo, ma che, purtroppo, sono rimaste confinate a un'editoria locale). Bene, quindi, che questo romanzo, sul quale la casa editrice Nord ha puntato molto, sia diventato un caso editoriale. Lo merita ampiamente.
Il romanzo racconta la storia dei Florio (nome noto al pubblico come marchio del vino Marsala), l'ascesa economica e sociale di questa grande famiglia dell'imprenditoria siciliana a partire dal 1799. Quando i Florio, i fratelli Paolo e Ignazio, originari di Bagnara Calabra, decidono di lasciare la loro terra, povera e martoriata dai terremoti, per cercare fortuna a Palermo, aprendo una piccola putìa, una bottega di spezie. Nel corso dei decenni successivi, grazie a investimenti coraggiosi, i Florio diventano una delle famiglie più ricche e potenti della Palermo dell'epoca. Non più soltanto spezie, ma, grazie alla determinazione e alla spregiudicatezza di Vincenzo, figlio di Paolo, ma cresciuto dallo zio Ignazio, i commerci si allargano a zolfo, vini, navi, metalli fino alla grande scommessa del tonno sott'olio. Disegnando così la parabola di un'industria che in Italia, e in particolar modo in Sicilia, sta facendo i primi passi. L'industria dei grandi uomini, visionari, che seppero guardare al di là della situazione dell'epoca per prefigurare un futuro diverso, dove il lavoro non è più una faccenda di manovali, di abbrutimento, di tradizione, ma di meccanica, di macchine, di novità. Vincenzo Florio fu uno dei "capitani coraggiosi" di questa nuova imprenditoria, che seppe unire politica e impresa, facendo così progredire l'economia di un'Italia ancora legata al mondo rurale.
La storia della famiglia s'intreccia con la Storia della Sicilia e dell'Italia meridionale dai primi anni del secolo XIX, fino ai moti del 1848 e all'unità. E se la Storia si identifica con i Borboni, la società, nell'isola, è caratterizzata dallo scontro tra le antiche famiglie nobili, indebitate fino al collo, e la nuova borghesia, ricca, ma priva di sangue blu.
Il romanzo è scandito da paragrafi, distinti anche graficamente, che accompagnano il lettore lungo la biografia familiare scegliendo giornate o momenti storici particolarmente importanti. Gli anni scorrono velocissimi e il lettore assiste alla crescita di Vincenzo che diventa adolescente e poi adulto con la chiara consapevolezza di ciò a cui aspira: diventare uno degli uomini più ricchi e influenti di Palermo. Ma anche con un rovello che mai lo abbandonerà: Vincenzo sa bene che per i nobili, che pur gli piagnucolano davanti chiedendo prestiti, lui, figlio di commercianti di spezie, rimarrà sempre un facchino, un portarrobbe.
Ma se la trama è avvincente, il libro può contare anche su altri punti di forza, non ultimo la sapiente caratterizzazione dei personaggi: i fratelli Ignazio e Paolo, la moglie di quest'ultimo Giuseppina, madre di Vincenzo, infelice, malinconica e rancorosa verso la vita, Giulia, la compagna di Vincenzo, lei così settentrionale, diversa nella sua fierezza e nella sua modernità. L'unica a sapere tenere testa al suo uomo accettando, per amore suo, di sfidare le convenzioni del tempo. Vincenzo, il vero protagonista, l'uomo nuovo, duro, spregiudicato, ma visionario, determinato e sanguigno. I figli, i cugini, i popolani, i commercianti inglesi come Woodhouse e Ingham che portano in Sicilia il vento del nuovo. La felicità di caratterizzazione dei personaggi fa però rimpiangere, per converso, il fatto che l'autrice scelga di puntare tutto su alcune figure tralasciando alcuni personaggi minori, che appaiono fugacemente ma poi vengono lasciati al loro destino. Privando forse il romanzo di una più ampia coralità.
Alle vicende fa da sfondo una Palermo ottocentesca resa con particolare plasticità ed evidenza. Par quasi di sentire l'odore di mare e di pesce che s'infila con il vento nei vicoli della città. Sembra di annusare il profumo delle spezie di bottega, l'anice, il cumino, il preziosissimo cortice peruviano contro le febbri, la cannella, il pepe, lo zenzero, che parlano di mondi lontani. Pare di percepire il calore del sole che infuoca la città nei lunghi meriggi estivi o di vedere i tramonti che arrossano i tetti di una luce unica e densa. Sembra di essere alla tonnara con Vincenzo e sentire l'odore sgradevole dei tonni in decomposizione e il profumo dell'olio. E in mezzo alla calca dei palermitani, oppressi dal colera, dai Borboni, dalle tasse, pare di percepirne l'odore di rabbia e di sudore dei poveri abiti che indossano. Merito di una scrittura che sa rendere sorprendentemente reale ciò che racconta, usando aggettivi appropriati e mai ridondanti, scegliendo di tenere desta l'attenzione del lettore con periodi brevi e concreti. Una scrittura forte di una lingua che, con alcune sapide concessioni al dialetto siciliano, risulta pulita e coinvolgente, dotata di vigore e di energia.
Si può dire che un romanzo storico è riuscito se riesce a bilanciare le due parti di cui si compone: i dati veri, documentabili, e l'afflato di fantasia che va a supplire là dove le carte storiche non possono entrare, nei pensieri e nei sentimenti dei personaggi. La forza del romanzo della Auci è proprio questa: l'autrice, grazie a un solido lavoro di ricerca, estrapola dagli archivi i personaggi della famiglia Florio e scuote loro di dosso la polvere per farli tornare reali, pulsanti di vita, vibranti di sensazioni. Regalandoci così una storia che ci fa emozionare, ci fa desiderare di conoscerne di più e ancora. E il fatto di sapere che la scrittrice è già al lavoro sul secondo volume ci fa chiudere il libro con una certa serenità e un pizzico di impazienza.
Rosatea Poli