L'ultimo carnevale
di Paolo Malaguti
Solferino, 2019
pp. 328
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Se si dovesse trovare una metafora, si spera sia felice sia il più perfettamente aderente con il tono e la natura del romanzo, per questo L'ultimo carnevale di Paolo Malaguti si potrebbe utilizzare quella della marea. Già, perché il libro di Malaguti, esattamente come la marea che coinvolge la laguna veneziana, ha momenti di "acqua alta" e "acqua bassa", ovvero momenti molto ma molto felici, in cui la narrazione si fa elastica e suadente e la lingua (e il dialetto) sonante e luminoso, e altri meno, con situazioni un po' troppo schematiche e tirate per i capelli e una serie di personaggi non così memorabili. E dire che il tema è ricco di fascino: una Venezia futuribile e futuristica, colta nel momento in cui ormai, orfana dei suoi abitanti, è stata trasportata in un enorme luna park tematico, per soddisfare le brame dei turisti di tutto il mondo. Venice Park, così si chiama, è, per così dire, l'ultima e "naturale" evoluzione dei tornelli di ingresso installati proprio la scorsa estate. Ma nel romanzo di Malaguti c'è di più, molto di più.
Ma facciamo un attimo il passo indietro e domandiamoci di cosa parli il libro. L'azione si svolge in circa 48 ore e raggruppa le vicende di tre personaggi diversi (ma non troppo) tra loro: una giovane attivista/terrorista dei gruppi resistenti degli ultimi veneziani, che si oppone alla costituzione del parco; una guida turistica al suo primo giorno di lavoro e un vecchio abitante della città, invischiato fino al collo nei ricordi. Ecco, proprio questa un po' forzosa divisione della vicenda entro tre cicli narrativi che, ogni tanto si incontrano, è forse la parte più debole del romanzo. Già, perché se Malaguti è abile, anzi abilissimo nel tratteggiare Giobbe, l'anziano veneziano che si esprime per lo più in dialetto e richiama l'immortale figura biblica (anche e soprattutto per il suo "destino segnato"), meno bene vengono raffigurati gli altri due, in particolare Carlo, la guida turistica, un personaggio veramente dotato di alcun nerbo e di pochissimo fascino.
Tuttavia Rebecca, anche se nel finale viene un po' "persa" dal narratore, per buoni tre quarti del romanzo risulta un personaggio molto interessante, soprattutto per la sua "cieca decisione" nel compiere a tutti i costi un atto terroristico, non si sa bene se in cui sono contemplate anche delle vittime, atto a riportare sotto gli occhi di tutti la situazione di Venezia: una città ormai morta, violentata e sventrata dalle mire dell'Ente Parco che, giustappunto, l'ha resa una squallida "Gardaland" lagunare, spogliandola dei suoi abitandoli e rendendola un mesto palcoscenico fasullo.
Quasi in maniera ovvia, l'attentato è previsto proprio il giorno di Carnevale, ovvero il momento in cui la follia della Venezia 2.0 raggiunge l'apice. Malaguti riesce, partendo da questo presupposto, a costruire un racconto avvincente che, al netto di qualche personaggio più debole degli altri (come precedentemente ricordato), lascia il lettore con la voglia di andare avanti per capire fino a che punto quel Carnevale sarà, neanche a farlo apposta, "l'ultimo" per la città lagunare. Città lagunare raccontata senza troppi "imbarazzi" o inutili manierismi: Malaguti conosce la bellezza e la bruttezza di Venezia e la ritrae così per com'è.
Proprio tale aspetto è quello più affascinante, perché ci fa capire come qualsiasi città, anche Venezia, non sia semplicemente la somma dei suoi palazzi, delle sue opere d'arte e delle sue bellezze ma anche, e soprattutto, l'unione dei suoi abitanti. Venezia vive e i veneziani con lei.
Mattia Nesto
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