Il 210° giorno
di Natsume Sōseki
Edizioni Lindau, marzo 2019
Traduzione di Andrea Maurizi
pp. 104
€ 13,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Il Periodo Meiji giapponese comprende i quarantaquattro anni di regno dell'Imperatore Mutsuhito, dal 1868 al 1912, durante i quali per la prima volta l’imperatore viene dotato di potere politico, decaduto il regime oligarchico e militare degli shogun. Il “periodo del regno illuminato” è passato alla storia per l’intensa modificazione strutturale, economica e culturale di un Paese che per secoli aveva rifiutato contatti con il mondo esterno e che invece adesso impone alla sua società un modello occidentale. Avevamo parlato qui delle riflessioni di Yukio Mishima sulle trame politiche del tempo, ma se l’autore di Confessioni di una maschera scriveva a fatti già avvenuti, il maestro Natsume Sōseki scrive invece Il 210° giorno proprio durante l’Epoca Meiji, quando cioè le trasformazioni sono nel pieno della loro realizzazione; nel 1907 il racconto lungo viene pubblicato su Chūōkōron, passando tuttavia inosservato e rimanendo tale agli occhi della critica per i decenni a seguire. Quest’anno Edizioni Lindau lo ripubblica in un volume completo, dotato di un glossario - prezioso per orientarsi tra i frequenti termini in lingua originale nel testo - e della postfazione di Andrea Maurizi che ne ha curato anche la traduzione.
Il Giappone tra XIX e XX secolo ha vissuto lo stesso trauma che l’Occidente aveva sperimentato secoli prima, quando con l’età ellenistica il mondo fino a quel momento conosciuto allargava a dismisura i propri confini geografici e, quindi, culturali. Se il mondo non è più quello che si conosce, è inevitabile ripiegare in sé stessi, per questo l’individualismo diventa la marca caratteristica della popolazione giapponese di quegli anni, tradizionalmente invece affine a un’etica sociale collettivista. In questo frangente Kei e Roku decidono di ascendere sul monte Aso, il vulcano attivo più grande del Giappone, per godere della natura ma soprattutto per toccare con mano la potenza distruttiva del magma. A complicare un percorso di certo accidentato di per sé, ci si mette il clima: i due amici si accorgono infatti di star compiendo la scalata proprio nel corso del 210° giorno dall’inizio della primavera secondo il calendario lunisolare tradizionale (abolito proprio dal governo Meiji nel 1873), cioè 210 giorni (nihyakutōka) dopo il 4 febbraio (per maggiore chiarezza vi invito a leggere quanto scritto da Laura Imai Messina nel suo Wa - la via giapponese all'armonia), quando cioè sul paese si abbattono le tempeste più distruttive dell’anno. E infatti i due scalatori vengono colti da un vero e proprio uragano e dopo varie peripezie sono costretti a ripensare i loro piani originali.
Non è difficile intuire che quelle del monte Aso e delle tempeste del nihyakutōka siano metafore che Sōseki ha scelto per raccontare la potenza con cui il cambiamento della società giapponese si è abbattuta su suoi abitanti suscitando reazioni agli antipodi, proprio come quelle dei giovani di fronte all’impresa che si accingono a compiere. I due, più dei tipi umani che non dei protagonisti ben tratteggiati, scelgono di reagire agli imprevisti o con risolutezza e accogliendo il cambiamento (come auspicato dal modesto e nerboruto Kei, figlio di un produttore e venditore di tofu, appassionato lettore dei grandi romanzi occidentali alla Dickens e fautore di una società più equa e mobile) o di ripiegando verso sentieri noti per curare la tradizione (come asserisce Roku, rampollo gracile e cagionevole di una famiglia benestante che gli ha permesso di studiare in profondità i testi della storia culturale giapponese). E se i due ragazzi viaggiano su posizioni diametralmente opposte l’una dall’altra, ancora più stridente sembra essere la loro amicizia. A guardare bene invece ogni divergenza viene appianata dall’incombenza della tempesta e dell’eruzione, così come ogni abitante del Giappone non potrà scampare alla forza distruttrice dell’onda proveniente dall’Ovest, uno tsunami culturale di inaspettata violenza ma dall’impatto inevitabile.
Di fronte a questo irreversibile nuovo mondo che si andava pian piano dispiegandosi sotto i suoi occhi, un intellettuale dalla sensibilità spiccata non poteva rimanere in silenzio; persino Sōseki che ha sempre rivendicato la sua estraneità ai fatti politici ha scritto un lungo racconto sul disorientamento e, calandolo nella natura che è marca distintiva del Giappone più tradizionale, ha offerto senza giudizio la sua versione umana dei fatti in un testo che unisce descrizione liriche a dialoghi frizzanti e vivaci. Il 210° giorno possiede un sottofondo di ironia intelligente e divertita, sintomatico omaggio a una forma teatrale molto cara all’autore, quella del rakugo (una forma di declamazione umoristica basata su dialoghi ricchi di giochi di parole) e rappresenta una preziosa testimonianza di un mondo che è stato e che, di lì a poco, non sarebbe stato mai più.
Federica Privitera