Un uomo & il suo orologio
L'ippocampo, 2019 (prima ed. 2017)
Da qualche giorno la scrivania è occupata per un quarto da un poderoso volume, Un uomo & il suo orologio, a cura di Matt Hranek con contributi fotografici di Stephen Lewis (traduzione dei testi affidata a Paolo Bassoni, L'Ippocampo). «Orologi iconici e storie degli uomini che li hanno attraversati», è scritto sull’apice centrale.
Il volume è una tasca, di fianco sta un piccolo ritaglio che lascia
emergere una regione del contenuto, ovvero una delle rotelline che
permettono al possessore dell’orologio da polso di potersi adeguare all’orario
e alle date comuni. Adeguare o confondere, poiché c’è chi altera con cognizione
la lancetta di cinque minuti. Un ritardatario con la passione per gli uomini, per esempio.
Conosce il proprio vizio e non potendo estirparlo fa appello alla propria
cattiva memoria: quando crederà di essere in ritardo, sarà in tempo.
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Si potrebbe
cominciare da Cartesio: la disciplina filosofica è sempre l’àncora più
interessante per chi non sa come iniziare. Ma a chi servirebbe una discussione
sull’origine del tempo? No, si dovrebbe piuttosto osservare il tempo dalla
prospettiva della fisica: citare il celebre volume di Carlo Rovelli L’ordine del tempo (Adelphi). Esibire la
propria erudizione. Oppure scivolare verso la disciplina genetica: non aveva
forse per titolo L’orologiaio cieco il
volume di Richard Dawkins sull’evoluzionismo (Mondadori)? Perché invece non
preferire il territorio cinematografico? L’estetica è la grande invenzione
delle democrazie liberali. Il filosofo Gilles Deleuze non aveva forse scritto
un saggio dal titolo "L’immagine-tempo"?
È proprio in una rifrazione del tempo che si produce il montaggio. Durante una proiezione de Il
settimo sigillo di Ingmar Bergman, mentre il cavaliere Antonius Block domanda conto dell’esistenza di Dio a un crocifisso inerte nel centro di una
chiesa, un uomo dalla platea non riesce a contenere una risata. Lo stacco di
montaggio aveva presentato, nell’ordine: A. il dolente Block. B. il silenzioso
crocifisso di gesso. C. di nuovo Block, persino un po’ deluso. Era stato il governo del tempo esercitato dalla tecnica cinematografica a produrre su ogni spettatore un effetto differente. Si potrebbe
persino descrivere l’aneddoto, nella recensione.
Non è la teoria
dell’umorismo che presenta l’efficacia del tempo
comico? Altrimenti, per non allontanarsi troppo dal territorio dei libri,
si potrebbe presentare la dialettica tra il tempo della vita e il tempo del
racconto. Un paio di citazioni a Proust. Ecco, basterebbe soltanto aprire il
volume Einaudi della Recherche all’ultima pagina del settimo volume, Il tempo ritrovato (tradotto da Giorgio Caproni), per leggervi: «…nel
Tempo». Che dire invece della teoria musicale? Si deve battere il tempo, ma come
confida il Cappellaio ad Alice: il tempo odia essere battuto.
Eppure il volume
resterebbe silente: l’orologio non ha relazioni con il tempo. Lo segna, ma ad
arbitrio di chi lo indossa. Si potrebbe senza alcuna ragione smuovere le
lancette fino a un orario indefinito. Allora lo strumento
proseguirebbe, indifferente, il suo giro. Chi scrive ha tenuto al polso per
qualche mese un orologio del tutto inerte. L’orologio è più simile a un segno
che a un oggetto: la sua utilità (rispondere alla domanda “che ore sono?”) si
disperde nell’oceano di relazioni che attraverso esso si producono, insieme
economiche ed estetiche. «Ho l’orologio di mio padre», scrive Hranek in
prefazione, «quell’orologio ha mantenuto vivo il mio legame con lui».
Come per tutti i
segni, le parole non bastano. Un segno è anzitutto un segno, una certa
incisione che lo sguardo coglie per caso. Allora nulla potrebbe descrivere il volume meglio che una recensione fotografica. Perché
nulla se non l’immagine potrà descrivere la moltitudine del segno.
E poi, è più
veloce: controlli, il lettore, sul suo orologio. Se funziona.
Antonio Iannone
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