di Nicola Daniele Coniglio
Laterza, giugno 2019
pp. 152
€ 14,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
È vero che gli immigrati ci rubano il lavoro e contribuiscono ad abbassare i salari degli italiani? È ragionevole sostenere che gli italiani pagano le tasse per mantenere gli immigrati? Qual è l'impatto dell'immigrazione sul welfare italiano? E ancora: è realistico affermare che regaliamo agli immigrati 35 euro al giorno? Erigere muri e blocchi navali risolverà il problema dell'immigrazione clandestina?
A questi e altri quesiti fornisce una risposta Nicola Daniele Coniglio, professore di Politica Economica presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e direttore italiano del Master in Economics of Globalisation and European Integration, e lo fa, dati alla mano, lasciando fuori dalle pagine del suo libro, Aiutateci a casa nostra. Perché l'Italia ha bisogno degli immigrati, qualsiasi implicazione ideologica.
Il quadro delineato dai risultati degli studi e delle indagini su cui l’autore basa la propria trattazione è ben diverso da quello gridato dai media o diffuso da un'area politica che si sta mostrando miope nel demonizzare un fenomeno il quale, se valorizzato e regolarizzato da politiche in grado di favorirlo entro i confini della legalità, si dimostra non solo non essere pericoloso per il benessere del Paese ma addirittura proficuo per un’Italia duramente provata dalla crisi economica, demografica e culturale.
Il primo errore di percezione, cavalcato da chi basa la propria propaganda politica su un'ideologia di stampo nazionalista, è quello di considerare ogni sistema economico come un'entità statica all’interno della quale persiste un numero fisso di opportunità lavorative: sono infatti in molti a credere che un posto di lavoro occupato da un migrante sia una posizione sottratta a un nativo. In realtà, l’afflusso di nuovi soggetti modifica positivamente il mercato del lavoro e il sistema produttivo migliorandone la dinamicità, analogamente a quanto avviene ed è avvenuto nelle città più competitive del globo che, dal loro essere melting pot, hanno tratto benefici di varia natura: l’arrivo di migliaia di nuovi lavoratori attrae nuovi capitali e investimenti che a loro volta generano nuove opportunità di occupazione e nuovi arrivi di lavoratori e consumatori. Perché ciò che spesso dimentichiamo è che gli immigrati consumano: se hanno la possibilità di ottenere uno statuto regolare, si situano all’interno di un circolo "virtuoso" per l’economia del paese d’arrivo acquistando prodotti, pagando un affitto, consumando servizi. Inoltre, dagli studi e dai dati citati da Coniglio non emerge tanto un quadro di competizione tra lavoratori nativi e immigrati quanto una complementarietà che in molti casi rende la forza lavoro straniera indispensabile per differenti comparti produttivi, nonostante gli elevati tassi di disoccupazione che affliggono il territorio: si pensi, per esempio, alla Coldiretti, la quale stima che circa 350.000 lavoratori stranieri siano occupati nelle campagne italiane offrendo il 26.2 % del totale del lavoro necessario. E di complementarietà si parla anche nel caso delle oltre 700.000 badanti di origine straniera presenti sul territorio peninsulare che permettono a milioni di lavoratori italiani di poter impiegare il loro tempo in funzioni più idonee alle proprie competenze professionali: un contributo, questo, che in Italia ha avuto un impatto positivo sull’occupazione femminile.
Il primo errore di percezione, cavalcato da chi basa la propria propaganda politica su un'ideologia di stampo nazionalista, è quello di considerare ogni sistema economico come un'entità statica all’interno della quale persiste un numero fisso di opportunità lavorative: sono infatti in molti a credere che un posto di lavoro occupato da un migrante sia una posizione sottratta a un nativo. In realtà, l’afflusso di nuovi soggetti modifica positivamente il mercato del lavoro e il sistema produttivo migliorandone la dinamicità, analogamente a quanto avviene ed è avvenuto nelle città più competitive del globo che, dal loro essere melting pot, hanno tratto benefici di varia natura: l’arrivo di migliaia di nuovi lavoratori attrae nuovi capitali e investimenti che a loro volta generano nuove opportunità di occupazione e nuovi arrivi di lavoratori e consumatori. Perché ciò che spesso dimentichiamo è che gli immigrati consumano: se hanno la possibilità di ottenere uno statuto regolare, si situano all’interno di un circolo "virtuoso" per l’economia del paese d’arrivo acquistando prodotti, pagando un affitto, consumando servizi. Inoltre, dagli studi e dai dati citati da Coniglio non emerge tanto un quadro di competizione tra lavoratori nativi e immigrati quanto una complementarietà che in molti casi rende la forza lavoro straniera indispensabile per differenti comparti produttivi, nonostante gli elevati tassi di disoccupazione che affliggono il territorio: si pensi, per esempio, alla Coldiretti, la quale stima che circa 350.000 lavoratori stranieri siano occupati nelle campagne italiane offrendo il 26.2 % del totale del lavoro necessario. E di complementarietà si parla anche nel caso delle oltre 700.000 badanti di origine straniera presenti sul territorio peninsulare che permettono a milioni di lavoratori italiani di poter impiegare il loro tempo in funzioni più idonee alle proprie competenze professionali: un contributo, questo, che in Italia ha avuto un impatto positivo sull’occupazione femminile.
Ma se è vero che l’effetto dell’immigrazione sull’impiego dei nativi del nostro Paese tende a essere positivo per i lavoratori con elevati livelli di istruzione, non lo è per quelli meno istruiti o che svolgono lavori prettamente manuali, che potrebbero patirne la concorrenza. A questo punto, il bandolo della matassa si sposta su un altro quesito: perché l’Italia attrae lavoratori stranieri poco qualificati?
Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una delle parti più interessanti di questo breve saggio: oltre alle caratteristiche geografiche, il Belpaese, ci avvisa l’economista, ha una struttura produttiva sbilanciata verso settori tradizionali e a bassa intensità tecnologica. A questo si aggiunga l’assenza di efficaci politiche migratorie selettive, le difficoltà nel riconoscimento di titoli conseguiti al di fuori dell’UE e un (sempre) più elevato grado di restrittività delle politiche migratorie che spesso costringe gli immigrati alla condizione di irregolari:
Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una delle parti più interessanti di questo breve saggio: oltre alle caratteristiche geografiche, il Belpaese, ci avvisa l’economista, ha una struttura produttiva sbilanciata verso settori tradizionali e a bassa intensità tecnologica. A questo si aggiunga l’assenza di efficaci politiche migratorie selettive, le difficoltà nel riconoscimento di titoli conseguiti al di fuori dell’UE e un (sempre) più elevato grado di restrittività delle politiche migratorie che spesso costringe gli immigrati alla condizione di irregolari:
L’irregolarità produce effetti perversi, essendo una condizione che comprime la possibilità per i migranti di mettere a frutto le loro competenze e qualifiche. Se l’unica opportunità lavorativa per un migrante irregolare è quella di raccogliere pomodori nei campi, farà poca differenza essere laureati in ingegneria oppure analfabeti. Il risultato è che il laureato in ingegneria o si adatterà – sottoutilizzando il proprio potenziale – o cercherà di migrare in altri luoghi che valorizzano maggiormente le sue competenze.
Effetti perversi che si riflettono sull’economia nazionale, andando a creare un circolo vizioso:
Se un paese attrae in prevalenza lavoratori a basse qualifiche e la condizione di irregolarità (spesso generata dalla complessità burocratica o dall’ostilità delle politiche migratorie) rende tali lavoratori dei semi-schiavi con salari al limite della sopravvivenza, può diventare conveniente produrre beni a basso valore aggiunto utilizzando tecniche di produzione arretrate.
Ma sono molti altri i punti toccati dall’economista nel corso di questa agile trattazione. Per esempio: l’impatto dell’immigrazione sul sistema pensionistico (di cui gli immigrati aumentano la sostenibilità grazie al proprio apporto demografico) e sui sistemi di assistenza non contributivi, la scarsa utilità di muri, frontiere e blocchi navali, in grado di rendere più difficili o di bloccare alcune specifiche tratte ma inefficienti al fine di fermare il fenomeno migratorio nel suo complesso (e che spesso si traducono in un aumento del prezzo pattuito dai trafficanti rimasti a operare su altre tratte e in rischi sempre maggiori per i migranti), il peso reale in termini economici delle politiche restrittive.
Tuttavia, Nicola Daniele Coniglio serba costantemente un punto di vista equilibrato all’interno della propria analisi: se, dati alla mano e da un punto di vista economico, l’idea dell’"aiutiamoli a casa loro" appare come vana chimera, per l’autore anche il progetto di un mondo senza frontiere, nel suo non tener conto dei limiti della capacità di assorbimento dal punto di vista sociale e culturale dei paesi di destinazione nel breve periodo, si ferma a mera utopia. Infatti, in mancanza di un sistema sociale stabile e sostenibile, le possibilità di esistenza di un sistema economico in grado di produrre benessere si assottigliano.
E allora, quali soluzioni?
L’ultimo capitolo di Aiutateci a casa nostra è dedicato ad alcune proposte di taglio politico-economico volte a favorire l’immigrazione nei confini della legalità, strumenti che permetterebbero di trarre vantaggi dai flussi migratori e contemporaneamente di tagliare i costi della migrazione irregolare: si tratta degli schemi "temporanei" o, meglio, di una loro "nuova generazione" da adattare alle caratteristiche economiche e sociali del paese d’arrivo, con possibilità di rinnovo del visto e fondato su un criterio di requisiti minimi d'entrata volto a garantire una selezione di base e un controllo sugli ingressi, e che potrebbe inoltre avvalersi di un sistema a punti “in itinere” (basato sull’investimento in attività di formazione, competenze linguistiche, continuità nelle attività lavorative svolte, partecipazione alle attività sociali, ecc.) atto a stimolare il processo d’integrazione.
Un manualetto, questo edito da Laterza, che, in un momento in cui lo sbarco di migranti sulle coste italiane ci viene raccontato dalla classe politica e dai media con toni allarmistici e sin troppo convenientemente additato come principale problema economico e sociale dei nostri tempi, diventa uno strumento indispensabile per recuperare il bandolo della matassa e gettar luce, su basi non ideologiche ma statistiche, su quali siano i reali benefici e su quali invece gli svantaggi dei flussi migratori sul territorio.
Nike Gagliardi
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