di Michelangelo Coltelli e Noemi Urso
Franco Cesati Editore, giugno 2019
pp. 104
€ 12,00 (cartaceo)
Quante volte ci siamo imbattuti nella parola "fake news" negli ultimi due anni? Sicuramente tante volte, e non sempre è stato utilizzato a ragion veduta: nel libretto uscito per le "pillole" di Franco Cesati, Michelangelo Coltelli e Noemi Urso, fondatore e caporedattrice di BUTAC (Bufale un tanto al chilo), fanno chiarezza su tanti dubbi che possiamo avere. Ad esempio, che differenza c'è tra bufala e disinformazione? E quando possiamo parlare di misinformazione? Le differenze vanno ben oltre un fatto lessicale, dal momento che la disinformazione è decisamente più pericolosa, poiché deliberata («è la diffusione intenzionale di una notizia che parte da una base di verità [...] e la sfrutta, distorcendola, per influenzare le scelte e le opinioni dei fruitori», p. 23): il giornalismo a tesi, ad esempio, sfrutta solo alcuni dati e argomentazioni finalizzati a sostenere la tesi dello scrivente.
Se le fake news sono sempre esistite (e gli autori ci mostrano alcuni casi famosissimi del passato, a cominciare dalla Donazione di Costantino, uno dei più grandi falsi della storia), i media e in particolare i social network hanno decisamente aumentato le possibilità di diffondere a macchia d'olio notizie false e/o tendenziose. Spesso, queste notizie hanno che "acchiappano" il lettore (lettore che, molto spesso, non legge l'articolo intero, ma si limita a condividere o a cliccare e si accontenta delle prime righe), che lo portano a commentare "di pancia", confermando i propri pregiudizi (i cosiddetti bias di conferma) o, al contrario, fomentando risposte aggressive. Altra verità facilmente riscontrabile: più una notizia è drammatica, e più si è portati a empatizzare e ricondividere (bias della negatività); e viceversa amiamo le «cose che hanno superato una certa selezione [...]: insomma, ignorando i fallimenti, diventiamo subito eccessivamente ottimisti» (questo pregiudizio fa parte del bias della sopravvivenza).
Sfruttando tali pregiudizi, tanti creatori di fake news trovano il modo per diffondere capillarmente i propri articoli, al fine di guadagnare con i click o "solo" per influenzare i lettori in campo sociale, politico, di stile di vita,... Purtroppo si cade in queste trappole per due ragioni principali, tra loro spesso interconnesse: per l'analfabetismo digitale, che riguarda tanti degli attuali utenti ultraquarantenni che navigano in rete; e per l'ancora più grave analfabetismo funzionale. La questione, molto dibattuta (ne avevamo parlato nel caso di questo agile libretto di Carofiglio), vede l'Italia ancora come fanalino di coda: nell'indagine condotta dall'OCSE nel 2003, è risultato che il 47% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Quasi metà della popolazione! E una conseguenza altrettanto drammatica è che molte di queste persone sovrastimano le proprie abilità e nel mondo libero della rete si trovano a sostenere le proprie idee in modo caotico, aggressivo, certamente non affidabile (si pensi anche solo al caso dei vaccini).
Il problema principale è che basta qualche lettura errata o mistificante perché il mondo della comunicazione esploda di notizie altrettanto allarmanti: l'olio di palma, ad esempio, è stato bandito dalla maggior parte dei prodotti sulla scia di un allarme scattato senza tenere conto delle conseguenze ambientali. Manipolazione dell'opinione pubblica, ottenere consensi politici, guadagnare sui clic sono solo alcune delle motivazioni che spingono a diffondere notizie false.
Ma come riconoscerle? Non sempre purtroppo è facile muoversi nel mondo dell'informazione. Nella parte finale del volumetto, i due autori danno consigli pratici per cercare di stabilire l'affidabilità o meno della fonte, ma la parola d'ordine, inevitabilmente, è: allenare il proprio spirito critico, anche grazie all'impegno della scuola che non può restare insensibile all'urgenza di questo appello. Ci sono tuttavia alcuni trucchetti ulteriori che possono aiutare il lettore a capire se la notizia e il sito sono affidabili; e si trovano anche siti e account che si occupano da anni di combattere la disinformazione. Nel dubbio, tuttavia, è meglio non condividere una notizia potenzialmente falsa: così non alimenteremo l'ennesimo passaparola. E se per sbaglio abbiamo ormai condiviso (almeno una volta è capitato a tutti), non limitiamoci a togliere il post: spieghiamo perché lo stiamo togliendo, evitando così che i nostri contatti sappiano che si trattava di una bufala.
Come gli altri volumi della collana "pillole", anche Fake news. Cosa sono e come imparare a riconoscere le notizie false è una guida snella, semplice ma non semplicistica, che può aiutare soprattutto gli utenti alle prime armi a farsi strada nel mondo delle notizie. Anche sui banchi di scuola può essere un primo approccio utile ad aiutare i giovanissimi a discriminare tra notizia vera e bufala.
GMGhioni