I racconti delle donne
A cura di Annalena Benini
Einaudi, 2019
pp. 288
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
[…] perché succede ancora che le scrittrici vengano paragonate tra di loro, ma che il grande romanzo letterario (diversamente, per esempio, dalla prosa lirica) continui a essere una categoria essenzialmente maschile. I libri delle donne non sono ancora discussi allo stesso modo di quelli degli uomini, e le donne ancora se la prendono. (Kathryn Chetkovich, “Invidia”, p. 181)
Questo è un libro di donne. Lo sono le autrici selezionate, lo sono le protagoniste delle storie, lo è la curatrice, la bravissima Annalena Benini. Questo, attenzione, non è un libro PER le donne, un’etichetta che personalmente ho sempre detestato: è una raccolta di storie, emozioni, parole, che trascendono genere, identità, spazio e tempo, tanto intensa è la bellezza. Un’antologia di venti voci straordinarie, scrittrici che nel racconto – o in una forma ibrida, fra racconto e saggio – hanno trovato la loro dimensione ideale e che Benini seleziona con cura, corredando ogni storia di una breve ma preziosa nota che aiuta a illuminare il racconto appena letto, svelarne il segreto, inquadrare meglio il contesto. Una selezione ragionata, che allinea uno dopo l’altro mostri sacri della narrativa breve mondiale, da Virginia Woolf ad Alice Munro, passando per Edna O’Brien, Valeria Parrella, Natalia Ginzburg e molte altre, da cui è impossibile non restare affascinati. Voci differenti, per tematiche e stile, provenienza e influenze, ognuna di loro però trova il suo posto ideale in questa raccolta che costruisce un canone contemporaneo in cui il femminile è il cuore pulsante. Venti storie per raccontare le donne in quel momento preciso la cui esistenza viene illuminata, nella ricerca di sé stesse, nei dubbi, negli angoli bui, nelle paure, nel punto di rottura. Innumerevoli i temi, gli spunti di lettura e riflessione, legati dal fil rouge dell’identità femminile su cui ogni scrittrice coinvolta getta il proprio personalissimo sguardo a illuminare ora un aspetto ora un altro dell’esistenza delle donne, dei dubbi che le accompagnano, dei desideri e delle passioni.
Al gruppo di lettura che coordino dico sempre che nessuno di noi, ogni volta, legge lo stesso libro, tanto è personale ciò che delle storie ci colpisce e resta attaccato: una considerazione che vale soprattutto nel caso di questa antologia, di questi racconti tutti eccellenti ma di cui ce ne sono alcuni che per tematiche, punti di vista, stile, mi hanno coinvolta più di altri, spingendomi a riflettere ben oltre il tempo della lettura. Perché, ogni volta, è proprio questo che cerco: il dubbio, le domande, la capacità di un autore e di un testo di spingere a interrogarmi e magari riconsiderare le mie certezze. Amicizia, relazioni sentimentali, ambizione, invidia, paura, sesso, libertà, forza e debolezza, identità: ogni racconto è un viaggio tra le pieghe dell’animo femminile, in quegli angoli bui che non sempre accettiamo di guardare, nelle tempeste appena oltre la superficie. È un affresco di donne fuori dal tempo e dallo spazio, come lo sono le emozioni che le smuovono. È un viaggio in quel «pozzo oscuro» narrato da Natalia Ginzburg, un abisso «dolente e pietoso» da cui gli uomini sembrano invece immuni:
Al gruppo di lettura che coordino dico sempre che nessuno di noi, ogni volta, legge lo stesso libro, tanto è personale ciò che delle storie ci colpisce e resta attaccato: una considerazione che vale soprattutto nel caso di questa antologia, di questi racconti tutti eccellenti ma di cui ce ne sono alcuni che per tematiche, punti di vista, stile, mi hanno coinvolta più di altri, spingendomi a riflettere ben oltre il tempo della lettura. Perché, ogni volta, è proprio questo che cerco: il dubbio, le domande, la capacità di un autore e di un testo di spingere a interrogarmi e magari riconsiderare le mie certezze. Amicizia, relazioni sentimentali, ambizione, invidia, paura, sesso, libertà, forza e debolezza, identità: ogni racconto è un viaggio tra le pieghe dell’animo femminile, in quegli angoli bui che non sempre accettiamo di guardare, nelle tempeste appena oltre la superficie. È un affresco di donne fuori dal tempo e dallo spazio, come lo sono le emozioni che le smuovono. È un viaggio in quel «pozzo oscuro» narrato da Natalia Ginzburg, un abisso «dolente e pietoso» da cui gli uomini sembrano invece immuni:
[…] a me non è mai successo di incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare soggezione e di schiavitù e che non sarà tanto facile vincere (Natalia Ginzburg, “Discorso sulle donne”, p. 47)
Eppure, anche nella capacità di scendere in quel pozzo, esplorarlo, risalire, sta la forza delle donne, ciò che ancora una volta le distingue dagli uomini. Un pozzo in cui ogni scrittrice di questa raccolta ha saputo avventurarsi, con la forza della verità, dell’ironia, della caparbietà di trovare sé stessa. E raccontare, anche quando ciò che vede dentro di sé è complicato da elaborare. Come il rapporto con la scrittura stessa:
Un libro nasce da tanti piccoli atti di egoismo. Tagliare fuori la tua famiglia. Trascurare i figli. Dimenticare il mondo reale per inventarne uno nuovo. Rubare storie alle persone reali. Tenere la parte migliore di sé per quell’anonimo amante senza volto che è il lettore. Dire quello che devi dire. (Claire Dederer, “Quando l’artista è un mostro”, p. 257)
Ci vuole una certa dose di egoismo per essere uno scrittore. Ce ne vuole una dose ancora maggiore per essere una scrittrice, almeno secondo Claire Dederer che in “Quando l’artista è un mostro” (partendo da tutt’altra tematica in verità) riflette su quanto sia necessario lasciare fuori, trascurare, dimenticare almeno per un attimo, per poter dare vita alla propria opera. È una realtà ben nota a molte madri lavoratrici:
Quando finisci un libro, per terra ci sono tante piccole cose infrante: promesse, impegni, appuntamenti mancati. E altre cose, più gravi, dimenticate o non soddisfatte: compiti dei figli che non hai controllato, chiamate ai genitori che non hai fatto, sesso coniugale che non hai consumato. Tutte cose a cui devi venire meno perché il libro venga scritto. Claire Dederer, “Quando l’artista è un mostro”, p. 260)
Nel caso del mestiere di scrivere, però, la questione si complica ulteriormente e dietro quella porta chiusa si crea un mondo che pare momentaneamente annullare quello reale, là fuori. E da cui ancora abbiamo difficoltà a staccarci senza essere preda del senso di colpa. Dererer parla di “egoismo”, altri – in riferimento all’universo maschile – forse lo definirebbero semplicemente dovere, verso sé stessi, verso il mondo. Arte e vita si intrecciano, finzione e realtà invadono la pagina. È così liberatorio entrare negli angoli bui raccontati da queste scrittrici, veder svelate le molteplici sfaccettature dell’essere donna, uscire da ruoli e sentimenti prestabiliti, stereotipati, anche nei sentimenti. E “ammettere”, per esempio, la difficoltà di venire a patti con il talento del proprio partner, che sembra tanto maggiore del proprio, avvalorato dal consenso del pubblico e della critica; un sentimento di cui ci si vergogna troppo di parlare, l’invidia, che nel racconto omonimo Kathryn Chetkovich indaga invece con intima lucidità. Le relazioni si complicano quando l’ambizione e l’esigenza di scrivere mettono in dubbio gli equilibri della coppia:
Invidiavo quello che talento e successo gli avevano trasmesso, il senso di stare facendo la cosa giusta. Io volevo quello che vogliono tutte le donne: sentirmi legittimata. (Kathryn Chetkovich, “Invidia”, p. 182)
«Sentirmi legittimata», è questo, in fondo, il senso del nostro lavoro, quello che ci dia il “diritto” di chiudere la porta dello studio, lasciare il mondo fuori, dimenticare appuntamenti e anniversari. Forse è ancora vero che, rispetto agli uomini, noi donne fatichiamo il doppio per affermarci, specie in certi campi, per comprendere – noi stesse per prime – il valore di quello che stiamo facendo, che non si tratta di un capriccio, un intermezzo per spezzare la noia del quotidiano.
Si sporcano le mani, queste scrittrici, scavano dentro sé stesse e i propri personaggi, per raccontare la verità fra le pieghe dell’esistenza, anche quando è scomoda, come il terribile segreto di una bambina con cui, adulta, sarà costretta a confrontarsi, nel racconto di Chimamanda Ngozi Adiche, o il desiderio di morte di una giovane donna per cui tutto sembra troppo «crudele» da sopportare oltre (Edna O’Brien, “Oggetto d’amore”), o nella rigidità delle convenzioni sociali su cui ironizza Dorothy Parker e che non permettono alla protagonista della sua storia di sottrarsi al valzer con un terribile ballerino.
Si sporcano le mani, queste scrittrici, scavano dentro sé stesse e i propri personaggi, per raccontare la verità fra le pieghe dell’esistenza, anche quando è scomoda, come il terribile segreto di una bambina con cui, adulta, sarà costretta a confrontarsi, nel racconto di Chimamanda Ngozi Adiche, o il desiderio di morte di una giovane donna per cui tutto sembra troppo «crudele» da sopportare oltre (Edna O’Brien, “Oggetto d’amore”), o nella rigidità delle convenzioni sociali su cui ironizza Dorothy Parker e che non permettono alla protagonista della sua storia di sottrarsi al valzer con un terribile ballerino.
Un libro che è tanti libri, fatto di voci diverse, rimandi e richiami letterari che fanno venire la voglia irresistibile di rileggere – o scoprire per la prima volta – le pagine di queste scrittrici straordinarie, i racconti citati qui e là. E comporre la nostra personale antologia, quel canone contemporaneo dove riconoscere noi stesse.
Debora Lambruschini