Il nudo maschile nella fotografia e nella moda
di Leonardo Iuffrida
Odoya, 2019
pp. 271
€ 18,00 (cartaceo)
In un certo senso, al netto del prevedibile gioco di parole, è proprio così: Il nudo maschile nella fotografia e nella moda è un libro che non solo si sfoglia ma “si spoglia” anche da solo. Elogio dell’anatomia di ogni figlio di Adamo, il lavoro di Leonardo Iuffrida pubblicato da Odoya Edizioni non si limita a fare l’evidente gioia degli estimatori del bel sembiante, ma si propone come contributo storico-critico utile a comprendere l’esposizione e la percezione del corpo virile in assenza di veli di sorta: e lo fa con un occhio al filtro mediale privilegiato dell’obiettivo e l’altro all’evoluzione del costume, in una prospettiva incrociata che tiene conto in eguale misura degli orizzonti culturali e artistici, storici e politici, psicologici e sessuali. Non solo muscoli definiti e guizzanti in bella mostra, dunque, anche perché, come si avrà modo di scoprire, le ipertrofie più stereotipate sono state non di rado messe al bando dai criteri di rappresentazione: ciò che più interessa l’autore, difatti, è utilizzare la nudità dell’uomo in quanto criterio per comprendere l’evoluzione dello sguardo occidentale a esso rivolto dal XIX secolo fino alla più recente contemporaneità. Un’analisi condotta oltre il recinto rassicurante e anestetizzante dell’arte – ovvero oltre la pittura e la scultura – e a confronto diretto con immagini desiderose di alludere a nient’altro che ai rispettivi referenti: «la storia della fotografia diventa così storia dell’uomo, del corpo maschile, dell’erotismo, della sessualità, dell’editoria, della moda, della liberalizzazione del nudo» (p. 9).
di Leonardo Iuffrida
Odoya, 2019
pp. 271
€ 18,00 (cartaceo)
In un certo senso, al netto del prevedibile gioco di parole, è proprio così: Il nudo maschile nella fotografia e nella moda è un libro che non solo si sfoglia ma “si spoglia” anche da solo. Elogio dell’anatomia di ogni figlio di Adamo, il lavoro di Leonardo Iuffrida pubblicato da Odoya Edizioni non si limita a fare l’evidente gioia degli estimatori del bel sembiante, ma si propone come contributo storico-critico utile a comprendere l’esposizione e la percezione del corpo virile in assenza di veli di sorta: e lo fa con un occhio al filtro mediale privilegiato dell’obiettivo e l’altro all’evoluzione del costume, in una prospettiva incrociata che tiene conto in eguale misura degli orizzonti culturali e artistici, storici e politici, psicologici e sessuali. Non solo muscoli definiti e guizzanti in bella mostra, dunque, anche perché, come si avrà modo di scoprire, le ipertrofie più stereotipate sono state non di rado messe al bando dai criteri di rappresentazione: ciò che più interessa l’autore, difatti, è utilizzare la nudità dell’uomo in quanto criterio per comprendere l’evoluzione dello sguardo occidentale a esso rivolto dal XIX secolo fino alla più recente contemporaneità. Un’analisi condotta oltre il recinto rassicurante e anestetizzante dell’arte – ovvero oltre la pittura e la scultura – e a confronto diretto con immagini desiderose di alludere a nient’altro che ai rispettivi referenti: «la storia della fotografia diventa così storia dell’uomo, del corpo maschile, dell’erotismo, della sessualità, dell’editoria, della moda, della liberalizzazione del nudo» (p. 9).
Entra subito in argomento Leonardo Iuffrida, giusto il tempo di delineare il tema con un’Introduzione e dei brevissimi Discorsi preliminari sul nudo maschile nella fotografia per chiarire a chi legge che la questione si giocherà tutta sull’assenza di infingimenti e che la naturalezza con cui viviamo l’onnipresenza di uomini svestiti nelle pubblicità, nelle riviste e sugli schermi (grandi o piccoli che siano) va considerata innanzitutto come un fenomeno piuttosto recente, ovvero – per quanto strano possa sembrare – una conquista legata all’emancipazione fisica del maschio. Perché è così: tanto, tantissimo si è discusso e ancora si discute sul corpo delle donne, come se quello degli uomini non avesse a sua volta subito la sua pesante dose di dibattito. Un dibattito, si badi, non poco condizionato da una negazione di fondo, se è vero che per moltissimo tempo, prima di diventare veicolo privilegiato per l’affermazione (anche narcisistica) della propria identità, l’esibizione del corpo maschile è stata considerata non necessaria: a che pro, dopotutto, se per semplice statuto di genere si aveva già accesso al mondo della mente, del pensiero, del comando e del potere? Basta leggere il seguente passaggio, che vale la pena riportare per intero, in cui l’autore sintetizza con efficacia il processo che ha portato alla caduta di ogni velo e alla compiaciuta messa in mostra di ciò che c’era al di sotto:
«l’uomo non è stato sempre un narciso pronto a sfoggiare muscoli e addominali scolpiti. È quindi necessario illustrare anche il modo in cui l’uomo ha mutato l’approccio al proprio corpo che, da invisibile, diventa il principale veicolo per comunicare la propria identità. Un’identità che da monolitica è diventata molteplice e soggetta a cambiamenti, flessioni e variabilità che rendono oggi sempre più ricco quello che è lo scenario maschile. Dall’impettito uomo virile, maschilista e misogino, che mostra il suo carattere con un comportamento aggressivo, a uomini affabili e dolci che si prendono cura di sé e dei figli. Fino ai giovani di oggi, che spezzano le catene del genere e fluttuano fra il maschile e il femminile. Perché al di là delle differenze biologiche e fisiologiche fra uomini e donne, l’identità maschile è suscettibile di mutamento e il corpo ha avuto, dall’industrializzazione in poi, il ruolo prima di faro ideale e poi, con l’avvento dell’era postmoderna, di pratica àncora a cui aggrapparsi per non perdersi nello spaesamento e confusione di un mondo in continua evoluzione, in cui i punti di riferimento solidi sono ormai svaniti. Alla disintegrazione dell’io, l’uomo risponde con la costruzione di sé. Palestre, chirurgia plastica, protesi, circuiti elettronici, ma anche smartphone e ormoni sono gli strumenti di questo nuovo step evolutivo dell’uomo. In un mondo in cui ci si sente persi, il corpo è l’unica cosa su cui esercitare una forma di controllo. Così cyborg e uomini postumani si affiancano a personalità queer, che fanno della confusione e dell’artificio un’opportunità per scoprire nuove frontiere del sé e vivere la forma più autentica della propria identità. Ma è la sessualità più disinibita a essere il principale veicolo di affermazione dell’identità contemporanea, e il mondo on line, a colpi di like e retweet, fa da amplificatore delle possibilità offerte. È una dimensione a tratti fantascientifica e utopica che allo stesso tempo apre la strada a un mondo più libero, più emancipato, più ricco, in cui gli uomini sembrano togliersi la maschera e svelano senza alcun pudore i lati nascosti di sé» (pp. 8-9).
Tuttavia, come si è detto, l’approccio di Leonardo Iuffrida a un argomento così complesso vuole essere essenzialmente fotografico. Per questo, nella (giusta) convinzione della bontà di una scansione cronologica e consequenziale che tenga conto della storia del medium e delle sue applicazioni nell'ambito del fashion o degli spot, il saggio è suddiviso in quattro capitoli corrispondenti a tranche di tempo più o meno ampie che vanno a restringersi progressivamente a mano a mano che ci si avvicina ai nostri giorni: Dall’Ottocento agli anni Settanta del Novecento, Gli anni Ottanta, Gli anni Novanta e il nuovo millennio, Dal 2010 a oggi. Com’è facilmente intuibile, a epoche diverse corrispondono estetiche, tendenze, pudori, taboo, censure e conquiste differenti, che a propria volta sono andate di pari passo con il mutamento di fenomeni sociali, economici e politici. Nello scorrere i nomi di grandi fotografi – tanto più familiari quanto più recenti e tutti rigorosamente uomini: da Bruce Weber a Herb Ritts, da Steven Klein a Terry Richardson, da Robert Mapplerthorpe a Mariano Vivanco – si ha l’occasione di contemplare un orizzonte mediale che ha declinato l’indicalità fotografica di partenza in una molteplicità di attitudini e di scopi, lasciandosi progressivamente alle spalle l’idea che la bellezza esteriore dei corpi dovesse in qualche modo farsi specchio di valori morali interiori e percorrendo a grandi falcate le vie del compiacimento edonistico. Perché sono vere e proprie rivoluzioni di costume quelle che separano le intenzioni delle prime pose ottocentesche, classicheggianti e ispirate alla statuaria classica, da quelle sfacciatamente erotiche di fine Novecento, mentre le allusioni sessuali e omosessuali hanno conosciuto gradazioni che da un’ingenuità parimenti casta e ambigua si sono spinte senza remore in direzione della mera pornografia. Con il mutare dei secoli si assiste dunque a una costante e continua ridefinizione del corpo nudo maschile nei termini della sua accettabilità e rappresentabilità: non solo cambiano i set, le pose, i contesti, le destinazioni d’uso del materiale fotografico, ma a mutare sono soprattutto gli atteggiamenti dei modelli e i loro requisiti fisici, alla stregua di un rapporto tra domanda e offerta che determina l’aspetto in base a mode (dettate dallo sport, dagli eventi bellici, dal cinema, dal teatro, dalle arti visive e, più recentemente, dalla rete) e a target di riferimento (senza mai dimenticare che la messa in mostra dei corpi nudi maschili è stata pensata, fin da subito, per un pubblico ideale costituito da uomini più che da donne). Una complessità che trova riscontro anche nel linguaggio, con l'avvicendarsi di definizioni e neologismi che non di rado strizzano l'occhio alle categorie di tipologie sessuali utilizzate dai siti pornografici per classificare i propri contenuti: clone, beefcake, metrosexual, lumbersexual, spornosexual, twink, daddy, bear e via etichettando, fino ad arrivare alla gender revolution e all'azzeramento di ogni ghetto nominale.
Esaustivo senza risultare sommario, il libro di Leonardo Iuffrida è un contributo davvero utile per chiunque voglia approfondire il tema del nudo maschile nelle sue declinazioni artistiche legate alla fotografia e alla moda. La prosa, gradevolissima come non sempre capita nella saggistica, è intervallata da una selezione di immagini tratte da film e campagne pubblicitarie che offrono il giusto corredo visivo a quanto esplicato: una selezione ricca e oculata, che in questo caso non appare svilita ma anzi raffinata dalla scelta omogenea del bianco e nero. Consistente anche la sezione degli apparati, che tra Note, Bibliografia e Indice dei nomi si estende per una cinquantina di pagine a disposizione di chi voglia approfondire l’argomento o consultare il volume per esigenze di studio. Molto di più che una mera elencazione di nomi e tendenze, il lavoro dell’autore ha dalla sua il pregio di ampliare il discorso in senso storico, sociale, culturale e politico, se è vero che il mostrare o non mostrare un determinato corpo nudo o una sua determinata porzione non è stata e non è mai una scelta che ha a che fare solo con esigenze di tipo estetico, voyeuristico, edonistico o commerciale. Un libro che fa riflettere, come uno specchio in cui guardare la società di ieri e soprattutto quella di oggi.
Cecilia Mariani