di Luigi Malerba
Oscar Mondadori, 2018
1^ edizione: 1968
Introduzione di Francesco Muzzioli
pp. 210
€ 12 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Per questo invito alla lettura, che non ha nessuna pretesa di esaustività ma spera di portarvi a leggere un bel classico del secondo Novecento, partirò da un ricordo personale. Al corso di Letteratura contemporanea, la docente ha ripetuto almeno una decina di volte che era assurdo (assurdo!, sento ancora distintamente la sua meraviglia) che un'opera come Il serpente di Malerba fosse ormai quasi introvabile. Mi sono appuntata il titolo in un angolo del quaderno, riproponendomi di passare dalla biblioteca ma, come spesso avviene, ci sono promemoria che passano paradossalmente nel dimenticatoio. E lì il mio è rimasto per anni, finché non mi sono imbattuta quasi per caso nella riedizione per gli Oscar Mondadori, con questa copertina di forte impatto. Subito, manco a dirlo, Il serpente mi ha seguita prima alla cassa della libreria e poi a casa.
Le aspettative, come potete immaginare, erano altissime, soprattutto conoscendo i gusti ben difficili da soddisfare della mia professoressa. Poi, il testo ha avuto la meglio, al di là di qualsiasi pregiudizio, e ha confermato le migliori speranze.
Scritto nel 1968, Il serpente respira la sperimentazione funambolica degli anni Sessanta, e lo stravolgimento si muove su più livelli, tutti ugualmente sorprendenti sebbene mai eccessivi. Di primo acchito, potremmo dire che un io-narrante un po' defilato racconta dell'omicidio di una giovane donna, da lui amata. Ma la questione è ben più complessa. Tanto per cominciare, il protagonista ci presenta un punto di vista della faccenda angolato, particolare: da dietro il vetro del suo negozio di francobolli, guarda il via vai della strada, osserva chi qualche volta entra con richieste strampalate e disprezza tutti, i veri collezionisti tanto quanto gli amatori e i perditempo. Poi torna a casa, dalla moglie che odia e scartabella una pila di giornali che prende in prestito pagando un "affitto" al giornalaio. E il giorno dopo tutto ricomincia.
Fermi tutti. Non è vero niente, o quasi, e lo scopriremo dopo poche pagine: il protagonista è infatti un narratore inaffidabile, un mitomane, che vive della propria fantasia che si fa sempre più sfrenata e pericolosa. Se agli inizi gli crediamo, poi - dopo la rivelazione delle prime bugie - anche noi lettori restiamo dubbiosi, pieni di punti interrogativi sulla vicenda sempre più strampalata e inverosimile. Anche il suo amore per la giovane che lui chiama Miriam - la sua identità è un mistero -, che ha conosciuto al corso di canto, è decisamente insolito e non facciamo che chiederci cosa ci sia di vero.
Assolutamente reale e sempre più incancrenita è l'ossessione del protagonista, che cresce come una spirale, in modo sinuoso come il serpente del titolo, e striscia dentro la sua vita, trasformando una già improbabile e solitaria esistenza in qualcosa di delirante e claustrofobico. Il peggioramento è evidente, come attesta una sintassi che si fa sempre più densa, dominata dalla virgola come unico segno di interpunzione in periodi corposi, asfissianti. E quando si consuma o, letteralmente, si divora l'omicidio restiamo con gli occhi spalancati su un reato terribile ed efferato, eppure apparentemente inevitabile, come una droga che ha reso impossibile al protagonista resistere. Ma realmente l'io narrante si è trasformato in un cannibale? E quanto gusto satirico c'è nella scelta di Malerba di mettere in scena un uomo simile? Quanto, invece, gusto sperimentale nel rappresentare un punto di vista così distorto e malato?
Mentre sentiamo sempre più vicino l'universo strambo del protagonista e iniziamo a prevedere catastrofi imminenti, visto il suo peggioramento, contemporaneamente non facciamo che apprezzare quel monologo che prova, come sostiene Muzzioli nella prefazione, a strappare il protagonista «dalla solitudine, per farsi accettare e riconoscere almeno come eroe negativo, criminale efferato, divo della cronaca nera» (p. XX). E lui grande impostore del racconto e - probabilmente - della sua stessa realtà, non fa che avvincere e al tempo stesso tenere a distanza noi lettori, che alla fine applaudiremo la maestria di Malerba.
GMGhioni