di Gian Marco Griffi
Arkadia, 2019
pp. 228
€ 16 (cartaceo)
Mi chiamo Remo, pulisco i bagni al Mercato Coperto di Asti e ho creato un profilo su Facebook per potermi conseguentemente iscrivere a un gruppo Facebook per gente che ha l'alluce valgo, anche se non ho l'alluce valgo.
Spiego: il mio amico Bruno (su Facebook si chiama Brad Pittbull, anche se è brutto come il peccato e odia i cani) è iscritto a Cipolla Cafè da quattro mesi e dice che le donne con l'alluce valgo hanno una voglia di scopare pazzesca.
Poiché io, come Bruno, ho una voglia di scopare pazzesca, ho inviato la richiesta di iscrizione a Cipolla Cafè. (p.87)
Immaginate di essere in macchina con un amico: siete partiti da Roma, Napoli, Pisa diretti verso la Svizzera o da qualche altra parte in Piemonte, e a un certo punto decidete di fermarvi a un autogrill. Mentre il vostro amico va in bagno e voi state prendendo un caffè al bar, un tizio attacca bottone. Parlando del più e del meno, dopo avergli spiegato il motivo del vostro viaggio, l'uomo comincia a raccontarvi una storia, un aneddoto, qualcosa che è capitato non proprio a lui ma a un suo conoscente tempo fa, e che è successa da quelle parti, nella zona del Monferrato anche se non dove siete adesso bensì in una cittadina dal nome particolare ed evocativo, o forse no, era da un'altra parte ancora. È una storia senza senso, che comincia con delle persone che neanche conoscete ‒ Fausto, Bruno, Carlo, figure che nella vostra testa non hanno forma o dimensioni ‒ e terminano con una poesia dedicata a un tasso morto, con un'uscita a quattro che comprende due amici che fanno finta di avere l'alluce valgo e due donne che hanno veramente l'alluce valgo, o infine con una cittadina della Bielorussia, davanti alla casa di una donna sconosciuta ma che in teoria era la ragazza di un amico di un amico del vostro interlocutore, da poco deceduto.
Immaginate che la storia che il tizio davanti a voi sta raccontando sia farcita di intercalare piemontese, che quell'uomo abbia una mitraglia al posto della lingua e tiri fuori luoghi, persone, eventi senza un preciso nesso, che la storia devii qua e là come un ubriaco appena uscito dal bar, e che nel mentre vi siate distratti perché obiettivamente quello che state ascoltando vi suona assurdo.
Immaginate infine che il vostro amico ritorni dal bagno mentre la storia è sul finire, in quell'interregno fra la conclusione e le successive spiegazioni del motivo che hanno portato a raccontarla, e vi costringa ad alzarvi per rimettervi in marcia perché è veramente tardi. E voi salutate l'uomo, lo ringraziate (?) e tornate alla guida. Usciti dall'autogrill vi chiedete cosa è appena successo, chi diamine fossero Fausto, Bruno e Carlo, cosa c'entrassero il Cipolla Cafè e Umberto Tozzi, se per caso non abbiate bevuto del caffè corretto con troppa grappa.
Ecco, leggendo Inciampi di Griffi questa è la sensazione che si mantiene salda nella propria mente a ogni fine racconto. Le storie, poco credibili quando non addirittura surreali, iniziano e finiscono senza un perché, come se il narratore parlasse per il puro gusto di parlasse. Le trame dei racconti non sembrano essere l'elemento centrale della narrazione: quello che appare come un gioco auto alimentato ha come fulcro nodale l'atto stesso del raccontare. Raccontare qualsiasi cosa ‒ accaduta o meno è indifferente, verosimile o meno ancor più irrilevante ‒ nella forma più variegata, basta che sia possibile proseguire, e vadano a farsi benedire i temi, i messaggi, i racconti edificanti, le regole stesse della lingua.
Gli inciampi linguistici di Griffi sono qualcosa di indefinito, a metà fra la parodia del nostro mondo e un divertissement fine a sé stesso, che nessun senso ha se non quello di andare oltre e proseguire nella narrazione stessa. Chi approccia questo testo con l'idea di seguire un filo logico e una trama solida resterà deluso; chi invece gli si avvicina con l'intento di esplorare le possibilità e i confini della lingua italiana, di sperimentare diversi stili letterari e mettersi in gioco superando la propria concezione sull'uso della punteggiatura, troverà nel secondo testo della collana SideKar di Arkadia una sfida notevole, soprattutto nella sezione "Tutte le riviste della mia vita", nella quale l'autore si diverte a gettarsi a capofitto nei diversi stili di scrittura, e a gettarvi anche il lettore, senza peraltro fornirgli una bussola durante la navigazione nelle acque nere.
Il che non vuol dire necessariamente qualcosa di soddisfacente, anzi: la soddisfazione nella lettura di Griffi è qualcosa che sembra essere sempre qualcosa di là da venire, un bagliore visibile ma lontano e pertanto inavvicinabile. Il titolo della raccolta è in questo senso adeguato: è come quando si cammina per conto proprio e si inciampa su una radice non vista. In quell'attimo di spaesamento e di vuoto, quando tutto il corpo si protende per un antico istinto di conservazione per evitare la caduta, sta il senso di questa lettura.
David Valentini
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