La commedia borghese
di Irène Némirovsky
Elliot Edizioni, 2013
Traduzione di Monica Capuani
Traduzione di Monica Capuani
pp. 175
€ 16,00 (cartaceo)
€ 16,00 (cartaceo)
La cameriera posa l'arrosto su tavolo ed esce. Lo zio Octave taglia le fette di filetto di manzo e serve gli ospiti. Si sente nel silenzio: «Conosce Parigi, signorina?».«Un po', signore».L'insalata. Zia Cécile riprende: «In fondo, non sono ragazze cattive, ma è sempre la stessa storia. Se non stai loro continuamente addosso, non combinano niente. Se le si sorveglia come si deve: "La signora è troppo esigente...". Oggi è già un miracolo che non abbia fatto bruciare l'arrosto...». (p. 142)
L'appellativo "piccolo borghese" non suona certo come un complimento. Indica una mentalità ristretta, un po' gretta, incentrata sui beni materiali e sul bell'apparire. Con le quattro novelle che compongono la raccolta, Irène Némirovsky si immerge in alcune delle polle che possono comporre le sfaccettature di questo epiteto. Può mettere in scena la superficialità della classe borghese; il complicato rapporto madre-figlia; le passioni che ribollono appena sotto la superficie di una società ordinata; il timore di invecchiare e perdere il proprio posto nel mondo. Oltre che con l'acutezza e la puntualità descrittiva propria dell'autrice, queste novelle assumono una prospettiva nuova: quella del cinema e della sceneggiatura.
All'inizio degli anni Trenta, Irène Némirovsky, autrice di origini russe, ma ormai naturalizzata francese, vede su schermo l'adattamento del suo romanzo "David Golder", per la regia di Julian Duvivier. Da quel momento, le risultano lampanti le potenzialità che possono avere le storie su pellicola. Non è la sola ad avere quell'impressione. Paul Morand, proprio in quegli anni, sta curando l'uscita di una nuova collana per la casa editrice Gallimard: si chiamerà "La renaissance de la nouvelle" e raccoglierà, per l'appunto, novelle e racconti. L'autrice viene quindi incoraggiata a presentare i propri scritti "per il cinema" con l'idea di creare una raccolta di "film parlati". Vedono così la luce i quattro racconti, ora ripubblicati da Elliot: "I fumi del vino", "Film parlato", "Ida" e "La commedia borghese".
Li chiamiamo racconti, ma nelle loro descrizioni, negli stacchi di scena, nei dialoghi, si vede molto chiaramente l'impostazione a sceneggiatura cinematografica.
Brusio confuso e dolce che si ingrossa e si avvicina rapidamente come un'onda nel mare. Piove. Le case annegano nell'ombra e nella caligine. Passa l'enorme faro di un'automobile, e squarcia la bruma. I marciapiedi bagnati e il tetto dell'Opera brillano sotto il temporale come specchi scuri. È Parigi, alla fine di marzo, al crepuscolo. Le luci girano così velocemente che si distingue solo un torrente di fiamme. Poi emergono delle parole, sempre le stesse, si avvicinano e si ingrandiscono a dismisura, tremano attraverso la pioggia. Bar, Hotel, Dancing. ("Film parlato", p. 45)
Si potrebbe aggiungere "ESTERNO, NOTTE" e avere l'attacco di una normalissima sceneggiatura. Impreziosita, certo, dall'abilità descrittiva dell'autrice, ma sempre un storia pensata per essere vista, oltre che letta.
Allineandosi alla passione tutta francese per l'osservazione della società e della natura umana, fedele ai principi del naturalismo che Zola applicò nelle vicende dei Rougon-Macquart, l'autrice analizza e osserva tutto quello che anima la società francese. Partendo da conflitti archetipici quali gioventù vs. vecchiaia, controllo vs. passione, ricchezza vs. povertà, madre vs. figlia, scrive delle vere e proprie scene cinematografiche che potremmo osservare non solo sulla pellicola, ma anche solo sbirciando in una delle finestre che si affacciano sulla strada e che vediamo tutti i giorni tornando a casa. Una donna che esce di nascosto per vivere un attimo di passione e viene coinvolta in una sorta di "notte del giudizio", come avviene ne "I fumi del vino". Una stella del teatro ormai vecchia che viene scalzata dalla giovane avversaria e che anticipa il conflitto fra due Eva.
La resa "grande" di temi semplici, la minuta osservazione della psicologia che si nasconde dietro il velo di questa classe sociale che ancora lotta per una posizione, rendono queste novelle dei cortometraggi che si dipanano nella nostra testa senza bisogno di un proiettore. Sono racconti che, ancora di più, fanno rimpiangere la perdita prematura di questa autrice. La storia del cinema avrebbe avuto, forse, un'autrice in più se quegli anni non avessero maturato un dramma così grande da non essere previsto da alcun sceneggiatore.
Giulia Pretta