di Josephine Hart
Feltrinelli, 2012
Traduzione di V. Mantovani
pp. 204
€ 8 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Io, sono forse vivo nel vero senso della parola continuando a vivere dopo che ho perduto una parte così grande di me? (p. 94)
La verità sull'amore si apre in modo a dir poco sconvolgente: un ragazzo nel cortile di casa sta facendo un esperimento (o forse una bomba per l'Ira?), quando qualcosa va storto e l'esplosione lo mutila e lo lascia agonizzante sul prato, mentre la sorella Olivia accorre, in attesa dei soccorsi. Soccorsi inutili, manco a dirlo. Ma quel che rende tutto ancor più drammatico è che è il ragazzo stesso a raccontare, dal suo punto di vista, i suoi ultimi minuti di vita.
Poi passiamo agli altri: la stessa tecnica di affidare la parola ora a questo ora a quel personaggio garantisce a Josephine Hart di aumentare il pathos senza darsi il tempo di cadere nel patetico. Il dramma è plurale e al tempo stesso plurimo nella famiglia O'Hara. Ogni personaggio soffre, ma reagisce in modo diverso: la madre Sissy, i cui nervi erano già stati messi alla prova dalla morte di una figlia, si chiude in un silenzio ostinato e patologico, ma non smette certo di riflettere, e il lettore assiste proprio a questi monologhi interiori, davanti a un mondo che non sembra capirla e che la sprona solo a parlare. Come se parlare potesse migliorare le cose:
Sei ferita dappertutto dall'amore e dall'assenza della persona che amavi. Ecco che cos'è, una continua assenza. Lui è scomparso. (p. 102)
Il padre, Tom, cerca di omaggiare la memoria del figlio realizzando uno dei suoi desideri: comprare il cancello maestoso e imponente di Thomas Middlehoff, un tedesco lì in Irlanda per scrivere un libro. Poco conta che il cancello sia troppo costoso e fuori luogo per il giardinetto di casa O'Hara: per Tom è l'occasione di fare ammenda alle tante privazioni che ha fatto patire al figlio durante la vita. E alla sorella Olivia, che tiene a mente le immagini indelebili del fratello agonizzante, non resta che cercare di rifarsi, andando altrove e calcando il palcoscenico: nella letteratura, ha sempre trovato vite alternative, molto più ampie del paesino angusto dove è cresciuta.
Tuttavia, anche Thomas Middlehoff, testimone e spettatore del lutto degli O'Hara, è lì in preda a enormi ferite del passato, anche se il lettore non sa subito di che cosa si tratti: nei capitoli dedicati a lui, si scopre che Thomas è un uomo riservato, infastidito dal ficcanasare dei vicini di casa. È l'estraneo per eccellenza, colui che viene da un altro popolo, con usanze diverse, e che guarda alla natura degli irlandesi con curiosità e al tempo stesso con distanza. Sappiamo che ha una relazione d'amore che sfiora l'ossessione («L'ossessione. L'universo ridotto a una persona... L'universo illuminato da una persona. Una follia. È la perversione dell'amore? Cuori con un solo proposito... fatti pietra come per incanto...», p. 171) per Harriet, una donna che lo raggiunge di tanto in tanto, attraversando il mare, che lo possiede fisicamente e mentalmente, ma che se ne va puntualmente. Il perché forse non esiste, o forse lo capiremo col passare delle pagine. Ciò che è certo è che nel loro legame - disequilibrato, rabdomantico, intermittente tra simbiosi e rifiuto - si ritrovano passaggi cari alla concezione dell'amore di Josephine Hart (qui trovate le altre recensioni) e forse, oseremmo dire, le pagine più liriche.
Ennesimo motivo di dolore, sullo sfondo, ma neanche troppo: la storia dell'Irlanda, che si infila attraverso le pagine di un libro e la riflessione dei personaggi, che accolgono con più o meno speranza il messaggio civile di battersi per l'indipendenza: «Mio padre diceva che una nazione poteva dimenticare, sfruttare, oscurare o vivere con la sua storia» (p. 76).
Ma, a prescindere dai temi tangenziali, questo è un grande romanzo sull'amore dopo il lutto e su come sopravvivere al dolore, andando alla ricerca di risposte alle tante domande. Olivia, tuttavia, arriverà a questa amara conclusione:
[...] risposte che non sarebbero mai state un balsamo per le mie ferite. Alla fine, ognuno deve curarsi le sue. È un lavoro solitario. (p. 187)
E sono tante solitudini che si dibattono, quelle raccontate da Josephine Hart: solitudini che non dimenticano, né che si consolano facilmente. Thomas è fuggito dalla sua realtà, Tom e Sissy cercano di rimanere, Olivia prova a prendere le distanze dalla propria casa decadente, ma di tanto in tanto non può non tornare. Il dolore è sempre lì, che aspetta ognuno di loro, eppure non siamo davanti a personaggi completamente vinti: nelle loro reazioni - persino nel silenzio di Sissy - c'è una scelta deliberata, una lotta, che li lascia ora esanimi ora determinati a proseguire. E forse è questa analisi impietosa eppure tanto umana a rendere La verità sull'amore un romanzo forte e implacabile.
GMGhioni