Traduzione di Stefania Dell'Anna
pp. 106
€ 14,00 (cartaceo)
pp. 106
€ 14,00 (cartaceo)
Una lotta e una ricerca costante animano questo libro di memorie, scritto da Nawal Al-Sa’Dawi, donna forte e principale portavoce della condizione femminile nel mondo arabo. Nata in un piccolo villaggio del delta del Nilo, questa donna coraggiosa ha scritto il libro in lettura nel 1958, anche se l'opera è stata tradotta in America solo nel 1980 e viene ora proposta in Italia da Fandango, con la traduzione dall’arabo di Stefania Dell’Anna. Il libro è concepito come una raccolta di pensieri, una sorta di diario che segue le vicende della protagonista, attraverso le fasi più importanti della sua vita. Non ci sono date a dare continuità agli eventi (l’unica è presente nella prefazione), né cesure nel pensiero di questa donna, che si concepisce da subito come uno spirito libero e ribelle. Nawal si ribella alle convenzioni, alla tradizione, alla sua stessa famiglia, pur di affermarsi come donna. Ma questo sarà solo uno dei vari stadi che dovrà raggiungere, prima di riconoscersi come individuo, e soprattutto prima di trovare il suo posto nel mondo.
Sono entrata in conflitto con la mia femminilità molto presto, prima ancora di diventare una donna, prima ancora di scoprire qualcosa su di me, sul mio sesso e sulle mie origini. (p. 13)
La narrazione inizia con una Nawal bambina e ci fa subito vivere la contraddizione di molta parte del mondo arabo, ma non solo, in cui le donne contano meno degli uomini. Dalla spensieratezza, la piccola protagonista arriverà in maniera traumatica al mondo adulto, guardando con orrore alla prima perdita di sangue, che segnerà il passaggio verso le convenzioni e le scelte non sue. Da quel momento la famiglia comincerà a trattarla come un oggetto da mettere in mostra, per cercarle marito. Il sangue, nell’immaginario della bambina, è qualcosa di sporco, sudicio, e così sarà il suo rapporto con questo mondo adulto e maschile, che sembra non appartenerle più. Decide di lasciare fuori da questa vita ogni cosa che possa renderla più femminile, a cominciare dai capelli. Tagliandoli segna il primo confine tra se stessa e le altre donne e vede, nella disperazione della madre, la prima sconfitta di un sistema che intende cambiare.
Per la prima volta in tutta la mia vita, quel giorno conobbi la vittoria. E imparai che la paura condanna alla sconfitta, mentre la vittoria si ottiene solo con il coraggio. (p. 23)
La società maschilista e conservatrice ha paura della sua ribellione, cerca di reprimerla e di soggiogarla, e per questo Nawal decide di rinnegare la sua femminilità, sfidando la natura e imponendosi di non desiderare.
Un secondo momento di crescita è rappresentato dalla sua forte volontà di essere riconosciuta in società; per questa ragione studia per diventare medico, e impara, oltre che ad avere occhi di disapprovazione da parte dei colleghi uomini sempre su di sé, anche a vedere il corpo come un insieme di funzioni, una macchina perfetta che risponde a dei comandi, muscoli, nervi e ossa, organi da curare, bandendo ogni timore e ogni emozione. La medicina sembra la cura per dissipare ogni dubbio sulla profonda uguaglianza che lega uomo e donna, entrambi fatti di materia. Ma basta la sensibilità nei confronti di una piccola creatura indifesa a far riemergere la parte emotiva. Non rifugge più da se stessa in quanto essere umano, anzi cerca il contatto con la natura e con la sua parte più vera, e impara ad affidarsi e a credere che l’amore possa essere salvifico. Ma questo processo è troppo veloce e il risultato è un completo disastro.
Fu come firmare il mio certificato di morte. Il mio nome, all’udire il quale le mie orecchie si schiudevano, e che nella mia coscienza e nel mio intimo era legato alla mia esistenza e alla mia corporeità, fu annullato, e il mio involucro fu marchiato con il nome dell’uomo che avevo sposato. (p. 67)
Scappare da tale legame è inevitabile per la protagonista, come anche riconoscere la fragilità di questo e altri rapporti attraverso la lente dell’intelligenza, quasi fino a rinunciare nuovamente all’essere capita e amata. L’incredibile modernità del pensiero di questa donna eccezionale non sta solo nel fatto che i suoi siano pensieri anticonvenzionali in un mondo islamico fortemente maschilista, piuttosto nel messaggio che ogni donna, in ogni contesto, dovrebbe abbracciare e promuovere, dell’appartenenza solo a se stessa, dell’affrancamento da qualsiasi vincolo sociale o emotivo, per poter esprimere profondamente chi si è, senza nessuna etichetta o ruolo preconfezionato.
Tutto infine si riequilibra nella ricerca della verità che anima la sua esistenza e quella di ognuno di noi, che ci fa comprendere che la nostra missione non è svenderci o provare a barattare conoscenza con utile, ma donarci totalmente al progetto che siamo chiamati a compiere, qualunque esso sia, e vederlo come un compito che solo noi possiamo decidere di portare a termine e in questo modo riconoscerci, donandoci alla vita, agli altri e infine a chi saprà vederci per quello che siamo.
Samantha Viva