Dopo l'onda
di Sandrine Collette
edizioni e/o, 2019
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
pp. 282
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Ciò che colpisce di questo romanzo sono la durezza e l'implacabilità degli eventi, che si susseguono come martellate sulle mani del lettore: non c'è un momento di riposo, né di svago, non c'è umorismo o qualche battuta che possa scatenare una risata consolatrice. In ogni pagina bisogna fare i conti con l'orrore, con ciò che di imprevisto e ineluttabile sembra essere capitato. Prendendo a prestito il titolo del capolavoro di Peter Cameron, a volte viene da chiedersi se veramente tutto questo dolore un giorno ci sarà utile; se veramente cioè è proprio necessario prendere e strapazzare così tanto questi poveri personaggi, a tratti ridotti a marionette fra le braccia delle tempeste, degli uragani, del pericolo. Soprattutto verso la fine, prima dell'epilogo – al quale, per inciso, il lettore arriva impreparato, e che forse è la parte più debole di tutto il testo –, sorge legittimo il dubbio: tutto questo dolore è necessario?
Ovunque c'è solo l'acqua, si è detto, dall'inizio alla fine: quell'elemento naturale che ha permesso la vita e senza la quale quest'ultima resterebbe mera utopia diventa qui fattore primario di morte, là dove il secondario, ancorché spesso più fatale, torna a essere, come spesso accade, la malvagità umana. È notevole dunque la capacità di Collette, che pure ha a disposizione pochissimi personaggi in questo mondo desolato, a porgere sull'altare della narrazione il bene e il male, che qui assumono tratti netti e inconfondibili. Al centro vi è sempre la sopravvivenza, quel bisogno primordiale che porta a riunirsi in branchi e poi in gruppi, a fondare famiglie e società, a resistere un giorno in più ancora per raccogliere le ultime energie prima dell'abbandono. Al di là dei membri della famiglia dispersa dal naufragio, è la sopravvivenza la vera protagonista del romanzo.
Dopo l'onda è un romanzo per stomaci forti, non per le scene gore o splatter tipiche di certi romanzi apocalittici o distopici, quanto per la mancanza di un barlume di speranza a cui, da lettori, cerchiamo di aggrapparci con tutte le nostre forze. E che sembra sempre di là da venire, come quell'isola lontana che Pata e i suoi cari cercano di raggiungere a ogni costo.
David Valentini
di Sandrine Collette
edizioni e/o, 2019
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
pp. 282
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Stavano lì come gattini bagnati sotto la pioggia, stretti gli uni agli altri con lo sguardo inebetito, sbattendo gli occhi per le raffiche di vento e gli acquazzoni caldi. Davanti a loro c’era il mare, ma non solo davanti. C’era mare anche dietro, a sinistra e a destra. In sei giorni non avevano avuto il tempo di abituarsi, ma avevano capito che il mondo non sarebbe più stato come prima. Non dicevano niente. Si limitavano a tenersi per mano tutti e undici, padre, madre e nove figli, con i volti frustati dal tempo impazzito e dal diluvio che non si fermava o quasi e li obbligava a compattarsi intorno alla casa. Erano trascorsi sei giorni dall’onda. Lo tsunami era arrivato e nessuno l’aveva sentito. O, se qualcuno lo aveva sentito, era già troppo tardi. (pp. 11-2)Era troppo tardi. Non è affatto un caso che l'ultima frase della citazione tratta dal libro di Sandrine Collette suoni come una condanna: il suo non è un romanzo in cui la catastrofe si manifesta con lentezza, durante lo svolgimento della trama, né uno – come, per esempio, La strada di McCarthy – in cui ci ritroviamo molto tempo dopo l'apocalisse, in un momento qualunque in cui i superstiti hanno a che fare con un mondo già profondamente mutato nelle abitudini. Nel testo di Collette l'evento, sin dalla primissima pagina, è già accaduto, sì, ma è anche appena accaduto. L'orrore in cui i protagonisti si trovano riversati, dunque, è l'orrore di un mondo conosciuto e dato per scontato, con le sue proprie leggi della natura e della morale, che scompare all'improvviso senza possibilità di ritorno alcuno. È in questa situazione di emergenza immediata che Pata, Madie e i loro nove figli devono muoversi, isolati da tutto e costretti a scelte inumane che nessuno di noi, nel nostro agio da cittadini di un primo mondo squilibrato ma ancora perfettamente lineare, si immagina di dover compiere.
Ciò che colpisce di questo romanzo sono la durezza e l'implacabilità degli eventi, che si susseguono come martellate sulle mani del lettore: non c'è un momento di riposo, né di svago, non c'è umorismo o qualche battuta che possa scatenare una risata consolatrice. In ogni pagina bisogna fare i conti con l'orrore, con ciò che di imprevisto e ineluttabile sembra essere capitato. Prendendo a prestito il titolo del capolavoro di Peter Cameron, a volte viene da chiedersi se veramente tutto questo dolore un giorno ci sarà utile; se veramente cioè è proprio necessario prendere e strapazzare così tanto questi poveri personaggi, a tratti ridotti a marionette fra le braccia delle tempeste, degli uragani, del pericolo. Soprattutto verso la fine, prima dell'epilogo – al quale, per inciso, il lettore arriva impreparato, e che forse è la parte più debole di tutto il testo –, sorge legittimo il dubbio: tutto questo dolore è necessario?
Ovunque c'è solo l'acqua, si è detto, dall'inizio alla fine: quell'elemento naturale che ha permesso la vita e senza la quale quest'ultima resterebbe mera utopia diventa qui fattore primario di morte, là dove il secondario, ancorché spesso più fatale, torna a essere, come spesso accade, la malvagità umana. È notevole dunque la capacità di Collette, che pure ha a disposizione pochissimi personaggi in questo mondo desolato, a porgere sull'altare della narrazione il bene e il male, che qui assumono tratti netti e inconfondibili. Al centro vi è sempre la sopravvivenza, quel bisogno primordiale che porta a riunirsi in branchi e poi in gruppi, a fondare famiglie e società, a resistere un giorno in più ancora per raccogliere le ultime energie prima dell'abbandono. Al di là dei membri della famiglia dispersa dal naufragio, è la sopravvivenza la vera protagonista del romanzo.
Dopo l'onda è un romanzo per stomaci forti, non per le scene gore o splatter tipiche di certi romanzi apocalittici o distopici, quanto per la mancanza di un barlume di speranza a cui, da lettori, cerchiamo di aggrapparci con tutte le nostre forze. E che sembra sempre di là da venire, come quell'isola lontana che Pata e i suoi cari cercano di raggiungere a ogni costo.
David Valentini
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