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#CritiMUSICA - David Bowie vive, e Ian Castello-Cortes ci racconta dove: un itinerario nei luoghi di Ziggy Stardust, Aladdin Sane e Thin White Duke, al secolo David Robert Jones

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Cercasi Bowie disperatamente
di Ian Castello-Cortes
L’ippocampo, 2019

Traduzione di Paolo Bassotti

pp. 136
€ 12,00 (cartaceo)



Chi non conosce quella particolare forma di disperazione che deriva dalla scomparsa del proprio artista preferito? Se è vero che ci si può sentire in lutto per la morte di un personaggio di finzione che si ha tanto amato tra le pagine di un libro o al di qua di uno schermo, quando la perdita riguarda un musicista in carne e ossa (e note) si vorrebbe addirittura abolire il pentagramma pur di non consentire nessuna nenia funebre. Lo sanno bene i seguaci di David Bowie, che di certo non si aspettavano il decesso del loro idolo  proprio il 10 gennaio 2016, a due giorni dal suo sessantanovesimo compleanno e del contemporaneo lancio dell’ultimo album Blackstar, per giunta con il profetico musical Lazarus ancora in lavorazione. Eppure andò proprio così: l’ultima uscita di scena del Duca Bianco fu un vero colpo da maestro, l’apice della trasformazione del proprio progressivo decadimento fisico (a causa di un tumore al fegato diagnosticato nel 2014) in un’opera d’arte. Ma quale migliore antidoto dell’arte stessa per superare il trauma della sua mancanza? Immediatamente, contemporaneamente, i fan di ogni parte del mondo si radunarono in memoria del fu (al secolo) David Robert Jones per omaggiarlo con i suoi stessi brani, scegliendo i luoghi simbolo del suo incedere su questa terra: Heddon Street a Londra, la strada che figura sulla cover dell’album Ziggy Stardust del 1972; la sua stella sulla Walk of Fame di Hollywood a Los Angeles; il numero 155 della Hauptstrasse a Berlino. E soprattutto il graffito di Bowie nei panni di Aladdin Sane creato nel 2013 dall’artista australiano Jimmy C. di fronte alla metropolitana di Brixton, dove era nato nel 1947. Tutti luoghi che, insieme a molti altri, ovvero tutti quelli di un’esistenza unica nel panorama artistico mondiale, si ritrovano in Cercasi Bowie disperatamente, lavoro di Ian Castello-Cortes pubblicato in Italia da L’ippocampo.

Suddiviso in otto tranche temporali comprensive di intervalli brevi  e brevissimi – Gli esordi, 1970-1971, 1972-1973, 1974-1975, 1976-1979, 1980-1989, 1990-2004, Bowing out – l’itinerario tracciato da Ian Castello-Cortes consente di ripercorrere vita e carriera di Bowie ricordandone le tappe creative scandite dalla pubblicazione dei numerosi album (trentasei in tutto), le cui copertine vengono peraltro riprodotte in minore a ogni avvio di capitolo, complete di anno e mese di uscita. Ci sono le ville e gli appartamenti in cui, con le varie mogli e i figli, abitò per brevi o lunghi periodi tra Europa, Stati Uniti, Australia e India; ci sono gli studi di registrazione e le sedi di concerti e performance entrate parimenti nella storia della musica e del costume; ci sono i luoghi della cosiddetta “arte in generale” (si pensi alla Factory di Andy Warhol) e quelli dello svago puro, discoteche e circoli privati che conobbero le sue gesta e quelle di amici e colleghi come Mick Jagger e Steven Taylor. Tutto si può dire, fuorché la vita di Bowie non sia stata vissuta sotto le stelle creative del movimento e del mutamento, del dinamismo e del trasformismo: cambiare aria e cambiare pelle, per lui, furono le facce di una medesima mostrina da appuntare sul petto di un costume di scena in continuo e costante rinnovamento, a conferma di un’inquietudine (non solo musicale, ma anche attoriale e pittorica) che necessitava di sempre nuove identità, in un susseguirsi di genesi, morti annunciate e rinascite. Ian Castello-Cortes rende conto di questo percorso scandito dalle vette del successo e dagli abissi degli eccessi, seguendo il Bowie incerto degli esordi e quello reso iconico dai panni di Ziggy Stardust o dall’aplomb del Thin White Duke: accompagnati dalle rispettive fotografie, ci sono tutti i luoghi che ne vantarono il passaggio, compresi i planisferi che testimoniano le tappe dei suoi tour mondiali del 1972-1973, del 1983 e del 2003.

Meno concreto di quello dedicato a Banksy (in cui, al netto dell’anonimato del writer, ci si muove alla ricerca delle sue opere disseminate in giro per il mondo) e meno sentimentale di quello incentrato su Frida Kahlo (in cui gli ambienti che ne conobbero soste e passaggi risultano impregnati del carisma della pittrice al punto da essere meta attuale di pellegrinaggio da parte degli ammiratori), il lavoro di Ian Castello-Cortes su David Bowie, pur meticoloso, si distingue tuttavia per una certa freddezza d’insieme, resa forse inevitabile dal tipo di percorso che ha caratterizzato la biografia dell’artista. I luoghi di Bowie, con la considerevole eccezione delle dimore private, tendono infatti a coincidere quasi sempre con gli spazi pubblici (di svago o di esibizione) parimenti frequentati dai suoi colleghi dello star system, e dunque si imprimono nella memoria (anche visiva) del lettore più come spazi di comune dominio artistico che come ambienti caratterizzati da un’impronta affettiva personale: si pensi al celebre Studio 54 e al club Max’s Kansas City di New York, teatri di epiche avventure “di gruppo”, ma anche allo stesso Victoria and Albert Museum di Londra, che dal 22 marzo 2013 ospitò la mostra record David Bowie Is. Quasi per paradosso, invece, si respira un’atmosfera più rilassata nell’apprendere i luoghi del cuore dell’artista durante quelli che furono i suoi ultimi anni trascorsi in pianta stabile nella Grande Mela, metropoli ipertrofica e frenetica da cui ci si sarebbe aspettati un tran tran quotidiano meno low profile, e dunque meno empatico: e invece ecco le librerie, i parchi, le gastronomie, i bistrot e i bar in cui Bowie amava recarsi come un cittadino qualsiasi, nella certezza che tra quelle vie non sarebbe stato importunato come a Londra; un uomo come tanti, libero di prendere il taxi e la metropolitana senza bloccare il traffico. Di certo nessuno, oggi, può turbarne più la quiete, ed è bello che l’ultimo luogo dell’artista – quello in cui ogni suo fan inconsolabile per la perdita lo cerca ancora e per davvero disperatamente – è l’album Blackstar, così carico di riferimenti a un altrove spazio-temporale da lasciare ancora tutti attoniti, con gli occhi chiusi, alla ricerca della fatale stella nera.

Cecilia Mariani


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Con l'annuncio della sua morte il 10 gennaio 2016, a due giorni dall'uscita dell'album "Blackstar" e con il musical "Lazarus" ancora in lavorazione, David Bowie è fatalmente riuscito a trasformare anche la sua dipartita in un'opera d'arte. Per vincere il trauma e la disperazione, i suoi fan si sono dati subito appuntamento nei luoghi simbolo del suo passaggio su questa terra, intonandone le canzoni con il pensiero rivolto a quella "stella nera" e al superamento definitivo dello spazio-tempo da parte del loro idolo. Eppure quante case, quanti alberghi, quanti club e quanti palcoscenici hanno conosciuto le sue impronte, fossero quelle di Ziggy Stardust, di Alladin Sane, del Thin White Duke o del semplice e anagrafico David Robert Jones. Dopo quelli dedicati a Banksy e a Frida Kahlo, L'ippocampo @ippocampoedizioni ha pubblicato l'itinerario dei luoghi di David Bowie tracciato ancora una volta da Ian Castello-Cortes. La recensione di Cecilia Mariani in arrivo sul sito! 🎧🎤🎵#libro #book #instalibro #instabook #leggere #reading #igreads #bookstagram #bookworm #booklover #bookaddict #bookaholic #libridaleggere #librichepassione #libricheamo #criticaletteraria #recensione #review #recensire #recensireèmegliochecurare #cercasibowiedisperatamente #davidbowie #iancastellocortes #lippocampo
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