Due milioni di baci
di Alessandro Milan
DeA Planeta, 2019
pp. 304
€ 17,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Non esistono domande giuste o sbagliate. Esistono le domande (p. 7).
Prima di leggere Mi vivi dentro (del quale CriticaLetteraria si è occupata qui) non sapevo chi fosse il suo autore, Alessandro Milan, giornalista di Radio 24. Poi, un giorno di qualche anno fa, vidi l'intervista di sua moglie, la dolcissima Francesca "Wondy" Del Rosso, la giornalista, scrittrice e blogger, al programma televisivo Le invasioni barbariche, e la sua voglia di combattere con ottimismo e determinazione contro un cancro terribile mi sorprese e mi incuriosì.
In particolare ricordo una frase di Wondy che mi colpì e mi commosse:
Tante cose le ho raggiunte [...], i miei successi li ho avuti. Quindi la morte mi fa meno paura di quando avevo vent'anni. Potrei tranquillamente andarmene. L'unica cosa che mi attacca anima e corpo qua sono i miei bambini, sono loro che mi fanno dire che devo rimanere qua e che devo lottare.
Quando venni a sapere che la dolce Wondy non ce l'aveva fatta e che suo marito le aveva dedicato un libro, Mi vivi dentro appunto, corsi a leggerlo e, pagina dopo pagina, mi emozionai, risi, mi commossi di fronte alla loro grandissima storia d'amore, alla meraviglia dei loro figli, alla bontà degli amici rimasti al fianco della famiglia e alla tenacia di Alessandro Milan.
È stato inevitabile, perciò, quando ho saputo che Milan aveva scritto un nuovo libro, correre a procurarmi anche Due milioni di baci, appena uscito per DeA Planeta, seguito ideale (ma per certi aspetti antefatto) delle vicende narrate in Mi vivi dentro, e fin da subito ho nutrito aspettative altissime nei confronti di questa nuova storia.
Ho iniziato a leggerlo su un treno che da Roma mi avrebbe portata a Milano e fin dalle prime pagine, dalle prime righe ho intuito che avrei provato le stesse emozioni della volta scorsa, ma è stato più o meno all'altezza di Firenze che ho capito quanto ancora ci fosse da raccontare di Wondy e della sua meravigliosa famiglia.
C'è una foto che ritrae tua mamma, in sala: il modo in cui aggrottate la fronte è il medesimo, mi piace pensare che anche i vostri pensieri lo siano (p. 11).
Rivolgendosi alla figlia maggiore, Angelica, e in un'alternanza di capitoli nei quali al nome di un cibo o di una bevanda corrisponde quello di un colore, Milan racconta i baci più significativi della sua vita: quelli dati e ricevuti da sua madre Elena (che tenerezza scoprire che ha lo stesso nome di una delle mie nonne), quelli scambiati con Wondy, quelli che non ci sono mai stati e che oggi vengono vissuti con rimpianto, quelli che hanno simboleggiato un tradimento, ma soprattutto quelli che l'autore (come spiega con semplicità e dolcezza) ha dato ai suoi figli fin dal primo giorno della loro vita.
È lo stesso cellulare che è squillato il giorno del suo funerale: tu rinchiusa nella stanza l'hai chiamata, solo che lei non poteva più risponderti. L'istinto di comporre quel numero, anche se due ore prima l'avevi salutata in una bara, rimane per me il tuo più grande gesto d'amore nei suoi confronti. Fatto senza avvertire nessuno, in silenzio. Una questione personale, da sbrigare tra te e lei, madre e figlia. Forse era solo cupa disperazione, incredulità, smarrimento, quello che provavi. Ma per me è stato anche un atto di ribellione alla cattiveria della vita. Un urlo di resistenza. Ora la chiamo, e lei mi risponde: «Ciao, patata». Vedrai che risponde. E ci diremo cose belle, che solo noi sapremo (pp. 22-23).
Gli episodi dell'infanzia e dell'adolescenza di Milan si intrecciano a quelli avvenuti nel corso della stesura de Mi vivi dentro: le amicizie, le domande dolorose dei figli, la quotidianità del vissuto con loro, lo scorrere inevitabile però eppure entusiasmante della vita.
Tutto questo e molto altro è narrato con la medesima grazia di cui lo scrittore aveva già dato prova, e con una straordinaria capacità di lasciare che la malinconia, il dolore e la tristezza si "raccolgano" sullo sfondo della narrazione senza impietosire il lettore, ma regalandogli sprazzi di commozione, di risate e di allegria come solo le grandi storie riescono a fare.
Tutto questo e molto altro è narrato con la medesima grazia di cui lo scrittore aveva già dato prova, e con una straordinaria capacità di lasciare che la malinconia, il dolore e la tristezza si "raccolgano" sullo sfondo della narrazione senza impietosire il lettore, ma regalandogli sprazzi di commozione, di risate e di allegria come solo le grandi storie riescono a fare.
Due milioni di baci è un libro bellissimo e gentile, un libro il cui significato mi ha ricordato il verso di una canzone di uno dei miei cantanti preferiti, Luciano Ligabue: "Nemmeno un bacio che sia stato mai sprecato".
È in ogni caso un libro che merita di essere letto e "compreso" con lentezza, un libro al quale ci si deve necessariamente accostare con una matita per sottolinearne le frasi più belle (che sono proprio tante), un libro che si può leggere anche senza conoscere Mi vivi dentro: ogni pagina, ogni riga, ogni parola resta incisa nel profondo, come si vorrebbe che accadesse per i baci, quelli belli, quelli attesi a lungo, quelli che troppo spesso ci dimentichiamo di donare.
Sono baci, per me, le onde. I baci che hanno punteggiato la mia vita. Arrivando, lisciano la sabbia, ma non rimangono a lungo. Presto scivolano via, lasciando in ricordo solo un accenno di spuma bianca (p. 186).
Ilaria Pocaforza
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