di Lorenza Pieri
edizioni e/o, 2019
pp. 320
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Ai romanzi di Lorenza Pieri ci riportano esperienze squisitamente autobiografiche. Come era accaduto a Rosatea Poli con l'isola del Giglio di Isole minori (qui la recensione), Il giardino dei mostri si lega anche per me a specifici ricordi: il periodo universitario, tre giorni a Stoccolma con una cara amica, la folgorazione delle statue colorate, solari, armoniose di fronte al Moderna Museet; una visita a Basilea e l'amore immediato e dirompente per Jean Tinguely; una seconda visita, molti anni dopo, per riuscire a entrare al museo a lui dedicato; la scoperta di un'unione fortunata tra artisti; il riconoscimento delle loro opere – delle loro voci – familiari nelle esposizioni di arte contemporanea di tanti musei. E infine il Giardino dei Tarocchi, corteggiato a lungo, finalmente raggiunto durante una fuga primaverile. L'idea affascinante di un luogo di pace in cui perdersi, creare i propri tracciati.
Ecco perché, attratta dal titolo e dalla trama, mi sono avvicinata a questa nuova prova di Lorenza Pieri. Le mie alte aspettative erano legate anche alle recenti esperienze con le opere della casa editrice: nonostante il giudizio impietoso formulato da un recente articolo su Linkiesta, trovo che il catalogo di E/O nelle sue ultime declinazioni sia testimone di scelte coraggiose a vantaggio di opere di grande qualità letteraria e tematiche ardue, trattate sempre con grande intelligenza letteraria (penso a Bartolomei, Ranfagni e Fiorino, per fare solo alcuni degli esempi possibili oltre al colosso Ferrante). Anche in questo caso le attese trovano lieta conferma: Il giardino dei mostri è un romanzo articolato, che non si può ridurre alla sua sola trama.
Protagonista indiscussa è la Maremma degli anni '80-'90, luogo di bellezza e profonde contraddizioni, in cui gli interessi economici di un'Italia rampante, trainata dalla famiglia Agnelli, incontrano e si scontrano con le radici profonde delle tradizioni locali che, solo apparentemente stravolte dall'impatto, continuano in realtà a covare sotto la superficie nella loro natura primigenia e pulsionale, quasi barbarica. Emblema del cambiamento e dei giochi di potere e denaro che questo porta con sé sono due famiglie: i Sanfilippi, il parlamentare Filippo e la moglie Giulia, intellettuali di sinistra della Roma bene, che da una posizione di agiatezza sostengono ideali egualitari che nelle loro bocche finiscono per tradursi in pura retorica, mentre conducono un'esistenza all'insegna del lusso e dell'apparenza; e i Biagini, trainati dalle ambizioni di Sauro, buttero maremmano che insieme alla moglie Miriam cerca di cambiare le proprie sorti assecondando i progetti imprenditoriali dei suoi ricchi amici e sfruttando in modo spregiudicato le aspettative del nuovo turismo borghese in cerca di esperienze autentiche. A fare le spese (o a trarre vantaggio) dalle scelte dei genitori sono i figli delle due coppie: Luca e Lisa, destinati per nascita ad avere una vita di successo, già arrogantemente certi del proprio posto nel mondo; e Saverio e Annamaria, più goffi e imprudenti, penalizzati in partenza dalla scarsità di occasioni e dalle visioni retrograde di un ambiente chiuso, che si perpetua sempre uguale a se stesso e in cui ci si aspetta che i discendenti seguano le orme dei padri. Annamaria, in particolare, quindicenne bruttina e insicura, rappresenta l'innocenza in mezzo alla corruzione e alle menzogne che la circondano: la ragazzina è forse l'unica a non cogliere le dinamiche dei "grandi", fraintende sistematicamente ciò che le accade intorno, non è toccata dall'ipocrisia altrui e quindi finisce per essere quella che soffre più intensamente al momento della rivelazione (ma sempre in silenzio, per non arrecare troppo disturbo):
Protagonista indiscussa è la Maremma degli anni '80-'90, luogo di bellezza e profonde contraddizioni, in cui gli interessi economici di un'Italia rampante, trainata dalla famiglia Agnelli, incontrano e si scontrano con le radici profonde delle tradizioni locali che, solo apparentemente stravolte dall'impatto, continuano in realtà a covare sotto la superficie nella loro natura primigenia e pulsionale, quasi barbarica. Emblema del cambiamento e dei giochi di potere e denaro che questo porta con sé sono due famiglie: i Sanfilippi, il parlamentare Filippo e la moglie Giulia, intellettuali di sinistra della Roma bene, che da una posizione di agiatezza sostengono ideali egualitari che nelle loro bocche finiscono per tradursi in pura retorica, mentre conducono un'esistenza all'insegna del lusso e dell'apparenza; e i Biagini, trainati dalle ambizioni di Sauro, buttero maremmano che insieme alla moglie Miriam cerca di cambiare le proprie sorti assecondando i progetti imprenditoriali dei suoi ricchi amici e sfruttando in modo spregiudicato le aspettative del nuovo turismo borghese in cerca di esperienze autentiche. A fare le spese (o a trarre vantaggio) dalle scelte dei genitori sono i figli delle due coppie: Luca e Lisa, destinati per nascita ad avere una vita di successo, già arrogantemente certi del proprio posto nel mondo; e Saverio e Annamaria, più goffi e imprudenti, penalizzati in partenza dalla scarsità di occasioni e dalle visioni retrograde di un ambiente chiuso, che si perpetua sempre uguale a se stesso e in cui ci si aspetta che i discendenti seguano le orme dei padri. Annamaria, in particolare, quindicenne bruttina e insicura, rappresenta l'innocenza in mezzo alla corruzione e alle menzogne che la circondano: la ragazzina è forse l'unica a non cogliere le dinamiche dei "grandi", fraintende sistematicamente ciò che le accade intorno, non è toccata dall'ipocrisia altrui e quindi finisce per essere quella che soffre più intensamente al momento della rivelazione (ma sempre in silenzio, per non arrecare troppo disturbo):
Alla rabbia dei primi giorni era seguita una profonda delusione, [...] la falsità che permeava tutti i rapporti che intrecciavano le loro famiglie, così apparentemente unite e piene di interessi in comune, che poi alla fine se si andava a stringere si riducevano a due, il cibo e il sesso, e niente era condivisione vera, era solo un gioco di potere in cui i Biagini perdevano miseramente. E in entrambi i casi era la sua famiglia a dare la parte migliore, l'altra prendeva, come era abituata a fare. Pagava con i soldi, a volte, ma non ripagava con nient'altro. (p. 171)
In un mondo popolato di meschini, più o meno pieni di buone intenzioni, dove scarseggiano i modelli positivi, a cambiare il corso della storia, anche quella con la S maiuscola, contribuisce l'arrivo di un elemento incongruo, un'artista, una donna bellissima e tormentata guidata da un sogno. Nei pressi di Capalbio Niki de Saint Phalle, "matta e magica" (p. 214), lavora, giorno dopo giorno, per anni, "per creare qualcosa di meravigliosamente inutile" (p. 161). Il suo Giardino dei Tarocchi diventa – e rimane – non solo per Annamaria nella finzione romanzesca, ma anche per chi lo visita nella realtà – un luogo in grado di "mette[re] in contatto con una verità, un progetto da mettere in atto" (p. 172). Così come il parco, quindi, anche il romanzo è suddiviso in ventidue capitoli che corrispondono agli Arcani maggiori e le loro caratteristiche, il destino a cui rimandano, trova una puntuale controparte nelle vicende narrate.
L'Imperatrice è Niki stessa, la cui potenza artistica, la cui forza creatrice, diventano incarnazione del materno; l'Imperatore, il Re, è Sauro, irruente, a tratti egoista, incapace di dominare gli impulsi, eppure emblema della mascolinità, della paternità protettiva – o prepotente; la Morte è il momento del disvelamento, della rottura, ma anche il germe di un'opportunità di cambiamento; il Mondo il pieno dispiegarsi delle possibilità dinanzi a sé, l'occasione di essere finalmente chi si vuole, e come si vuole. Difficilmente inquadrabile all'interno di un genere, ma con tanto del romanzo di formazione, Il giardino dei mostri parla soprattutto dell'importanza degli incontri in grado di rivelarti a te stesso:
guardarla negli occhi e come riflettersi in questi specchi infiniti, non sai più cosa sei eppure all'improvviso lo capisci benissimo, starle accanto è come capire di più. [...] È come se mi avesse dato la forma che voleva e io mi ci fossi ritrovata perfettamente. [...] Niki riesce a rivelare agli altri la loro vera natura, a tirar fuori il meglio che hanno dentro. (p. 135)
Così, dopo una serie di errori di valutazione potenzialmente pericolosi che l'hanno portata a fraintendere le intenzioni altrui, e a scambiare l'opportunismo o l'interesse per affetto, Annamaria riesce a trovare una guida, qualcuno in grado di rivelarle che
il dolore che provi adesso, le cose che ti hanno fatto così male [...] fanno parte della tua storia. Tu potrai trasformarle, piegarle, ingrandirle fino a quando usciranno da te per fare qualcosa di grande, se vuoi. [...] Puoi [...] trasformare lo sbaglio in quello che sei, una meraviglia unica al mondo. (p. 217)
I mostri a cui fa riferimento il titolo non sono soltanto le gigantesche sculture antropomorfe che abitano il parco, interpretate in chiave letterale e metaforica: sono principalmente quelli che uccidono l'innocenza, ma possono anche diventare – nello slancio artistico – l'esorcizzazione del male, manifestazioni di una rivalsa che assume la forma della creazione attiva ("L'arte era per lei anche un regolamento di conti con i mostri che aveva dentro", p. 102). Il Giardino diventa allora il luogo di una duplice realizzazione: quella della scultrice che dà forma ai propri incubi e in questo modo li neutralizza, e quella di una ragazzina (e forse non solo lei) che riesce a trovare finalmente un senso per una realtà difficile da accettare. Lorenza Pieri tiene in equilibrio le diverse tessere che compongono il suo mosaico con grande abilità, in un continuo cambiamento di prospettive e punti di vista che riesce a restituire – in un baluginare di riflessi – la complessità di un'Italia che sta cambiando, e non necessariamente per il meglio.
Carolina Pernigo