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A chi appartengono le storie? Etica ed editoria nel nuovo romanzo di Janne Teller

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È la mia storia
di Janne Teller
Feltrinelli, 2019

Titolo originale: Kom
Traduzione di Maria Valeria D'Avino

pp. 130  
€ 14,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



In una notte di tregenda, in cui la neve cade incessante e confonde i piani del reale, negli uffici di una casa editrice ha luogo un incontro risolutore (fino all’ultimo non si capirà se con un’alterità, o solo con la propria coscienza). 
Il protagonista di questo nuovo romanzo di Janne Teller, già conosciuta per Niente, un durissimo apologo sull’insensatezza del vivere giovanile, è un uomo dalla moralità quantomeno vacillante: ha scelto un matrimonio di convenienza, grazie al quale si è trovato a guidare la casa editrice del suocero ("è sposato con il nome giusto", p. 71); ha avuto molte amanti e ha respinto una di queste, seppur desiderata, non reputandola alla sua altezza; si trova prigioniero di "una campana di vetro" in cui però ha "scelto di essere rinchiuso" (p. 43). È cinico, amareggiato, un uomo che subisce la propria stessa vita:
L'amore è terribilmente sopravvalutato. Perché in sostanza e verità si riduce tutto alla struttura sociale. E al sesso, naturalmente. Ma il sesso è come il cibo: una cosa di cui si ha bisogno una volta ogni tanto. Né più né meno. (p. 51)
Quest’uomo, sgradevole per il lettore come per se stesso, si trova ad affrontare un delicato dilemma etico proprio nel momento in cui deve preparare per un importante congresso un discorso sull'"etica nel mondo dell'editoria e della letteratura" (p. 18).
Poche ore prima, una donna, Petra Vinter, si è presentata alla sua porta. Non ricorda più con precisione le dinamiche dell'incontro – le obiezioni di lei si mescolano e confondono con le sue proprie remore morali –, certo è che gli ha chiesto di non pubblicare il libro di un giovane autore rampante, colpevole di aver rubato la sua storia. Petra è una donna algida, con uno sguardo distante, difficile da definire: "c'è qualcosa di infinitamente vecchio e insieme così giovane, quasi infantile in lei" (p. 53). Quel che chiede è, per l’editore, estremamente difficile, perché lo tocca non solo sul piano dei principi, ma in primo luogo su quello economico: il romanzo che sta per essere pubblicato sembra fatto apposta per vendere, per diventare il nuovo best seller. Poco conta che il protagonista sappia bene che l’autore è avvezzo al furto delle idee: il problema maggiore resta che, se non sarà lui a dare l’imprimatur, lo farà qualcun altro. Il nodo etico del romanzo è in questa scelta, apparentemente ovvia, eppure in realtà impossibile: quella di trovare il coraggio di dire: Io no. Non io. Di avviare una nuova fase della propria vita in cui gli interessi personali passino in secondo luogo rispetto a ciò che è giusto e pertanto deve essere fatto. Di prendere atto della profonda verità enunciata da Petra Vinter, e continuamente ribadita a costituire il filo rosso del romanzo: “Possiamo sopravvivere a quello che ci fanno gli altri, non a quello che noi facciamo a loro” (p. 43).

Il romanzo si dipana come un thriller esistenziale, un puzzle in cui i tasselli devono essere ricomposti poco per volta e con fatica, non solo dal lettore, ma anche dal protagonista, per cui i confini tra ciò che è realmente accaduto e ciò che ha luogo solo nella sua mente si fanno sempre più labili. Le domande che vengono poste sono ampie, complesse, e aprono la via a un dibattito insoluto, oltre a costringere a una rilettura della propria esistenza, delle proprie scelte passate: che cos’è la letteratura? Quale la sua funzione? Quali sono i limiti tra arte e vita, tra etica e arte?

Il tessuto narrativo è frammentario come frammentario è il pensiero del protagonista: il suo libero divagare crea tra le cose connessioni impreviste e non sempre gradite. Così il romanzo corre su un duplice binario: il discorso in fieri su editoria ed etica, infarcito di luoghi comuni e ipocrisia, e le obiezioni della coscienza del protagonista, che subisce – o si infligge? – un vero e proprio processo interiore. Nelle pagine, attraverso una trama che appare sempre di più pretesto per un’indagine filosofica, viene sviluppata una acuta riflessione metatestuale, accompagnata da uno sguardo impietoso sul mercato editoriale. Il tema si allarga però presto a toccare la responsabilità in senso lato, quella che ci coinvolge in quanto esseri umani nel nostro stare al mondo. E se È la mia storia, a livello narrativo, risulta meno efficace di Niente, restano comunque estremamente interessanti le problematiche sollevate – così come la scelta dell’autrice di lasciare ampio spazio al lettore per una presa di posizione personale circa la loro eventuale risoluzione.

Carolina Pernigo






Ci aveva già sconvolti con quell'apologo cinico e duro che era "Niente", ritorna adesso con un altro romanzo breve che vuole far pensare il lettore. Quali sono i limiti della libertà di stampa (e di parola)? Una storia a chi appartiene? L'editore che responsabilità ha nei confronti dei soggetti delle opere che pubblica? Domande che potrebbero avere un risvolto solo pratico diventano presto esistenziali, e sconvolgono la quotidianità del protagonista dell'opera, che inizia a interrogarsi non solo sulla propria professionalità, ma anche sulla propria vita, sulla propria ipocrisia. Che dite, siete contenti di questo ritorno di #janneteller? Avevate già letto il volume precedente? #feltrinelli #romanzo #metafora #riflessione #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle #criticaletteraria @lafeltrinelli
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