di Jules Verne
Grandi Classici Bur, 2017
Traduzione di Augusto Donaudy
pp. 360
€ 9,00 (cartaceo)
€ 0,99 (ebook)
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"Gli inglesi sono stracciati perché sono turisti da almeno cinque o sei secoli. Lanciano i piedi avanti, tengono la testa indietro sette/otto metri perché, because, soltanto chi ha perso un impero da qualche anno e Hong Kong da pochi giorni può apprezzare fino in fondo la decadenza di Venezia." Così Marco Paolini, nel 1998, descriveva il turista inglese nel suo spettacolo Il Milione. Pensando alla grande tradizione di viaggi, scoperte e conquiste del popolo britannico saltano in mente vari nomi: Cavendish, Drake, Raleigh, figure che hanno contribuito a riempire i punti vuoti sulla mappa, sostituito i draghi e i leoni con corsi d'acqua e rilievi montuosi.
Ma un "viaggiatore" manca, un uomo di tempra morale d'acciaio, perfetta organizzazione e nessuna curiosità: Phileas Flogg, esquire, colui in grado di compiere il giro del mondo in ottanta giorni.Una specie di smorfia si delineò sulla faccia rotonda del francese: evidentemente aveva capito male.
«Il signore fa un viaggio?» domandò.
«Sì,» rispose Phileas Foss. «Faremo il giro del mondo.»
Passepartout, gli occhi smisuratamente aperti, le palpebre e le sopracciglia rialzate, le braccia penzoloni, il busto accasciato, presentava in quel momento tutti i sintomi dello stupore spinto fino allo sbalordimento.
«Il giro del mondo...» mormorò.
«In ottanta giorni,» precisò Mr. Fogg. «Sicché non abbiamo neanche un istante da perdere.» (p. 30)
In realtà sarebbero settantanove giorni, ma conveniamo sul fatto che non sarebbe stato un titolo altrettanto accattivante.
Il giro del mondo in ottanta giorni dello scrittore francese Jules Verne è considerato uno dei grandi classici d'avventura per ragazzi. Phileas Flogg, uomo di buoni mezzi e membro del Reform Club di Londra, scommette, con alcuni sui compagni di whist, di riuscire a compiere il giro del mondo in massimo ottanta giorni. Forte della sua ferrea organizzazione che non prevede che si sbagli la temperatura dell'acqua per fare la barba e che lo mette al sicuro da eventuali "contrattempi", si gioca metà della propria fortuna. Accompagnato dal fido servo Passepartout e inseguito dallo zelante ispettore Fix che lo ritiene colpevole di un furto alla Banca d'Inghilterra, il gentiluomo, dirigendosi ad est (e tenete a mente questo dettaglio perché sarà fondamentale) si imbarca si in questo viaggio in lotta contro il tempo, i marosi, gli assalti degli indiani, crolli di ponti e, finanche, sacrifici umani.
Verne fu scrittore avventuroso e prolifico. Da bambino, dopo una spettacolare (e fallimentare) fuga di casa per raggiungere le Indie, decise che sarebbe stato un viaggiatore, quanto meno mentale. Straordinaria la sua produzione che conta una sessantina di opere e che ci ha consegnato alcuni dei romanzi d'avventura e di esplorazione più famosi di sempre: grazie a lui sappiamo com'è fatto il centro della Terra, immaginiamo di poter andare sulla Luna, sogniamo di lunghe traversate con la mongolfiera. Ma fu anche un appassionato storiografo e geografo: sua una geografia illustrata della Francia e delle colonie e una corposa storia dei grandi navigatori e delle grandi scoperte. La sua enciclopedica conoscenza dell'argomento fornì solida base per l'ambientazione di questo romanzo.
Non viaggiava: descriveva una circonferenza. (p. 75)
Questa frase riassume il senso del viaggio: Phileas Fogg, dritta e rigida punta del compasso, armato solo del suo Bradshaw's Continental Railway Steam Transit and General Guide per tutte le informazioni su treni e orari e con una misera borsa da viaggio, parte con la piena certezza di riuscire nell'impresa. Nel percorrere tutte queste miglia è però bene tenere a mente alcuni elementi.
Il viaggio di Phileas Fogg è privo di qualsivoglia elemento fantastico. Senza indulgere in animali bizzarri da bestiari e in esseri umani dalle strane forme, questo romanzo è il trionfo della modernità e della ragione. Anzi, tutti gli elementi considerati primitivi, come il tentativo di sacrificio umano di Mrs Audà, vengono guardati con il massimo sospetto e, anzi, con educata incredulità.
«Come mai,» domandò Phileas Fogg, senza che la voce tradisse la minima emozione, «in India sussistono ancora questi barbari costumi, e come mai gli inglesi non han potuto distruggerli?» (p. 97)chiede Phileas Fogg in piena fiducia e consapevolezza dei mezzi dell'Impero.
Non bisogna aspettarsi una guida turistica, un'avvincente descrizione di usi e costumi. Tutte le curiosità dei luoghi attraversati vengono dallo sguardo di Passepartout, il furbo e goffo servitore francese di Fogg che entra al servizio del signore proprio nel giorno della partenza. Il gentleman non osserva i luoghi che attraversa: con la sicurezza che deriva dall'appartenere alla nazione che domina il mondo, non si prende la briga di conoscerlo. Così come nessuno di noi guarderebbe nel dettaglio le fughe delle piastrelle della propria cucina, così Fogg transita in questo globo che è casa per gli inglesi.
Phileas Fogg è una macchina, un gentiluomo con i favoriti, che non mostra mai particolari emozioni; è coraggioso, ma privo di reale inventiva e deve il suo successo agli aiutanti intorno a lui. Passepartout garantisce il salvataggio di Mrs Audà; merito di Fix se non viene pestato in California; può solo ringraziare il coraggioso macchinista del treno per l'attraversamento del pericolante ponte nel bel mezzo dell'America. È addirittura Passepartout ad informarlo di aver vinto la scommessa. Nemmeno nel conseguimento della propria felicità personale è protagonista attivo: lascia a Mrs Audà
il compito (molto all'avanguardia) di chiedergli di sposarla.
Eppure, nonostante questa passività e apparente monocromia, non si può evitare di fare il tifo per lui e maledire i venti avversi e i belligeranti indiani. E, da italiani, sorridere per l'incrollabile fiducia mostrata nel Bradshaw's: se dovessimo fare il giro del mondo affidandoci agli orari delle nostre linee ferroviarie, di certo non scommetteremmo con tanta leggerezza la nostra fortuna.
Giulia Pretta