di Paolo Zardi
Chiarelettere, 2019
pp. 256
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Gli orsetti di peluche con cui giocavamo da piccoli – te li ricordi? – avevano occhi grandi per risvegliare il nostro senso di tenerezza: li scambiavamo per bambini, e per questo ci prendevamo cura di loro. Si trattava di una finzione basata su un fraintendimento, un inganno che sfruttava la nostra tendenza innata a vedere esseri umani ovunque. C’è gente che adora delle montagne con gli occhi o che si inginocchia quando vede comparire nuvole a forma di faccia. È più forte di noi. (p. 110)
È curioso come il discorso che Hans Bauer fa a
Lucia – al centro la nostra tendenza innata a vedere esseri umani ovunque: uno dei
fondamenti, insieme alla paura insuperabile della morte, della nascita delle
religioni secondo più di una teoria – sia complementare a un altro discorso che
scorre come un fil rouge lungo tutta
la trama dell’ultimo libro di Zardi: la nostra tendenza altrettanto innata a deumanizzare
tutto ciò che noi non siamo, tutto ciò che non rientra in quel “noi” da intendersi in senso lato (la famiglia, il nostro gruppo sociale, la comunità in
cui viviamo, la nostra nazione, il nostro gruppo etnico o religioso ecc.), così da
rivedere al ribasso i diritti di tutto quanto quel che viene percepito come “altro” (per
questo argomento consiglio almeno la lettura del bel libro Razzismo
e noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro di Luigi
Luca Cavalli-Sforza e Daniela Padoan).
Zardi non lascia nulla al caso e affronta di petto,
sia narrativamente che filosoficamente, entrambe le questioni: semplificando
(perché ci vorrebbero centinaia di pagine per essere esaustivi al riguardo), da
un lato troviamo l’estremizzazione di una visione antropocentrica del cosmo, resa
più complessa dal fatto che il futuro prossimo del romanzo – il 2036 o il 2064,
a giudicare da alcuni precisi riferimenti temporali – è tanto vicino al nostro
presente quanto risulta essere già estraneo per gli sviluppi tecnologici e
politici che lo vedono coinvolto, primo fra tutti le missioni spaziali; dall’altro una critica aspra alla retorica disumanizzante, che nel corso della storia è
stata alla base delle guerre di religione, della schiavitù e, in epoca più
recente, della follia nazista e dei vari genocidi che hanno caratterizzato e
ancora caratterizzano l’umanità.
Le due questioni trovano un punto d’incontro nella
trama architettata da Zardi: fino a che punto il nostro delirio di onnipotenza –
lo stesso che caratterizza il Dio collerico del Vecchio testamento – può
prevalere sul diritto alla vita di altri esseri viventi, soprattutto quando questi assumono
connotati umani pur rimanendo ai margini della definizione di "umanità"? Già oggi, in questo secondo
decennio del XXI secolo quasi agli sgoccioli, troviamo dibattiti complessi e
futuristici come l’attribuzione di diritti ai robot e la loro equiparazione a
persone (basti cercare, giusto per farsi un’idea, “diritti dei robot” su
Google), per cui è lecito domandarsi cosa accadrà quando avremo superato determinate soglie nella sperimentazione animale, o quando la clonazione umana
sarà una realtà più quotidiana. Cosa ci aspetta domani? Quali sfide dovremo affrontare in quanto esseri umani?
Questi, insomma, i temi dell’Invenzione degli animali: temi che già di per sé meritano un
approfondimento, tant’è che Zardi stesso, nei ringraziamenti, consiglia al
lettore alcuni dei testi da cui ha preso spunto per la sua storia.
C’è poi da parlare di tutto il resto: una critica che ebbi a muovere all’autore durante una presentazione di XXI secolo (Neo edizioni) era che in quel romanzo l’ambientazione risultava talmente affascinante da offuscare la trama. Se ancora oggi resto convinto di questo, posso affermare però che nel nuovo romanzo l'ingegnere padovano supera quel problema, intrecciando un setting distopico, realistico e ampliato (in XXI secolo si parlava di un’Italia del futuro, qui spaziamo attraverso il territorio europeo... e quasi niente di quello che si legge lascia un sapore dolce) a una trama che definire thriller, come si fa nella bandella di copertina, è riduttivo. La trama c’è, resiste, è robusta al punto di non mostrare cedimenti strutturali e al suo interno trovano ampio spazio le riflessioni filosofiche di cui prima (riflessioni che direi inevitabili, anche solo per porre al lettore le domande essenziali). È una trama che prende il volo a pagina 25 e che fino alla fine vola talmente in alto da creare aspettative difficilmente sostenibili: eppure, nonostante qualche leggerissima défaillance, il finale, col suo tono dolceamaro, ci sta. Si chiude l'ultima pagina soddisfatti anche se, lo ammetto, avrei preferito una conclusione che osasse di più. Non molto, solo un po' di più.
Ma ci arriveremo, secondo me.
C’è poi da parlare di tutto il resto: una critica che ebbi a muovere all’autore durante una presentazione di XXI secolo (Neo edizioni) era che in quel romanzo l’ambientazione risultava talmente affascinante da offuscare la trama. Se ancora oggi resto convinto di questo, posso affermare però che nel nuovo romanzo l'ingegnere padovano supera quel problema, intrecciando un setting distopico, realistico e ampliato (in XXI secolo si parlava di un’Italia del futuro, qui spaziamo attraverso il territorio europeo... e quasi niente di quello che si legge lascia un sapore dolce) a una trama che definire thriller, come si fa nella bandella di copertina, è riduttivo. La trama c’è, resiste, è robusta al punto di non mostrare cedimenti strutturali e al suo interno trovano ampio spazio le riflessioni filosofiche di cui prima (riflessioni che direi inevitabili, anche solo per porre al lettore le domande essenziali). È una trama che prende il volo a pagina 25 e che fino alla fine vola talmente in alto da creare aspettative difficilmente sostenibili: eppure, nonostante qualche leggerissima défaillance, il finale, col suo tono dolceamaro, ci sta. Si chiude l'ultima pagina soddisfatti anche se, lo ammetto, avrei preferito una conclusione che osasse di più. Non molto, solo un po' di più.
Ma ci arriveremo, secondo me.
Una peculiarità di questo testo è la capacità tutta
zardiana – sviluppata soprattutto nell’ultima raccolta di racconti La
gente non esiste (Neo edizioni) – di mescolare dettagli evocativi con
la libertà lasciata al lettore di costruire il resto delle immagini: gli
animali inventati a cui fa riferimento il titolo, ad esempio, non vengono descritti in maniera approfondita. Che forma hanno? Come respirano, come si
muovono? E soprattutto, come ragionano? Zardi lascia a noi il gioco della costruzione, o meglio dell'invenzione: ci fa sperimentare "in diretta" un assaggio di quella volontà divina di creazione che tanto male ha portato al mondo.
In conclusione, a mio è questa ambigua curiosità il nodo della
domanda esistenziale del romanzo: qual è il tratto distintivo degli esseri umani?
Cosa ci rende diversi dal resto del creato?
Con L’invenzione
degli animali Zardi si conferma un grande scrittore che, oltre alla maestria
narrativa e a una voce unica sviluppata con pazienza nel corso degli anni, possiede anche il talento di saper leggere (e a
volte anticipare) il tempo in cui vive.
Promosso in pieno.
David Valentini