Racconti di Juarez del Sud
di Luca Mignola
Wojtek Edizioni, 2019
pp. 98
€14,00
«Fratello Vasyl, come in ogni genesi, il primo gesto non appartiene al fondatore, ma al narratore». (p. 9)
I Racconti di Juarez del Sud di Luca Mignola scorrono densi perché, mentre li si legge, si sente il bisogno di rispolverare la letteratura latina, la mitologia, la filosofia e la letteratura greca: sono come frammenti che ricostruiscono una dimensione; dunque può essere particolarmente piacevole posare il volume giusto il tempo di consultare altri libri che ci consentano di godere appieno dei riferimenti coltissimi di cui abbondano e di tornare subito a immergerci nella lettura; la stessa cosa non vale per la scrittura, ché si avverte subito quanto sia curata e limata e quanto ogni parola non viva solo del proprio senso letterale, ma del sostrato storico e letterario che porta con sé. È una lingua ricca, uno strumento che l’autore dimostra di padroneggiare:
«Le istanze dei perché abbondano nei libri: malvagità della natura; paura dell’infinito e dell’indefinito; impossibilità di razionalizzare; sostituzione del sogno; confusione; incertezza; cerchio; labirinto; specchio; mostro; metafisica». (p. 8)
Uno dopo l’altro, i racconti mostrano alcuni dei personaggi che popolano Juarez del Sud, dove non trovano spazio gesta edificanti ed eroi, ma creature kafkiane, «sussurri del male», corruzione, vizio, dove la defenestrazione è un atto politico ricorrente, dove «la gente è nata prona e così morirà» e dove il trapasso è un breve viaggio verso una località troppo vicina; lo spazio per la luce è esiguo, anzi non esiste e «qualunque cosa rifugga la luce, si agita nelle tenebre».
Queste pagine riecheggiano di un tormento per una terra spogliata della bellezza e delle proprie risorse, irredenta, condannata al decadimento in modo ineluttabile; una dimensione che chi proviene dal sud impara a conoscere presto.
Di altri luoghi ricorrono spesso i nomi, tanto da fondare, nella mente del lettore, la geografia di un territorio dove trova posto anche l’Erebo, l’Armeria. L’Asilo dei figli di nessuno e il fiume Sarno, e dove l’antico nome della fonte mitologica diventa quello della Fogna Aretusa ‒ l’autore si mostra affascinato dalle ninfe, che talvolta fanno capolino dalle sue pagine, sebbene siano decisamente fosche per creature simili.
Il lettore attento noterà importanti rimandi tra un racconto e l’altro, porzioni di testo, frasi decisive e ricostruirà a poco a poco il componimento, dove alcuni personaggi raccontano ad altri ciò che l’autore sta raccontando a noi, che saremo sorpresi dalla metafiction e dall’amore per il gesto atavico di narrare storie.
«Avevamo l’abitudine di sedere sulle gambe del nonno e ascoltare le sue storie. Era un rito cui non potevamo sottrarci nelle sere d’estate». (p. 35)
Anche per questo uno dei temi ricorrenti dei Racconti di Juarez del Sud è la memoria: esplorata come contesa, come gioco, come meccanismo indispensabile per la narrazione, come esortazione alla scrittura, come condanna e come strumento di controllo. Nel racconto dalle atmosfere distopiche La zona in trasparenza, un assassino deve assumere il farmaco Mnemo-1000 per dimenticare e cedere il controllo della propria memoria, senza che un orrifico senso di colpa possa essere sradicato dalla sua mente.
Il mondo di Juarez del Sud appare lontano nel tempo, con le sue defenestrazioni e i suoi compilatori, eppure i riferimenti agli anni ’80 e ai nostri giorni tornano frequenti, facendo pensare che questo luogo di corruzione ineluttabile sia da qualche parte in questo momento, mentre viviamo la nostra dimensione.
Fantascienza, metafiction, una narrazione labirintica dagli echi borghesiani, di riferimenti alla letteratura sudamericana e una selva di personaggi oscuri sono solo alcuni degli elementi di questo breve volume che, una volta finito di leggere, si ripercorrerà per ricostruire ogni rimando, scoprendo un meccanismo circolare e una struttura solida, affascinante, che si vorrà fare propria, da ricordare.
Lorena Bruno